Spesa energetica ridotta anche dalle  detrazioni fiscali al 36 o al 55 per cento

 

Condominio: nuovo impianto a costo zero o ridotto

 

Risparmiare costa. Questo è l’apparente paradosso per chi si scontra con una delle spese più pesanti nel bilancio familiare, quella del riscaldamento invernale. Chi infatti vuole ridurre drasticamente l’importo delle bollette di gasolio e metano, deve eseguire delle opere impiantistiche o edili, avvalendosi delle nuove tecnologie esistente sul mercato. Quindi deve prima investire un bel po’ di denaro per pagare i lavori, soldi che non sempre sono disponibili..

Ma questa regola può avere un’importante eccezione: la trasformazione dell’impianto termico in condominio a costo zero o comunque ridotto. Possibile? Possibilissimo, ma a certe condizioni.

Prima di continuare, è necessaria una premessa. Buona parte degli impianti centralizzati condominiali è stata installata a cavallo del periodo Anni ’50 e ’70, quelli del boom edilizio e del petrolio a basso costo. Apparecchi e materiali utilizzati non erano il massimo e, soprattutto, l’interesse verso il risparmio energetico tendeva a zero. Oggi quindi chi voglia intervenire su uno di questi impianti obsoleti ha la certezza matematica di tagliare radicalmente i costi energetici, in certi casi fino al 50-60%. Purché voglia investire, naturalmente, per esempio adottando le nuove caldaie a condensazione che, è vero,costano quasi il doppio di quelle tradizionali, ma il cui investimento per l’acquisto e installazione è agevolato dalla detrazione fiscale del 55%.

Ma è proprio il futuro risparmio energetico finale che ha creato uno spazio di azione per le nuove Esco (acronimo di Energy service company, società di servizio energia), la cui esistenza è stata riconosciuta recentemente dalla legge (e in particolare dal Dlgs 30 maggio 2008, n. 115). Una Esco non ha solo scopo di fornire efficienza energetica ai clienti, ma deve dimostrare che, per farlo, affronta un certo margine di rischio imprenditoriale.

Formule: il prestito. I metodi per finanziare l’opera sono diversi. E’ possibile anche la formula “costo zero”. In sostanza il condominio continua a pagare per un certo numero di anni una somma per i costi energetici (compreso quello di assistenza all’impianto) pari a quella che versava in passato. Trascorso questo periodo, si trova un impianto nuovo e più efficiente , e bollette energetiche minori. “In sostanza”, spiega Fabrizio Rigoni, della Escoeurope, “si utilizza il denaro risparmiato dalle bollette dopo l’intervento per pagare le rate di un prestito chirografario sottoscritto dal condominio con una banca convenzionata con la Esco”. Quindi, benché  il “costo zero” sia solo  apparente (in fondo chiedere un finanziamento significa pur sempre versare interessi alla banca), il rendiconto del condominio non sarà aggravato da nuove spese, anche se non si sfrutterà a pieno per qualche anno le potenzialità di minor spesa dall’impianto nuovo.

Il fai da te. La seconda via è quella che il condominio si assuma per intero il costo dell’intervento il primo anno (per quanto ridotto grazie alla detrazione del 55% sul risparmio energetico). Dopo la botta iniziale, sin dal secondo anno il risparmio garantito (da un minimo del 30 fino al 65%) contribuirà a rifondere i proprietari, nel giro di quattro o cinque anni. Passato il periodi di ammortamento, si inizia a guadagnare.

Il finanziamento parziale. La terza via è una soluzione mista tra le prime due: “Per i primi tre anni”, spiega Silvano Bettini, responsabile Marketing della Giovanni Caroli, “ogni condomino dovrà spendere una cifra ragionevole in più rispetto a prima, sui 1.000-1200 euro, sotto forma di canone per una locazione a riscatto di impianti e apparecchi concessi dall’azienda. Nel frattempo godrà per lo stesso periodo  della detrazione del 55%. Passato questo periodo, godrà della riduzione dei costi”.

Agevolazioni fiscali. A dare, quindi,  una mano all’operazione  stanno le detrazioni del 55 % e del 36% sul recupero. La prima è in grado di coprire (per quanto “a rate”) la maggioranza dei costi di sostituzione di un impianto tradizionale con uno servito da una caldaia a condensazione nonché eventuali coibentazioni della struttura dell’edificio o, in qualche caso, l’installazione di pannelli solari termici che aiutino la produzione di acqua calda.. La seconda può intervenire in caso di necessità di alcune opere edili non direttamente collegate alla trasformazione dell’impianto (le due detrazioni non sono cumulabili per la stessa opera).

L’immobile vale di più. Non e finita. Il valore di mercato un immobile con un più alto grado di efficienza impiantistica (che verrà attestato da una “certificazione energetica”) è potenzialmente più elevato di quello dello stesso appartamento gravato da alti consumi di gasolio o di metano. Ciò mette a tacere anche le obiezioni del condomino volesse mettere in vendita entro pochi anni il proprio appartamento, senza perciò godere dei risparmi energetici per tutta la durata della vita dell’impianto.

 

 

Condizioni

L’intervento delle Esco è di fatto richiesto solo negli stabili in cui esiste già un riscaldamento centralizzato: tante caldaie singole sarebbero comunque ingestibili e il passaggio da termoautonomo a centralizzato ha alti costi e talora difficoltà tecniche di realizzazione (costruzione o adattamento di un locale per ospitare la caldaia, nuova canna fumaria, eccetera), oltre ad essere visto di mal’occhio dagli esperti del risparmio energetico.

