Ho acquistato una villetta anni fa denunciando nell'atto di compravendita il suo valore fiscale (che era allora la rendita catastale moltiplicata per 80) ai fini di imposte di registro e ipotecarie-catastali. Solo in seguito mi sono accorto che il precedente proprietario aveva commesso un abuso edilizio non denunciato, coprendo con muri un portico che precedeva l'ingresso. Ho quindi presentato, a suo tempo, domanda di condono ma il comune mi ha imposto la "riduzione in pristino" , cioè l'abbattimento dei muri. Ma non è finita qui: l'Ufficio del Registro ha contestato il valore dichiarato nel rogito. Poiché mi sono servito, per denunciare il valore, di una norma che impedisce gli accertamenti se si denuncia il valore fiscale, le due pretese messe insieme mi sembrano assurde. O mi si costringe a sanare l'abuso, o mi si costringe a pagare più salate le imposte sul trasferimento. Ho ragione? M.F., Torino La sua domanda è particolarmente interessante perché una recentissima sentenza (Cassazione, 29 agposto 2001, n. 11325) si è occupata proprio di un caso simile, in cui, purtroppo, ha dato torto al proprietario. Infatti presupposto perché si utilizzi il valore fiscale è che la rendita catastale sia corretta, cosa che non accade se la costruzione ha avuto aggiunte edilizie (o anche solo un cambiamento d'uso). Pertanto quella dell'Ufficio del Registro non è una pretesa, ma un diritto. Poiché si è determinata questa situazione, l'Ufficio potrà rideterminare il valore a prescindere dal fatto che l'immobile sia ricondotto alle condizioni strutturali precedenti l'abuso. Dalla sentenza traspare peraltro l'evidente diffidenza verso le ragioni di un acquirente che avrebbe i mezzi materiali per accorgersi dell'abuso edilizio stesso.