Cassazione 17 novembre 2000, n. 14889

Cassazione 26 ottobre 1999 – 22 aprile 2000, n. 5286

Cassazione, sez. I, 19-22 ottobre 1998 D'Agata e altri.

Tribunale di Siracusa 25 maggio 2000 n. 376

Tribunale di Parma, il 7 agosto 2000

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - Sentenza 17 novembre 2000 n. 14889 - Pres. Reale, Rel. G. Verucci.

Contratti - Contratto di mutuo - Clausola che prevede un tasso di interessi superiore a quello massimo stabilito dalla legge - Nullità - Riguarda anche i contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della L. n. 108/1996.

La pattuizione di interessi a tasso divenuto usurario a seguito della legge n. 108/96 è nulla anche se compiuta in epoca antecedente all'entrata in vigore di detta legge (1).

(1) Cfr. in precedenza Cass. civ., sentenze nn. 5286/2000 e 1126/2000.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G. M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Forlì, la s.p.a. (omissis), esponendo di aver stipulato con la convenuta, in data 29 maggio 1993, un contratto di mutuo ipotecario di lire 55.000.000, da destinare all'acquisto di un immobile, obbligandosi al rimborso mediante rate mensili al tasso annuo del 15/55% costante per i primi cinque anni e con un prospetto di ammortamento che prevedeva rate crescenti: poiché alla fine del 1994, a fronte di versamenti per lire 10.324.729, il debito capitale si era ridotto a sole lire 52.020.997, era evidente che non esisteva un equilibrio sinallagmatico. L'attore chiedeva, quindi, che fosse dichiarata la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta e che la banca fosse condannata al risarcimento dei danni.

Costituitasi, la convenuta resisteva alla domanda, eccependo pregiudizialmente l'incompetenza per territorio del giudice adito. Con sentenza non definitiva del 14 maggio 1996, il Tribunale dichiarava la propria competenza e, con ordinanza in pari data, fissava per la prosecuzione del giudizio l'udienza del 27 giugno 1996 (poi rinviata d'ufficio al 6 novembre '96): con sentenza definitiva del 19 marzo 1997, rigettava la domanda. L'impugnazione proposta dal M. veniva respinta dalla Corte d'Appello di Bologna con sentenza 25 giugno 1998.

Osservava la Corte, per quanto in questa sede rileva, che i primi giudici avevano correttamente dichiarato inammissibile la domanda subordinata di nullità della clausola contrattuale relativa agli interessi, formulata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni, con riferimento all'entrata in vigore della legge n.108 del 1996: la tesi dell'appellante, secondo cui la domanda sarebbe stata tempestiva, perché proposta nel primo atto difensivo successivo a detta legge e perché controparte non ne aveva comunque eccepito la preclusione, non poteva essere condivisa, atteso che, sotto il primo profilo, già anteriormente alla riforma del 1996 il secondo comma dell'art.1815 c.c. prevedeva la nullità della clausola con la quale fossero stati convenuti interessi usurari, con la conseguenza che il M. avrebbe potuto dedurne la nullità sin dall'atto di citazione, a nulla rilevando lo 'ius superveniens', tanto più che la legge n.108 è entrata in vigore il 9 marzo 1996 e nessuna domanda era stata avanzata all'udienza del 6 novembre successivo; sotto il secondo profilo, la novità della domanda è rilevabile d'ufficio e, in ogni caso, non è sufficiente il mero silenzio della controparte per ritenere che abbia accettato il contraddittorio.

Quanto alla doglianza del M. circa la rilevabilità d'ufficio della nullità della clausola con la quale erano stati pattuiti gli interessi, la Corte falsinea osservava che il Tribunale aveva esattamente applicato il principio secondo cui la rilevabilità d'ufficio ex art.1421 c.c. va coordinata con i principi della domanda e della disponibilità delle prove, il giudice non potendo prospettarsi questioni che implichino indagini per le quali manchino gli elementi necessari, come nel caso di specie, in cui il carattere usurario degli interessi non risultava dal contratto di mutuo, dal quale emergeva soltanto il saggio convenuto.

Secondo la Corte territoriale, infatti, il riferimento normativo non era l'art.1 della legge n.108/96, trattandosi di contratto stipulato nel 1993, sibbene l'art.644 c.p. nel testo anteriormente vigente: ne derivava la necessità di accertare la sussistenza dello stato di bisogno dell'obbligato e dell'approfittamento da parte dell'altro contraente, elementi che non risultavano direttamente dagli atti: né valeva richiamare l'art.185 disp.att. cod.civ., dal cui tenore emerge che si riferisce all'art.1815 c.c. nella formulazione anteriore alla novella del 1996.

Per la cassazione di tale sentenza il M. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, illustrati anche con memoria. Resiste la Banca (omissis) con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art.189 c.p.c., in relazione all'art.360 n.3 dello stesso codice, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia confermato la statuizione dei primi giudici circa l'inammissibilità della domanda subordinata di nullità della clausola relativa agli interessi del contratto di mutuo, perché formulata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni. Secondo il ricorrente, si sarebbe dovuto considerare che la questione, derivante da ius superveniens, era stata proposta nel primo atto difensivo successivo all'entrata in vigore della legge 7 marzo 1996 n.108 ("Disposizioni in materia di usura") e dei decreti di attuazione: inoltre, vi era stata implicita accettazione del contraddittorio, atteso che la banca non ne aveva eccepito la preclusione.

Occorre rilevare, anzitutto, che il ricorrente non censura l'affermazione della Corte falsinea secondo cui la questione avrebbe potuto essere dedotta già con l'atto di citazione, dal momento che l'art.1815 c.c. prevedeva comunque - prima della modifica apportata con l'art.4 della legge 7 marzo 1996 n.108 - la nullità della clausola con la quale fossero stati pattuiti interessi usurari (un breve cenno al riguardo è contenuto solo nella memoria presentata ai sensi dell'art.378 c.p.c., peraltro in replica ad argomentazione della controparte): trattandosi di ragione concorrente idonea a sorreggere anche da sola la decisione, sotto tale profilo il motivo è inammissibile per difetto di interesse (cfr. Cass.11902/98, 9866/98, 13117/97), con conseguente irrilevanza della questione relativa allo ius superveniens ed alla proposizione della domanda nel primo atto difensivo immediatamente successivo all'entrata in vigore della L.108/96 e dei relativi decreti di attuazione.

