Compravendite: d’ora in poi farà fede il valore catastale

 

Dal 2006 diviene possibile dichiarare nel rogito il valore reale a cui è avvenuta la compravendita di un’abitazione “usata”, senza per questo pagare un euro in più al Fisco. Si calcoleranno comunque  tutti i tributi in base a un valore fittizio (che, peraltro, già esiste) detto “catastale”.

La novità, introdotta dalla legge Finanziaria 2006, è un buon punto di partenza per ricordare i meccanismi dell’imposizione sulle compravendite di immobili, sia quelli inclusi, sia quelli esclusi da questa nuova regola.

Cosa cambia, in pratica? Si potrebbe, a buon diritto, rispondere: “tutto”. Oppure : “nulla”. La verità, sta, come sempre, nel mezzo.

Per certi versi cambia davvero tutto. Infatti la legge imponeva, nelle compravendite di appartamenti sottoposte ad imposta di registro (in genere, quelle tra privati), di denunciare “il valore di comune commercio dell’immobile”. In sostanza, quello a cui era avvenuta la compravendita. nel rogito .Ora invece esse si applicheranno sul valore catastale, che nel caso delle residenze, è pari in media a un terzo di quello di mercato. Pertanto, anche le imposte, in teoria, dovrebbero ridursi grossomodo a un terzo.

Detto ciò, si può anche sostenere che non cambia niente. Infatti la stessa legge offriva su un piatto d’argento una scappatoia: chi denunciava una cifra pari o superiore al valore catastale, non subiva accertamenti da parte degli ispettori del Fisco. E’ quello che, per un verso o per l’altro, ha fatto fino ad oggi la maggior parte degli italiani, dichiarando nel rogito il valore catastale o poco più.

Ma se ciò è vero, e soltanto poche persone inguaribilmente oneste sono destinate a guadagnarci, qual è il succo della novità? Possiamo sintetizzarlo in cinque punti.

Più tutela all’acquirente. Primo punto: l’acquirente di un’abitazione sarà più protetto. Anche a rogito concluso possono infatti capitare dei problemi. Per esempio, la casa acquistata può essere priva del certificato di agibilità (l’ex abitabilità). Oppure avere gravi vizi di costruzione. Oppure essere stata locata ad altri, nonostante le dichiarazioni del venditore. O essere coinvolta in liti ereditarie che possono perfino portare alla revoca del rogito. O essere pignorata con atto trascritto in data anteriore al rogito. E via elencando. In tutti questi casi, la legge prevede diverse possibili misure, che vanno dalla nullità dell’atto (con la restituzione di quanto si è versato) alla riduzione del prezzo.  E’ chiaro, però, che se nel rogito si è dichiarato un prezzo di molto inferiore a quello reale, sono guai. Sia la restituzione di quanto versato sia la riduzione del prezzo rischiano di applicarsi su una somma ben inferiore a quella reale.

Minore valore imponibile. Una seconda considerazione è il fatto che era uso, tra persone prudenti, non dichiarare comunque il valore catastale, ma il 10-15% in più, per “non farla troppo sporca”. Una scelta che oggi non ha più senso, dato che il valore catastale è comunque la base dell’imposizione. Quindi, per la maggior parte di acquirenti, ci sarà comunque un guadagno.

Meno rischi di sanzioni. Un terzo ragionamento è che, anche se il Fisco non poteva ordinare accertamenti fiscali sul valore reale della compravendita, quest’ultimo poteva “saltar fuori” in particolari circostanze, costringendo chi aveva acquistato a pagare salate sanzioni.  Parliamo di controversie nella separazione legale tra coniugi, di liti ereditarie, di problemi sorti tra venditore e compratore. 

Più raro il compromesso. Va poi fatto caso che le nuove norme dovrebbero ridurre i casi in cui, prima di fare il rogito da un notaio, si stipula il cosiddetto “compromesso d’acquisto” (o, più esattamente, il  preliminare di compravendita). Uno dei principali motivi per fare  il compromesso era infatti denunciarvi il prezzo reale, mentre nel rogito si dichiarava quello “virtuale”. Ora che i due prezzi possono tranquillamente coincidere, viene a cadere una delle ragioni dell’esistenza del compromesso (anche se esso può restare utile, soprattutto se trascorre molto tempo prima che si possa stipulare l’atto definitivo). Ma perchè  può essere meglio non sottoscrivere un compromesso? Soprattutto perché questo documento non è quasi mai fatto con l’assistenza di un notaio, ma è sottoscritto direttamente dalle parti o con un’agenzia immobiliare. Quindi chi  compra si impegna ad acquistare un immobile senza avere fatto tutte le verifiche che il notaio fa di mestiere: può correre grossi rischi.

