Lavori impermeabilizzazione mal eseguiti   Nel mese di Luglio 2005 sono iniziati i lavori appaltati per l’ampliamento e parziale ristrutturazione di un edificio ad uso abitazione. Il progetto prevede la costruzione di un garage in adiacenza all’abitazione. Il tetto per copertura in ICS per uno spessore di 24 + 4 cm con lo scolo dell’acqua piovana ad est (dall’edificio residenziale al lato esterno). Dopo il getto del calcestruzzo ho subito notificato con lettera AR all’impresa edile e al direttore dei lavori che l’inclinazione del piano di copertura era rivolta verso la casa residenziale e non verso lo scolo ad est. A seguito di varie insistenze hanno riconosciuto l’irregolarità ed effettuato lavori correttivi e di tamponamento con membrane sul coperto e sui muri perimetrali. Non hanno però creato, nonostante le mie richieste, la pendenza per il regolare sgrondo a est. L’acqua piovana ristagna su quasi tutta la superficie di mq 45 per uno spessore di 3/3 cm, provocando risalita di umidità sui muri perimetrali sud, est nord, mentre sulla parete interna all’abitazione esiste una evidente infiltrazione d’acqua con il danneggiamento del grassello colorato. Nel corso dei lavori ho richiesto progetti esecutivi che il direttore non ha mai elaborato. I lavori sono attualmente sospesi anche perché la direzione lavori ed impresario asseriscono che posso rimediare all’inconveniente con spese a mio carico di circa 3.000,00 euro, con la stesura di un massetto per la creazione della pendenza a est usando guaine mapelastic, rete e altro. Con il regolare appalto all’impresa edile suggeritami dallo stesso progettista/direttore dei lavori, quali diritti e relative responsabilità sono garantiti per l’esecuzione dei lavori a regola d’arte. Aldo Cunico     L’appaltatore ha il dovere di conoscere e prevedere gli eventuali vizi dell’opera dovuti al progetto, anche perché dalla corretta progettazione dipende il risultato promesso. Può perciò sospendere l’esecuzione dell’opera quando esistano serie ragioni per ritenere che l’attuazione del progetto provocherebbe danni o non sarebbe “a regola d’arte”. Solo se il committente insiste perché l’opera sia eseguita ugualmente e ne scarica la responsabilità dell’impresa, riesce a “salvarsi”. Il committente ha diritto ad avere una garanzia, perlomeno biennale, sulle opere eseguite. Per poter esercitare questo diritto alla garanzia, la denuncia dei vizi deve essere fatta entro sessanta giorni dalla loro scoperta ed entro due anni dalla consegna . La denuncia non è necessaria se l'appaltatore ha agito in modo tale da nascondere i vizi. Non è nemmeno necessaria se ha riconosciuto, in qualche modo i vizi stessi. Il riconoscimento è valido anche se l’appaltatore ammette i vizi, ma contesta o nega in qualsiasi modo o per qualsiasi ragione di doverne rispondere (Cassazione sentenza n. 9535/2001). Se insieme al riconoscimento, vi è un’ammissione di responsabilità, è come se si fosse stipulato un nuovo contratto per l’eliminazione dei vizi stessi, che ha come termine di prescrizione dieci anni (Cassazione, n. 1320/2001). Più tutela al committente è offerta dalla garanzia decennale, prevista dall’articolo 1669 del codice civile quando l’opera “per vizio del suolo o per difetto della costruzione rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti”. Per la giurisprudenza, nel concetto di "gravi difetti" vanno compresi anche vizi, che, pur non coinvolgendo la statica del fabbricato, compromettono in modo grave la funzione cui esso è destinato. All’atto pratico, la Cassazione ha valutato come tali anche le infiltrazioni d’acqua causate da insufficiente impermeabilizzazione (sentenze n. 4692/1999, n. 1608/2000 e n. 117/2000). Oltre alla garanzia, portata da due a dieci anni, viene prorogato anche, da due mesi a un anno il termine per la denuncia. Comunque, fatta la denuncia, se l’appaltatore fa orecchi da mercante, si ha tempo un anno per agire in giudizio. Tale termine di prescrizione decorre dal giorno in cui è possibile l’esercizio del diritto. Se, in tale lasso di tempo si fa un atto con valore di azione legale (può bastare anche una raccomandata), il termine di un anno ricomincia a decorrere dalla data di tale atto stesso. Se il direttore dei lavori o il progettista sono incaricati dalla ditta edile, non assumono responsabilità dirette rispetto al committente: è infatti l’appaltatore a rispondere del loro cattivo operato, salvo poi rifarsi su di loro. Se invece a incaricarli è, come sarebbe più logico, il committente, hanno responsabilità specifiche verso di lui. In particolare, il direttore dei lavori deve pagare per omissione dei doveri di sorveglianza: i lavori devono infatti essere funzionali alla realizzazione dell’opera in conformità al progetto. In linea di principio a progettista e direttore di lavori si applicano non le norme sull’appalto, ma quelle previste per le prestazioni d’opera. Perciò, come afferma l’articolo 2226 del codice civile, denuncia e prescrizione hanno termini più brevi: rispettivamente otto giorni dalla scoperta dei vizi e un anno dalla consegna dell’opera. Tuttavia la giurisprudenza ha sempre ammesso che questi due professionisti possano essere corresponsabili con l’appaltatore e tenuti a risarcire il cliente integralmente, anche in alternativa all’appaltatore stesso (salvo poi rifarsi su di lui). Accade nei casi di cattiva esecuzione dell’opera e, soprattutto, di errata progettazione. La Cassazione più recente, anzi, ha voluto sottolineare che in questo caso non ha importanza il fatto che il contratto d’opera (tipico del professionista) e quello d’appalto appartengano a due tipologie differenti. Se infatti il comportamento del progettista o del direttore dei lavori è stato tra le cause che hanno portato alla cattiva esecuzione, egli dovrà risponderne secondo le norme previste per l’appalto. Consiglio comunque di arrivare a una transazione, nel caso in cui effettivamente la corretta effettuazione dell’opera prevedesse un incremento dei lavori rispetto a quelli previsti nel preventivo o nel capitolato.