Sotto altro profilo, la censura è infondata: nel ritenere, infatti, che il mero silenzio della banca non costituisse accettazione dal contraddittorio sulla domanda intempestivamente proposta, il giudice di merito si è attenuto al principio - riferibile alla normativa previgente alla novella del 1990 - secondo cui il divieto di introdurre nuove domande nel corso del giudizio di primo grado non è sanzionabile esclusivamente in presenza di un atteggiamento della parte interessata consistente nell'accettazione esplicita del contraddittorio, ovvero in un comportamento concludente che ne implichi l'accettazione, tenendo presente che, ai fini dell'apprezzamento di tale concludenza, non assume rilievo il semplice protrarsi del difetto di reazione e non può essere attribuito valore indicativo al mero silenzio della controparte in sede di precisazione delle conclusioni, ove la domanda nuova sia proposta in tale sede (SS.UU.4712/96 e, più di recente, Cass.11508/98).

Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'art.1421 c.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver considerato che dagli atti emergevano gli elementi da cui poter rilevare d'ufficio la nullità della clausola relativa agli interessi.

Con il terzo mezzo, infine, denuncia violazione degli artt.1 L.108/96 e 185 disp.att. cod.civ., rilevando, per un verso, che sull'applicabilità della normativa in tema di usura non incide la circostanza che il contratto di mutuo sia stato stipulato nel 1993, e per altro verso, che il ragionamento svolto dalla Corte territoriale circa l'art.185 disp.att.cod.civ. porta alla sua abrogazione.

Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente per l'evidente connessione, sono fondate nei limiti di seguito precisati.

È fuor di dubbio che il potere del giudice di dichiarare d'ufficio la nullità di un contratto o di una clausola di esso, ai sensi dell'art.1421 c.c., vada coordinato con il principio della domanda ex artt.99 e 112 c.p.c. (tra le ultime, Cass.123/2000 e 1811/99): nel caso di specie, tuttavia, la Corte falsinea non ha fatto buon governo di tale principio, essendo evidente che, per il tramite della domanda principale di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, era stata contestata l'esecuzione del contratto, soprattutto con riferimento alla pattuizione degli interessi, tant'è che la stessa Corte territoriale non ha posto in discussione tale aspetto, limitandosi a rilevare che occorrevano indagini sul carattere usurario degli interessi (in particolare, sullo stato di bisogno dell'obbligato e sul consapevole approfittamento di detto stato da parte della banca), perché non poteva trovare applicazione la novella del 1996 in tema di usura, il contratto essendo del 1993.

Si tratta, allora, di verificare la conformità a diritto di quest'ultima affermazione, costituente la vera ratio decidendi della sentenza impugnata per quanto attiene alla rilevabilità d'ufficio della nullità.

Va subito precisato che, contrariamente all'assunto del ricorrente, a tali fini non rileva l'art.185 disp.att. e trans. del codice civile, dal cui tenore si evince chiaramente che si riferisce alla formulazione dell'art.1815 c.c. anteriore alla modifica apportata dall'art.4 della L.108/96: in altri termini, la norma in questione è, ora, sostanzialmente inefficace, dovendosi ritenere che la sua vigenza formale sia frutto di un difetto di coordinamento legislativo.

La soluzione è altrove e va individuata nei principi enunciati da questa Corte con le recenti sentenze 5286/2000 e 1126/2000.

Con la prima (in tema di interessi moratori per scoperto di conto corrente, ma con argomenti di carattere generale) è stato affermato che la pattuizione di interessi a tasso divenuto usurario a seguito della legge 108/96 è nulla anche se compiuta in epoca antecedente all'entrata in vigore di detta legge.

Giova ripercorrere, sia pure sinteticamente, l'iter logico-giuridico di tale decisione.

Premesso che una pattuizione di interessi intervenuta prima dell'entrata in vigore della legge 108/96 non può, stante il principio dell'art. 25, 2° comma, Cost., essere ritenuta penalmente rilevante solo perché tali interessi risultino superiori alla soglia fissata, questa Corte ha osservato che, pur dovendosi ritenere in via di principio che il giudizio di validità vada condotto alla stregua della normativa in vigore al momento della conclusione del contratto, tuttavia, verificandosi un concorso tra autoregolamentazione pattizia ed eteroregolamentazione normativa, diviene insostenibile la tesi che subordina l'applicabilità dell'art.1419, 2° comma. c.c. all'anteriorità della legge rispetto al contratto, perché l'inserimento ex art.1339 c.c. del nuovo tasso incontra l'unico limite che si tratti di prestazioni non ancora eseguite, in tutto o in parte.

Va ora precisato, con riferimento allo specifico tema del contratto di mutuo, che merita di essere condiviso l'orientamento dottrinario secondo cui l'ampia dizione degli artt.1339 e 1419, 2° comma, cod.civ. consente non solo la sostituzione automatica di clausole con altre volute dall'ordinamento, ma anche la semplice eliminazione di clausole nulle senza alcuna sostituzione, dovendosi tenere conto del maggior spessore della eteroregolamentazione nell'ambito della contrapposizione tra autonomia contrattuale ed imperatività della norma.

La citata sentenza n.5286/2000 ha precisato, altresì, che:

a) la tesi ha trovato l'autorevole avallo della Corte Costituzionale nella sentenza n.204 del 1997, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.1938 c.c. proprio sulla base della considerazione che, pur avendo carattere innovativo la legge n.154/92 e non applicandosi retroattivamente, tuttavia ciò non implica che la disciplina precedente acquisti carattere ultrattivo;

b) l'obbligazione degli interessi non si esaurisce in una sola prestazione, concretandosi in una serie di prestazioni successive;

c) ai fini della qualificazione usuraria degli interessi, il momento rilevante è la dazione e non la stipula del contratto, come si evince anche dall'art.644-ter cod.pen. (introdotto dall'art.11 L.108/96);

d) in tal senso è la giurisprudenza penale di questa Corte, secondo cui la dazione degli interessi non costituisce post factum non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante; e) anche a non voler aderire alla configurabilità della nullità parziale sopravvenuta, comunque non si può continuare a dare affetto alla pattuizione di interessi eventualmente divenuti usurari, a fronte di un principio introdotto nell'ordinamento con valore generale ed assoluto e di un rapporto non ancora esaurito.

Quest'ultimo profilo, in particolare, è stato oggetto di esame da parte della sentenza n.1126/2000, secondo cui "si può ben ritenere che la sopravvenuta legge 108/96, di per sé evidentemente non retroattiva e dunque insuscettibile di operare rispetto agli anteriori contratti di mutuo, sia di immediata applicazione nei correlativi rapporti, limitatamente alla regolamentazione di effetti ancora in corso", quindi, per l'appunto, la corresponsione degli interessi.