Imposte più lievi sulla rivendita. Infine non va sottovalutato un quinto motivo. Per scelta, o perché si è obbligati da mancanza di liquidità, si può essere costretti a rivendere l’abitazione acquistata prima che siano trascorsi  cinque anni. Orbene, le rivendite nel quinquennio sono considerate dal Fisco “operazioni speculative”. Quindi, la differenza tra il valore di acquisto e quello di rivendita (il cosiddetto capital gain) viene tassata (fanno eccezione solo le rivendite di abitazioni acquistate con le agevolazioni prima casa, a patto di acquistare quasi immediatamente un’altra prima casa). Ma se è tassato questo guadagno, è chiaro che è conveniente che risulti il più basso possibile e che quindi il prezzo di acquisto dell’immobile che si rivende sia stato denunciato completamente.

Immobili interessati. Come abbiamo anticipato, la nuova regola non si applica a tutti gli immobili, ma solo alle abitazioni e alle loro pertinenze (box, garage ed eventuali cantine o soffitte accatastate singolarmente).  Non è finita: solo alle compravendite di abitazioni sottoposte a imposta di registro. Più precisamente a quelle in cui a vendere è un privato o una società il cui scopo sociale non è la commercializzazione di immobili. Sono escluse le compravendite, anche di abitazioni, che sono sottoposte ad Iva. In pratica si tratta delle residenze nuove vendute da un’impresa di costruzione.

Sono poi esclusi tutti gli altri immobili (uffici, negozi, magazzini, box nuovi, eccetera).

Per gli immobili esclusi, valgono ancora le vecchie regole: va denunciato il prezzo reale, anche se resta in vita la scappatoia di denunciare i valore catastale per no avere accertamenti.

Valore catastale: cosè. Si tratta della stima, ai soli fini fiscali, di qual è il valore dell’immobile. Per ottenerlo, occorre conoscere la rendita catastale rivalutata di un immobile. Per intenderci, la rendita catastale è anch’essa un valore imposto dal Fisco all’immobile che rappresenta, in teoria, quanto esso potrebbe “rendere” se affittato (anche se non ha nulla a che vedere con la realtà).  Questa rendita è quanto che si denuncia sulla dichiarazione dei redditi, nella sezione fabbricati o terreni, per l’immobile di proprietà (a meno che sia effettivamente locata ad altri). Tale valore è stato rivaluto non 1997, incrementandolo del 5% per tutti i fabbricati.

I parametri di moltiplicazione della rendita rivalutata, per ottenere il valore fiscale, sono da agosto 2004 in poi:

a) 110, per le prime case e per le loro pertinenze (box e garage);

b) 120, per le altre abitazioni, i laboratori, i magazzini e gli altri box,

c) 60 per gli uffici (categoria catastale A/10);

d) 40,8 per i negozi

e) 90 per i terreni non edificabili

Facciamo qualche esempio: Se la rendita catastale rivalutata di un appartamento residenziale è di 1.000 euro, il suo valore fiscale sarà di 110.000 euro , se è prima casa per l’acquirente (1.000 x 110=110.000) oppure di 120.000 euro, se non lo è (1.000 x 120= 120.000). Viceversa un negozio con rendita rivalutata  di 5.000 euro avrà un valore catastale di 204.000 euro (5.000 x 40,8= 204.000).

Calcolo delle imposte di compravendita. Una volta conosciuto il valore catastale è abbastanza facile calcolare anche le imposte sulle abitazioni usate. Quelle per gli acquisti con le agevolazioni “prima casa” assommano al 3% del valore catastale, più 336 euro fisse . Vanno poi aggiunti altri tributi minori, come il bollo, le volture, le visure, eccetera, per cui bisogna preventivare grossomodo  altri 500 euro. Per le altre residenze, invece, va stanziato il 10% del valore catastale (sempre più 500 euro di ulteriori spese). Fatti i debiti calcoli,  se si suppone una rendita catastale di 1.000 euro, i tributi ammontano, per le prime case, a 4.136 euro, mentre per le seconde salgono a 12.500 euro.

Onorari notarili. Un’altra novità della Finanziaria 2006 è la riduzione, del 20%, degli onorari notarili sulle compravendite (ma sempre quelle di abitazioni “usate”). Quale sarà il risparmio, è difficilissimo dire, sia perché gli onorari variano anche notevolmente da località a località, sia perché la riduzione sarà probabilmente applicata solo su una parte della parcella, che comprende numerosi forfait per piccole prestazioni  oltre a cifre variabili per le consulenze prestate.