Ne deriva che, sulla base del contratto di mutuo acquisito agli atti ed in presenza di un rapporto non ancora esaurito all'entrata in vigore della legge n.108/96, per il perdurare dell'obbligazione di corrispondere, oltre ai ratei di somma capitale, anche gli interessi (quantomeno, per il periodo di vigenza del rapporto, fino alla sua eventuale risoluzione), la Corte di merito non poteva escludere radicalmente la rilevabilità d'ufficio della dedotta nullità della clausola relativa agli interessi, solo perché la pattuizione era intervenuta in epoca antecedente all'entrata in vigore della legge n.108/96: al contrario, avrebbe dovuto verificare se detta nullità sussistesse o meno, correlando il convenuto tasso degli interessi alla nuova normativa in tema di mora.

Ciò non ha fatto, di talché, in accoglimento del ricorso nei limiti precisati, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice, designato in diversa Sezione della Corte di Appello di Bologna, che si atterrà a quanto enunciato in tema di rilevabilità d'ufficio della nullità (eventuale) della clausola relativa agli interessi del contratto di mutuo.

È appena il caso di osservare che le considerazioni svolte dalla banca controricorrente circa i tassi massimi consentiti all'epoca della stipulazione del contratto ed alla stregua dei decreti attuativi della legge n.108/96, ai fini della qualificabilità o meno come usurari degli interessi medesimi, attengono al merito della controversia e non possono trovare ingresso nella presente sede di legittimità.

Allo stesso giudice di rinvio è demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna.

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Cassazione Civile, Sez. I, sentenza 26 ottobre 1999 – 22 aprile 2000, n. 5286

(Estratto)

(omissis)

… va anche precisato che una pattuizione di interessi intervenuta prima della entrata in vigore della legge n. 108/96 non può, stante il principio di cui all’art. 25, 2 comma, Cost., essere ritenuto penalmente rilevante sol perché detti interessi risultino superiori alla soglia fissata: ove il ricorrente (pur nella non chiara prospettazione del motivo sul punto) abbia inteso lamentarsi per la mancata considerazione, da parte della Corte territoriale, della natura criminosa della pretesa della banca, per questo aspetto la censura non potrebbe trovare accoglimento.

La Corte di merito, invece, avrebbe dovuto considerare che, alla stregua della nuova normativa, gli interessi concordati (in particolare, al tasso del 28%, applicato in sede di condanna da parte del Tribunale, con decorrenza dal 2 ottobre ‘82 e sino al soddisfo) erano divenuti usurari: in altri termini che la nuova normativa aveva travolto la relativa clausola.

A tale conclusione non è di ostacolo la circostanza che la pattuizione degli interessi sia avvenuta in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge n. 108 del 1996.

Sotto un primo profilo, va osservato che nel caso di specie non si pone il problema se il combinato disposto degli artt. 1339 e 1419, 2° comma, cod. civ., sia applicabile nel caso in cui la norma imperativa non prevede una clausola sostitutiva, limitandosi ad eliminare una clausola illecita (problema che si potrebbe porre, con riferimento alla nuova formulazione dell’art. 1815, 2° comma, cod. civ., nel caso di interessi pattuiti nell’ambito di un contratto di mutuo stipulato prima dell’entrata in vigore della nuova normativa), dal momento che non si tratta di non attribuire alcun interesse, ma di sostituire un tasso diverso a quello divenuto usurario.

Sotto altro profilo, se è vero che nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato, in via di principio, che il giudizio di validità deve essere condotto alla stregua della normativa in vigore al momento della conclusione del contratto, è anche vero che in dottrina è stato posto in rilievo come, verificandosi un concorso tra autoregolamentazione pattizia ed eteroregolamentazione normativa, si renda insostenibile la tesi che subordina l’applicabilità dell’art. 1419, 2° comma, cod. civ. all’anteriorità della legge rispetto al contratto, poiché l’inserimento ex art. 1339 c.c. del nuovo tasso incontra l’unico limite che si tratti di prestazioni non ancora eseguite (in tutto o in parte).

D’altro canto, la tesi ha trovato l’autorevole avallo della Corte Costituzionale nella sentenza n. 204 del 1997, che ha dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1938 c.c. proprio sulla base della considerazione che, pur avendo carattere innovativo la legge n. 154/92 e non applicandosi retroattivamente, tuttavia ciò non implica che la disciplina precedente "acquisti carattere ultrattivo, tale da consentire che la garanzia personale prestata dal fideiussore assista non solo le obbligazioni principali sorte prima dell’entrata in vigore della legge n. 154 del 1992, ma anche quelle successive, in modo da attribuire efficacia permanente alla limitatezza del rapporto di garanzia. In altri termini, l’innovazione legislativa che stabilisce la nullità delle fideiussioni per obbligazioni future senza limitazioni di importo, non tocca la garanzia per le obbligazioni principali già sorte, ma esclude che si producano ulteriori effetti e che la fideiussione possa assistere obbligazioni principali successive al divieto di garanzia senza limiti".

Sia pure con riferimento alla problematica riguardante il contratto di mutuo, ma con argomenti del tutto sovrapponibili alla fattispecie che qui interessa, la dottrina ha osservato, in via generale, che l’obbligazione degli interessi non si esaurisca in una sola prestazione, concretandosi in una serie di prestazioni successive e in particolare, che ai fini della qualificazione usuraria dell’interesse, il momento rilevante è la dazione e non la stipula del contratto, come si evince anche dall’art. 644 ter cod. pen. (introdotto dall’art. 1l legge n. 108/96), a mente del quale "la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dall’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale". (omissis)

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Cassazione, sez. I, 19-22 ottobre 1998 D'Agata e altri.

Presidente Sacchetti, estensore Canzio

Il reato di usura, a seguito dell'introduzione nel codice penale dell'art. 644 ter, può configurarsi, quando gli interessi siano incassati ratealmente, come delitto a condotta frazionata (o a consumazione prolungata).

(Omissis)

IV. Sui delitti di usura.

La difesa dei ricorrenti, escluso il Cristofani, con autonomi e però comuni motivi di gravame, si duole altresì che sia stata ad essi indiscriminatamente ascritta, in qualità di partecipi dell'associazione criminosa, la responsabilità - a titolo di concorso con il D'Agata - per i singoli delitti-fine di usurai, in riferimento ad un'attività, quella di collettori di interessi a vantaggi usurari, realizzati in un tempo successivo alla pattuizione: da un lato, le dichiarazioni accusatorie delle persone offese sarebbero intrinsecamente e logicamente inattendibili; dall'altro, la condotta addebitata sarebbe estranea alla consumazione del reato di usura.

Anche le riferite doglianze sono destituite di fondamento.

1. - Ed invero, contrariamente all'assunto dei ricorrenti, quel giudice si è fatto carico, innanzi tutto, del problema della credibilità delle parti lese, che ha risolto positivamente, valutandone la personalità in funzione della credibilità soggettiva anche sotto il profilo dell'interesse contrastante con quelli degli imputati ed evidenziando, con riferimento alle obiettive emergenze probatorie, come la parola di ciascuna di esse trovi ulteriori e davvero imponenti riscontri fattuali (intercettazioni telefoniche e ambientali, propalazioni accusatorie del Cristofani, sequestro di documentazione contabile).

Al riguardo, deve senz'altro rilevarsi che la esattezza delle suddette valutazioni non può formare oggetto di contestazione in questa sede, essendo notoriamente preclusi alla Corte di legittimità l'esame degli elementi fattuali e l'apprezzamento fattone dal giudice di merito al alfine di pervenire al proprio convincimento, una volta acclarato che l'utilizzazione delle fonti di prova ' stata condotta nella corretta osservanza delle regole di giudizio che disciplinano la valutazione della testimonianza della persona offesa dal reato e sorretta da adeguata e logica motivazione, che si sottrae a censura in questa sede.

2. - Non coglie nel segno neppure la contestazione mossa dai ricorrenti sotto il profilo dell'estraneità dell'attività di riscossione degli interessi usurari alla fattispecie criminosa realmente rilevante.

Ritiene il Collegio che la quaestio iuris, riguardante, a ben vedere, la natura del reato di usura e l'identificazione del momento consumativo di esso, meriti certamente di essere approfondita alla luce della radicale riforma del quadro normativo delineato con la riforma di cui alla L.7marzo 1996, n.108.

I caratteristici connotati di sinallagmaticità propri del momento iniziale della determinazione convenzionale di interessi o compensi usurari - in termini di promessa o, alternativamente, di dazione - non sembra siano in grado di esaurire in sé la condotta tipica della fattispecie criminosa di cui all'art.644 c.p., così degradandosi per la periodica, talora prolungata per numerosi anni corresponsione da parte della vittima dei medesimi interessi o vantaggi ad un post factum penalmente irrilevante.

S'intende dire che il tradizionale insegnamento giurisprudenziale, secondo cui il reato di usura è "reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti", nel senso che esso si consuma nel momento della stipula del patto usurario pur perdurandone le conseguenze nel tempo - in caso di promessa seguita da dazione - senza il compimento di un'ulteriore attività da parte dell'agente (CASS., SEZ. ii, 7 marzo 1997, Caioli; Cass. 7 marzo 1997, Riggiola, rv. 208374; Cass. 27 maggio 1992, Di Puccio, rv.192854; Cass. 24 aprile 1990. Di Rocco, rv. 186750; Cass. 18 febbraio 1988, Mascioli, rv. 178860: Cass. 8 novembre 1984, Rossi, rv.167813; Cass. 25 ottobre 1984, Perna, rv. 167798; e numerose altre conformi), apare incompatibile con il rilievo oggi assegnato alla "ultima riscossione" degli interessi usurari pattuiti dall'art. 644 ter c.p., introdotto dall'art.11 l. n. 108 del 1996, in tema di prescrizione del reato.

Sembra logicamente più convincente e condivisibile, alla stregua dell'odierno assetto normativo dell'istituto, la prevalente opinione dottrinale, secondo cui, qualora alla promessa segua - come abitualmente avviene mediante la rateizzazione nel tempo degli interessi usurari convenuti - la dazione effettiva, questa fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell'originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo "sostanziale" del reato: una situazione non necessariamente assimilabile alla categoria della "permanenza" - eventuale - del reato, ma configurabile secondo il duplice ed alternativo schema (proposto, ad esempio, da giurisprudenza e dottrina maggioritarie per l'ipotesi della corruzione: ex plurimis, Cass., sez. VI, 10 luglio 1995 Caliciuri) della fattispecie tipica del reato, che pure mantiene intatta la sua natura unitaria e istantanea, ovvero con riferimento alla struttura dei delitti c.d. a "condotta frazionata o a consumazione prolungata" (quale, ad esempio, la truffa inerente al conseguimento di prestazioni ed erogazioni periodiche da parte della pubblica amministrazione)...

Certo è che sarebbe davvero distonico, rispetto al consueto atteggiarsi - nella realtà sociale ed economica - del fenomeno usurario, sostenere l'estraneità alla struttura della fattispecie criminosa di quella modalità di realizzazione dell'illecito - la dazione degli interessi -, nella quale indubbiamente s'identifica la completa esecuzione del delitto e il massimo approfondimento della concreta e progressiva lesione dell'interesse protetto.

Rileva peraltro il Collegio, nell'esame dei fatti di usura contestati agli odierni ricorrenti, che il giudice di merito, pur avvertendo la novità dei profili interpretativi in tema di momento consumativo del reato e, dunque, di individuazione del termine ultimo per la partecipazione ad esso degli eventuali concorrenti, ai fini dell'addebito di responsabilità per la comprovata qualità dei ricorrenti di collettori degli interessi usurari, ne ha desunto il consapevole e volontario contributo concorsuale anche da altri e consistenti elementi fattuali.

Non vi è alcun dubbio che, attesa l'autonomia del reato di associazione rispetto alla realizzazione del programma criminoso, il ruolo di partecipo da taluno rivestito nell'ambito della struttura organizzativa non è di per sé solo sufficiente a far presumere, in forza di un inammissibile criterio di semplificazione dell'accertamento della responsabilità concorsuale, quel medesimo soggetto automaticamente responsabile di ogni delitto compiuto da altri appartenenti al sodalizio, sia pure riferibile all'organizzazione malavitosa e inserito nel quadro del programma criminoso: dei delitti-fine rispondono soltanto coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all'attuazione della singola condotta delittuosa, alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone nel reato.

Nella fattispecie in esame il giudice di merito ha tuttavia correttamente evidenziato gli elementi fattuali da cui inferire la piena consapevolezza del singolo socio dell'associazione in ordine alla concreta realizzazione dell'attività programmata di usure e di estorsioni, cioè quelle circostanze di fatto obiettivamente idonee a configurare l'ipotesi concorsuale nei singoli reati-fine rispettivamente addebitati ai ricorrenti in qualità di compartecipi delle singole attività delittuose, oltre quella di mero partecipe dell'associazione.

In particolare, si è argomentato che proprio la precisa divisione dei compiti all'interno dell'associazione postulava la presenza necessaria del D'Agata e quella eventuale di altri associati al momento della stipula del patto usurario, mentre altri associati aerano incaricati di curare, di volta in volta, l'esecuzione delle operazioni di riscossione degli interessi usurari, e che, una volta raggiunta la prova rigorosa dell'attiva partecipazione da parte dell'associato a quest'ultima fase esecutiva, pure successiva alla stipula del patto usurario, poteva ben dirsi provato il concorso dello stesso nel reato di usura, pertinente al programma criminoso del sodalizio e consumato secondo modalità previamente concordate fra i partecipi. (Omissis).

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SENTENZA N.376/2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI SIRACUSA

SEZIONE CIVILE

In persona del Giudice Istruttore Dr. Giacomo Cicciò in funzione di Giudice Unico ha pronunciato la seguente:

S E N T E N Z A

Nella causa avente ad oggetto: opposizione all'esecuzione, promossa:

DA

G.M.C. - opponente -

contro

BANCO DI ROMA S.P.A. , opposto -

All'udienza di precisazione delle conclusioni, i procuratori delle parti hanno concluso come da verbale della udienza del 4.2.2000, che qui si intende integralmente trascritto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 6 febbraio 1998 G.M.B. proponeva opposizione avverso l'esecuzione incoata nei suoi confronti da parte del Banco di Roma spa con atto di pignoramento presso terzi notificato in data 2 dicembre 1997.

Esponeva l'opponente che in data 31 gennaio 1986 fu stipulato fra D.M.S. e il Banco di Roma spa un contratto di mutuo per la somma di l. 30.000.000 cui partecipò la stessa quale fideiussore. A seguito del mancato pagamento da parte del D.M.S. delle rate di mutuo a far data dal 1 gennaio 1988, ed alla conseguente decadenza del beneficio del termine, l'opposto intimava il pagamento di somme applicando interessi al 17% annuo con capitalizzazione trimestrale ed applicazione della commissione di massimo scoperto pari allo 0.500%.

Deduceva l'opponente che ciò comportava la violazione della l.108/1996, con conseguente nullità della clausola relativa agli interessi, nonché dell'art. 1823 cc. Assumeva inoltre l'opponente che gli interessi maturati anteriormente al quinquennio sarebbero comunque prescritti.

In via principale domandava quindi declaratoria di nullità della clausola afferente agli interessi ai sensi dell'art. 1815 cc ed in subordine che fosse dichiarata non dovuta la capitalizzazione trimestrale e la commissione di massimo scoperto.

Si costituiva l'opposto contestando l'applicabilità della l.108/1996 al credito fatto valere con l'esecuzione, e che si sarebbe consolidato alla data del 1 gennaio 1988, non potendo tale normativa avere effetto retroattivo.

Deduceva inoltre che sia la capitalizzazione trimestrale degli interessi sia la commissione di massimo scoperto sarebbero dovute in virtù del contratto di conto corrente acceso ai sensi dell'art. 6 del contratto di mutuo, e contestava inoltre che si fosse verificata la prescrizione degli interessi maturati anteriormente a seguito di una serie di atti interruttivi della stessa.

Domandava quindi il rigetto della proposta opposizione. In corso di causa veniva rigettata dal Pretore l'istanza di sospensione dell'esecuzione ed all'udienza del 4 febbraio 2000 la controversia veniva riservata a sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Appare opportuno procedere ad una breve esposizione dei punti di fatto riguardanti la presente controversia così come emergenti dalle risultanze di causa. In data 31 gennaio 1986 veniva stipulato un contratto di mutuo fra il Banco di Roma spa e D.M.S. e G.M. con l'intervento quale terzo datore di ipoteca di D.M.S. . In forza di tale contratto il mutuante concedeva alla parte mutuataria la somma di l. 30.000.000, mentre la stessa si obbligava a rimborsare la somma predetta entro dieci anni (e ciò a mezzo di un conto di regolamento sul quale avrebbero dovuto effettuarsi le operazioni relative al rimborso del prestito - cfr. art. 6 del contratto) e con ulteriore obbligo di corrispondere interessi convenzionali pari al "prime rate" maggiorato di un punto e mezzo percentuale.

In caso di ritardo nei pagamenti si conveniva, salvo il diritto del mutuante di risolvere di diritto il contratto e di richiedere il rimborso anticipato del residuo dovuto per capitale ed interessi (cfr. art. 8), un interesse moratorio >nella misura del tasso convenzionale applicato al momento maggiorato di tre punti.

Appare pacifico e non contestato dalla stessa opponente che a partire dal 1 gennaio 1988 i mutuatari non corrisposero più le rate di mutuo, di talché il mutuante notificava alla opponente in data 30 ottobre 1990 un primo precetto per l. 27.319.521 oltre ad interessi al tasso di 17% annuo con capitalizzazione trimestrale e commissione di massimo scoperto pari allo 0,500% annuo.

In data 18 luglio 1992 veniva notificato alla opponente un secondo precetto per l. 41.061.673 oltre ad interessi ed ulteriori accessori ed infine in data 19 novembre 1997 veniva notificato un ulteriore precetto per la somma di l. 119.722.026 oltre agli accessori di cui sopra.

Tali elementi portano in primo luogo ad escludere che sia maturata alcuna prescrizione degli interessi maturati anteriormente al quinquennio (così come dedotto dall'opponente) a seguito degli atti interruttivi posti in essere dal mutuante, come sopra evidenziati.

Con successivo atto di pignoramento presso terzi notificato in data 2 dicembre 1997 veniva incoata la procedura esecutiva in questa sede opposta.

Venendo alle ulteriori doglianze svolte dall'opponente, questi lamenta in primo luogo che il tasso pari al 17% applicato sulla sorte capitale sia superiore al tasso soglia previsto dall'art. 2 comma quarto della l. 108/1996, il che ai sensi dell'art. 1815 secondo comma cc (introdotto dalla stessa legge) renderebbe nulla la clausola relativa agli interessi.

Occorre quindi in primo luogo verificare se la legge 108/1996 sia applicabile con riferimento ai contratti di mutuo stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore.

La scarsa giurisprudenza di merito sul punto appare alquanto divisa.

Secondo un primo orientamento (cfr. Trib. Salerno 27 luglio 1998; Trib. Roma 4 giugno 1998; Trib. Roma 10 luglio 1998) nessuna disposizione della legge antiusura sarebbe riferita alla sua eventuale efficacia retroattiva, di talché i contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore, e non ancora completamente adempiuti, sarebbero esclusi dalla sua applicazione. Secondo altro orientamento la condotta penalmente sanzionata riguarderebbe non solo il farsi promettere interessi da usura (il che avviene con la stipulazione del contratto), ma anche il farsi corrispondere interessi da usura ( il che avviene con il pagamento di ogni rata), di talché la sussistenza del reato dovrebbe essere appurata con riferimento non solo al momento della pattuizione, ma anche riguardo alla esecuzione del contratto (cfr. Cass. pen. 22 ottobre 1998).

Svolgendo tale premessa si giunge alla conclusione che il contratto di mutuo, originariamente lecito, diviene illecito (cfr. Trib. Firenze 10 giugno 1998) ovvero inefficace (cfr. Trib. Velletri 3 dicembre 1997), dal che discende che gli interessi pattuiti prima della l. 108/1996 saranno da corrispondere nella interezza fino alla entrata in vigore della legge, e nella misura consentita dalle nuove regole (tasso globale medio aumentato della metà) per il periodo successivo (cfr. Trib. Milano 13 novembre 1997, secondo il quale peraltro il saggio degli interessi da applicare sarebbe quello legale).

Da ultimo la Suprema Corte (cfr. Cass. 22 aprile 2000 n. 5286) ha ritenuto irrilevante la circostanza che la eventuale pattuizione degli interessi sia avvenuta anteriormente alla entrata in vigore della l. 108/1996.

L'obbligazione degli interessi infatti non si esaurisce in una sola prestazione, ma si concreta in una serie di prestazioni successive, e rilevante al fine della qualificazione usuraria dell'interesse sarebbe non già il momento della stipula del contratto, ma quello della dazione, come si evincerebbe anche dall'art. 644 ter cp. A parere dello scrivente, ed in conformità ad un opinione espressa in dottrina, la vicenda in esame è tale da integrare un'ipotesi di inefficacia sopravvenuta del rapporto contrattuale avente l'effetto di caducarne l'efficacia, seppure ex nunc. In altre parole verificandosi un concorso fra autoregolamentazione pattizia (all'epoca della conclusione del contratto del tutto immune da vizi) ed eteroregolamentazione normativa, gli effetti scaturiti dall'atto validamente perfezionato successivamente divenuti incompatibili con la volontà ordinamentale perderebbero da tale momento efficacia. Non può viceversa propendersi per un'interpretazione (quale quella svolta dall'opponente) volta all'app

La norma in esame appare infatti eccezionale ed insuscettibile di applicazione analogica prevedendo una assai severa sanzione (da autorevole dottrina definita quale pena privata) a carico dell'usuraio il quale convenga interessi usurari, mentre nulla prevede con riferimento alla dazione degli stessi.

Inoltre l'ipotesi in cui (come nel caso in esame) una convenzione originariamente lecita confligga con una normativa sopravvenuta con essa inconciliabile appare assai diversa dall'altra ipotesi (cui si riferisce l'art. 1815 secondo comma cc) in cui la convenzione appaia illecita (e come tale avvertita nel suo disvalore dalla parte mutuante) ab origine, e giustifichi quindi la sanzione della nullità della clausola relativa agli interessi. Né è possibile ritenere che la declaratoria di nullità della clausola degli interessi sortirebbe lo scopo di indurre le parti ad una sollecita negoziazione del contratto con un saggio di interessi pari al massimo consentito.

Una alternativa nel senso prospettato (o nuova negoziazione ad equità ovvero nullità della convenzione) condurrebbe viceversa al risultato che la parte mutuataria potrebbe imporre alla parte mutuante un saggio di interessi rimesso al proprio arbitrio ed eventualmente anche irrisorio. Ove infatti il mutuante non accondiscendesse ad una nuova negoziazione nei termini imposti dalla controparte, quest'ultima avrebbe sempre la possibilità di adire il giudice al fine di ottenere una declaratoria di nullità della convenzione degli interessi, il che porterebbe a conclusioni invero aberranti.

Alla luce di tali considerazioni deve ritenersi che gli interessi pattuiti prima della entrata in vigore della l. 108/1996 dovranno essere corrisposti nella loro interezza fino alla entrata in vigore dei decreti ministeriali (il primo dei quali è costituito dal D.M. 22 marzo 1997 relativo al trimestre 22 marzo 1997 - 30 giugno 1997) stabilenti il cd. tasso soglia cui l'art. 2 comma quarto della predetta legge rimette ai fini della qualificazione dell'interesse eccedente i limiti indicati come usurario, essendo fino a tale momento pienamente leciti, mentre riceveranno il limite della misura massima consentita dalla legge (tasso globale medio aumentato della metà) per il periodo successivo.

L'opponente ha inoltre dedotto che la clausola relativa agli interessi ultralegali sarebbe nulla in quanto indeterminabile, facendo essa riferimento al tasso di "prime rate" maggiorato di un punto percentuale (cfr. art. 3 del contratto).

Tale assunto è infondato in quanto per come si evince dal contratto, la misura degli interessi risulta predeterminata con riferimento a tassi numerici precisamente definiti, ed altresì applicata in adesione ai criteri convenuti (per la validità di un siffatto tipo di clausole, cfr. Cass. 11 novembre 1999 n. 12507) e con rispetto dell'obbligo della forma scritta previsto dall'art. 1284 cc.

L'opponente ha inoltre dedotto che non sarebbe dovuta la capitalizzazione trimestrale degli interessi e ciò da un lato per il fatto che essa sarebbe esclusivamente contemplata dal contratto di conto corrente e non già dal contratto di mutuo, il che non legittimerebbe una esecuzione forzata per le relative somme, e dall'altro per il disposto dell'art. 1283 cc che permette l'applicazione dell'anatocismo esclusivamente in presenza di un uso normativo in tal senso.

La capitalizzazione trimestrale risulta effettivamente prevista dall'art. 7 comma secondo del contratto di conto corrente, che l'art. 6 del contratto di mutuo richiama con riguardo alle operazioni relative al rimborso del prestito.

Tale richiamo operato dal contratto di mutuo al conto di regolamento, sul quale effettuarsi le operazioni relative al rimborso del prestito, implica evidentemente che le relative clausole entrano a fare parte della complessiva regolamentazione pattizia fra le parti.

Da ciò discende che gli accessori previsti dal rapporto di conto stipulato inter partes legittimamente vengono computati a credito dall'opposto, senza che possa ipotizzarsi alcuna novazione (come sostenuto dalla opposta).

Tale norma appare rivestire natura interpretativa essendo stata emanata sul presupposto di una situazione di incertezza espressa dai contrasti giurisprudenziali di cui si è fatto in precedenza cenno.

Come tale la norma in oggetto ha sicuramente efficacia retroattiva e ad essa non può attribuirsi funzione né integrativa né di convalida di clausole negoziali nulle (cfr., in questo senso, Trib. Roma 17 dicembre 1999), bensì una finalità ricognitiva di clausole negoziali anteriormente concordate e vigenti fra le parti.

Da ciò consegue che la clausola in questione deve ritenersi valida ed efficace (cfr., nello stesso senso, Trib. Palermo 17 dicembre 1999).

Per quanto attiene la commissione di massimo scoperto pretesa dal mutuante nella misura dello 0.500% ed asseritamente prevista nel contratto di conto corrente, si rileva che l'onere di indicazione e di allegazione della stessa grava evidentemente sulla parte che ne richieda la corresponsione.

Dalla normativa regolante i conti di corrispondenza prodotta dall'opposto non si evince viceversa la previsione di tale commissione, il cui relativo importo dovrà quindi essere detratto dalla complessiva somma azionata.

Il giudizio deve ora proseguire per la quantificazione delle somme spettanti all'opposto alla luce delle statuizioni testé svolte, previa nomina di CTU.

P.Q.M.

Non definitivamente pronunciando

1 - dichiara dovuti gli interessi applicati dall'opposto sulla sorte capitale, nella misura in cui non eccedano il tasso medio relativo alle operazioni di mutuo, come risultante dalle rilevazioni trimestrali operate dal Ministero del Tesoro di cui all'art. 2 comma primo della l. 108/1996, aumentato della metà, e ciò con decorrenza dalla prima entrata in vigore dei relativi decreti ministeriali e fino alla data del deposito della consulenza tecnica;

2 - dichiara non dovuta la commissione di massimo scoperto applicata dall'opposto;

3 - rigetta per il resto;

4 - dispone con separata ordinanza l'ulteriore istruzione della causa;

5 - spese al definitivo

Siracusa, 25 maggio 2000

Il giudice unico

(dott. Giacomo Cicciò)

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TRIBUNALE DI PARMA

Ufficio Esecuzioni Immobiliari

nella Causa Civile

tra INTESA GESTIONE CREDITI S.p.A., rappresentata dall’Avv. Andrea Mora e Avv. Piero Bazini, Parma;

e HOTEL PANORAMIK di Conti Renzo e Rocca Anna S.n.c., rappresentata dall’Avv. Antonio TANZA e Francesco MERGONI, Parma;

Il G.E., Dott. Sinisi, ha pronunciato la seguente ordinanza:

Il Giudice dell’Esecuzione,

letti gli atti ed a scioglimento della riserva che precede, osserva:

HOTEL PANORAMIK di Conti Renzo & C. S.n.c. ha proposto opposizione all’esecuzione immobiliare promossa, nei suoi confronti, da INTESA GESTIONE CREDITI S.p.a., in forza di tre contratti di mutuo fondiario e di erogazione a saldo e quietanza, per £. …………., i primi due per £. ……….., il terzo, sottoscritti pure da Rocca Anna, alle date 17 giugno 1994, 9 maggio 1995 e 18 febbraio 1997, a rate trimestrali e ad un tasso di ammortamento, rispettivamente: di 3.50 punti in più del T.u.s., 1,625%, in più del Prime Rate ABI, 1 punto in più del cit. Prime Rate, tempo per tempo vigente.

In particolare, i ricorrenti, pur avendo stipulato i primi due contratti in epoche antecedenti, invocano l’immediata applicabilità della legge 7 marzo 1996 n. 108.

Con essa, com’è noto, il legislatore, nel sostituire l’art. 644 c.p., ha previsto che "la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari" (art. 1, terzo comma); l’art. 2, quarto comma, ha individuato la soglia usuraria nel "tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma uno, relativamente alla categoria di operazioni cui il credito è compreso, aumentata della metà"; l’art. 4, infine, ha sostituito il secondo comma dell’art. 1815 c.c., nel senso che "se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi".

La questione è oggetto di ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

Sotto quest’ultimo profilo, l’orientamento prevalente – e condiviso da chi giudica – fra i giudici di merito, ma, a quanto pare ormai, anche di legittimità (cfr. CASS. 2 febbraio 2000 n. 1126 e 22 aprile 2000 n. 5286), è per l’immediata applicabilità della legge 108, e delle soglie via via indicate nella Gazzetta Ufficiale, nei rapporti di mutuo, quantomeno "limitatamente alla regolamentazione di effetti ancora in corso".

Nel caso de quo, ferme restando le somme riscosse, legittimamente stante la lettera del contratto stipulato, prima dell’iniziale rilevazione ministeriale, per quelle successive, ed oggetto della presente esecuzione, va valutato il superamento del tasso – soglia, avvenuto, per quanto riconosciuto dalla stessa difesa della creditrice opposta (fol. 10 comparsa di costituzione), laddove vengano ricompresi, nel calcolo, gli interessi di mora, applicati ai sensi dell’art. 3 del capitolato di patti e condizioni allegato al contratto.

La tesi di una loro non ricomprensione, propugnata dalla stessa difesa, attesa la loro natura marcatamente affittiva, finalizzata a consentire una liquidazione automatica, e forfetaria, del danno da inadempimento, quindi differente rispetto a quella degli interessi corrispettivi appare non condivisa dalla S.C., nella cit. sentenza n. 5286/2000, a prescindere dall’entità del superamento del tasso – soglia.

Ne consegue, sotto quest’ultimo profilo, la concorrenza di gravi motivi per aderire alla richiesta di sospensione della esecuzione, ai sensi dell’art. 624, comma primo, c.p.c..

Ciò posto, però, non deve sfuggire che, se controversa è la questione dell’ammontare complessivo dovuto ad INTESA GESTIONI, dai mutuatari inadempienti (dovendosi, tra l’altro, decidere se propendere per un mutuo diventato gratuito, stante il disposto del secondo comma dell’art. 1815 c.c. cit., ovvero se applicare, in luogo degli interessi contrattuali, laddove divenuti usurari, il tasso – soglia di tempo in tempo stabilito), pacifico è il mancato rimborso della somma capitale, ammontante, in precetto, al 27 settembre 1999, a £. 192.568.205 (mutuo n. 93396600), al maggio 1999, a £. 253.089.474 (mutuo n. 94162500), al 18 agosto 1999, a £. 82.589.755 8mutuo n. 20789000), rispetto alla quale non vi è ragione per sospendere l’esecuzione.

La S.C. ha, infatti, più volte affermato che l’intimazione di precetto per somma superiore a quella dovuta non produce la nullità di esso, dando luogo soltanto ad una riduzione della somma domandata, nei limiti di quella dovuta, rettifica validamente operabile nel corso del giudizio di esecuzione, senza che il precetto perda validità.

Come evidenziato dai Giudici di legittimità, se il legislatore non ha previsto, espressamente, la possibilità di sospendere parzialmente, l’esecuzione, la sospensione è prevista in un caso talmente simile a quello in esame (ult. comma dell’art. 624 cit.), che, per l’identità di ratio, può ben essere disposta anche in quest’ultimo (cfr., ad es., Cass. nn. 2938/1992, 1874/1993).

Si tratta d’impostazione chiaramente orientata all’esigenza di evitare che, per assurdo, venga sospesa totalmente l’esecuzione in caso di minimi errori per eccesso, contenuti nell’atto di precetto e giustificata anche dal fatto che, comunque, anche in caso di discrepanze maggiori, sarebbe incongruo addivenire alla sospensione totale, atteso che, fin quando il credito titolato non è semplicemente estinto per capitale, interessi e spese, sussiste ancora, in capo al creditore, il diritto di procedere ad esecuzione forzata (così, ad es., Pret. Torino, ord. 6 marzo 1996, De Benedetti c. Banco Ambrosiano).

p. t. m.

visto l’art. 624 c.p.c.,

sospende l’esecuzione per l’importo eccedente la sorte capitale in precetto, pari complessivamente a £. ……., oltre interessi, se ed in quanto dovuti, dalle varie date indicate per i singoli mutui, sino al soddisfo.

Visti gli artt. 616 e 180 c.p.c.,

fissa la prima udienza di trattazione, avanti a sé, per il ………., ore 10.00, con termine fino a venti giorni prima di essa, alla opposta, per proporre le eccezioni processuali o di merito non rilevabili di ufficio.

Si comunichi.

Parma, il 7 agosto 2000.

IL GIUDICE DELL’ESECUZIONE

(Sinisi)

_____________________

TRIBUNALE DI PARMA

Ufficio Esecuzioni Immobiliari

nella Causa Civile

tra INTESA GESTIONE CREDITI S.p.A., rappresentata dall’Avv. Andrea Mora e Avv. Piero Bazini, Parma;

e MASSARI Giuseppe e CONTI Elisabetta, rappresentati dall’Avv. Antonio TANZA e Francesco MERGONI, Parma;

il G.E., Dott. Sinisi, ha pronunciato la seguente ordinanza:

Il Giudice dell’Esecuzione,

letti gli atti ed a scioglimento della riserva che precede, osserva:

MASSARI Giuseppe e CONTI Elisabetta hanno proposto opposizione all’esecuzione immobiliare promossa, nei loro confronti, da INTESA GESTIONE CREDITI S.p.a., in forza di un contratto di mutuo ipotecario, dell’importo di £. …….., della durata di dieci anni, a rata mensile e ad un tasso di ammortamento dello 0,625%, in più del Prime Rate ABI, tempo per tempo vigente.

In particolare, i ricorrenti, pur avendo stipulato il contratto in data 3 agosto 1995, invocano l’immediata applicabilità della legge 7 marzo 1996 n. 108.

Con essa, com’è noto, il legislatore, nel sostituire l’art. 644 c.p., ha previsto che "la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari" (art. 1, terzo comma); l’art. 2, quarto comma, ha individuato la soglia usuraria nel "tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma uno, relativamente alla categoria di operazioni cui il credito è compreso, aumentata della metà"; l’art. 4, infine, ha sostituito il secondo comma dell’art. 1815 c.c., nel senso che "se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi".

La questione è oggetto di ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

Sotto quest’ultimo profilo, l’orientamento prevalente – e condiviso da chi giudica – fra i giudici di merito, ma, a quanto pare ormai, anche di legittimità (cfr. CASS. 2 febbraio 2000 n. 1126 e 22 aprile 2000 n. 5286), è per l’immediata applicabilità della legge 108, e delle soglie via via indicate nella Gazzetta Ufficiale, nei rapporti di mutuo, quantomeno "limitatamente alla regolamentazione di effetti ancora in corso".

Nel caso de quo, ferme restando le somme riscosse, legittimamente stante la lettera del contratto stipulato, prima dell’iniziale rilevazione ministeriale, per quelle successive, ed oggetto della presente esecuzione, va valutato il superamento del tasso – soglia, avvenuto, per quanto riconosciuto dalla stessa difesa della creditrice opposta (fol. 6 comparsa di costituzione), laddove vengano ricompresi, nel calcolo, gli interessi di mora, applicati ai sensi dell’art. 3 del capitolato di patti e condizioni allegato al contratto.

La tesi di una loro non ricomprensione, propugnata dalla stessa difesa, attesa la loro natura marcatamente affittiva, finalizzata a consentire una liquidazione automatica, e forfetaria, del danno da inadempimento, quindi differente rispetto a quella degli interessi corrispettivi appare non condivisa dalla S.C., nella cit.

sentenza n. 5286/2000, a prescindere dall’entità del superamento del tasso – soglia.

Ne consegue, sotto quest’ultimo profilo, la concorrenza di gravi motivi per aderire alla richiesta di sospensione della esecuzione, ai sensi dell’art. 624, comma primo, c.p.c..

Ciò posto, però, non deve sfuggire che, se controversa è la questione dell’ammontare complessivo dovuto ad INTESA GESTIONI, dai mutuatari inadempienti (dovendosi, tra l’altro, decidere se propendere per un mutuo diventato gratuito, stante il disposto del secondo comma dell’art. 1815 c.c. cit., ovvero se applicare, in luogo degli interessi contrattuali, laddove divenuti usurari, il tasso – soglia di tempo in tempo stabilito), pacifico è il mancato rimborso della somma capitale, ammontante, in precetto, al 3 settembre 1999, a £. …….., rispetto alla quale non vi è ragione per sospendere l’esecuzione.

La S.C. ha, infatti, più volte affermato che l’intimazione di precetto per somma superiore a quella dovuta non produce la nullità di esso, dando luogo soltanto ad una riduzione della somma domandata, nei limiti di quella dovuta, rettifica validamente operabile nel corso del giudizio di esecuzione, senza che il precetto perda validità.

Come evidenziato dai Giudici di legittimità, se il legislatore non ha previsto, espressamente, la possibilità di sospendere parzialmente, l’esecuzione, la sospensione è prevista in un caso talmente simile a quello in esame (ult. comma dell’art. 624 cit.), che, per l’identità di ratio, può ben essere disposta anche in quest’ultimo (cfr., ad es., Cass. nn. 2938/1992, 1874/1993).

Si tratta d’impostazione chiaramente orientata all’esigenza di evitare che, per assurdo, venga sospesa totalmente l’esecuzione in caso di minimi errori per eccesso, contenuti nell’atto di precetto e giustificata anche dal fatto che, comunque, anche in caso di discrepanze maggiori, sarebbe incongruo addivenire alla sospensione totale, atteso che, fin quando il credito titolato non è semplicemente estinto per capitale, interessi e spese, sussiste ancora, in capo al creditore, il diritto di procedere ad esecuzione forzata (così, ad es., Pret. Torino, ord. 6 marzo 1996, De Benedetti c. Banco Ambrosiano).

p. t. m.

visto l’art. 624 c.p.c.,

sospende l’esecuzione per l’importo eccedente la sorte capitale in precetto, pari complessivamente a £. ………, oltre interessi, se ed in quanto dovuti, dal 3 settembre 1999 sino al soddisfo.

Visti gli artt. 616 e 180 c.p.c.,

fissa la prima udienza di trattazione, avanti a sé, per il ………. 2000, ore 09.45, con termine fino a venti giorni prima di essa, alla opposta, per proporre le eccezioni processuali o di merito non rilevabili di ufficio.

Si comunichi.

Parma, il 7 agosto 2000.

IL GIUDICE DELL’ESECUZIONE

(Sinisi)