Resta tanto più conveniente quanto più ricorrono alcuni fattori:

a) la caldaia è verso la fine del proprio ciclo di vita, e presto andrà comunque sostituita;

b) l’impianto è particolarmente inefficiente o malamente calibrato rispetto ai bisogni attuali;

c) nell’immobile esistono un certo numero di proprietari che passano buona parte della giornata fuori casa (in genere al lavoro, ma lo stesso discorso vale per coloro che utilizzano la casa come alloggio di villeggiatura). Infatti si adatterà l’impianto alla contabilizzazione del calore, dando la possibilità di spegnere (o abbassare) la temperatura dei caloriferi durante le ore di assenza.

Un altro presupposto è che si affidi alla Esco per un lungo periodo di tempo (nove o dieci anni, in genere) il compito della manutenzione e dell’esercizio della caldaia e le relative responsabilità. Il contratto pluriennale è infatti una necessità strategica sia per la ditta che per il cliente: la prima perché si è impegnata a garantire l’effettivo risparmio per un certo numero di anni, il secondo perché deve poter avere sotto mano l’azienda che ha preso questo impegno, e se è il caso poter imporre ulteriori interventi, anche gratuiti, in caso di inadempimento.

Il contratto utilizzato ad hoc è il cosiddetto “servizio energia” dei cui possibili pregi parliamo in altra parte di questa pagina.

 

 

 

Il contratto di gestione calore

 

I contratti di “servizio energia” e quelli di “gestione calore” erano purtroppo, fino a ieri , utilizzati indebitamente come sinonimi grazie al fatto che nessuna norma, ma solo interpretazioni (Circolare n. 273 /1198 delle Entrate) ne dava una chiara definizione. Dal 4 luglio 2008 in poi però, il Dlgs n. 115/2008, dettando i requisiti minimi del contratto di servizio energia, li ha differenziati in modo non dubbio l’uno dall’altro.

Il contratto di gestione calore nasce da un’intuizione: la ditta che gestisce la caldaia centralizzata, anziché far pagare il combustibile utilizzato, garantisce contrattualmente a un prezzo predeterminato l’erogazione di una certa quantità di calore negli appartamenti, in genere da 20 a 22 gradi, previsti del resto dalla legge. In altre parole si assume un certo rischio professionale: se l’inverno è particolarmente freddo, potrà perderci, se invece è caldo, ci guadagnerà. L’eventuale incremento (o decremento) dei costi del combustibile, invece, non è incluso nel rischio: se supera una certa percentuale viene conteggiato in aumento (o più raramente, in diminuzione) del forfait fisso annuale.

Ma perché le norme sul risparmio energetico hanno voluto a suo tempo riconoscere questo contratto? Semplice: si riteneva che fosse tutto interesse delle aziende che forniscono gasolio o che comunque gestiscono caldaie a metano tenere nel massimo di efficienza gli impianti: questo perché tanto più il rendimento degli apparecchi e dei condotto è efficace, tanto più l’azienda che garantisce una certa quantità di calore nello stabile, risparmia sul combustibile.

La “gestione calore”, se ben condotta, può essere una scelta ragionevole. Purtroppo non sempre i buoni propositi legislativi si sono tradotti in pratica. In alcuni casi aziende poco serie l’hanno manipolata a proprio vantaggio. La società, talora in accordo con un amministratore condominiale poco serio, sollevava  grave allarme sul mancato adeguamento alle leggi sulla sicurezza e sul risparmio energetico: per mettere a posto le cose occorreva quindi che il condominio sborsasse una cifra consistente. Sollevato, a torto o a ragione, il polverone in assemblea condominiale, i proprietari dell’edificio si trovavano di fronte a un bivio: o sganciare subito quanto previsto, oppure accettare un contratto di lunga durata in cui erano inglobati i lavori giudicati necessari. In sostanza così si riusciva a dilazionare la spesa necessaria in più anni. Spesso il contratto prevedeva che gli apparecchi installati restassero di proprietà della ditta di gestione calore per tutta la durata del contratto, per essere riscattati solo alla sua fine per una cifra simbolica: così il condominio era comunque costretto a tenersi stretta la ditta, anche se inefficiente, salvo il pagamento di penali altissime. Nei contratti di questo tipo, talora erano in questi casi malamente specificati i lavori da eseguire e ignorati gli obiettivi di risparmio energetico da conseguire. Risultato: il condominio pagava molto più di prima la bolletta, ottenendo in cambio ben poco. Il contratto veniva poi impropriamente chiamato di “servizio energia” anche per permettere alla ditta di fornire il combustibile, cosa impossibile per altri tipi di contratto e per godere della riduzione dal 20 al 10% dell’Iva. .

 

 

Contratto ad hoc. Il Dlgs 115/2008 ha introdotto una serie di requisiti

 

I paletti del servizio energia

 

Il decreto legislativo n. 115/2008 prevede una serie di requisiti perché un contratto possa definirsi “di servizio energia” . Il più innovativo è senz’altro la necessità di redigere un attestato di certificazione energetica dell’edificio (o di qualificazione, per le Regioni che non hanno dettato una disciplina apposita). L’attestato è composto da due parti. Nella prima si fotografa il fabbisogno di energia dell’edificio, inquadrandolo in una classe di rendimento (dalla A, la più “virtuosa”, alla G, la più “sprecona”, un po’ come succede per gli elettrodomestici). Nella seconda parte si danno una serie di consigli su interventi per migliorare la qualità energetica dell'immobile e degli impianti, che dovrebbero essere valutati singolarmente in termini di costi e di benefici, magari introducendo anche l'uso delle fonti rinnovabili di energia.

Se nel corso del contratto si interviene sull’impianto, rinnovandolo, occorrerà redigere al termine dei lavori una nuova certificazione energetica. Dal confronto tra la prima e la seconda certificazione dovrebbe essere possibile valutare l’efficacia dell’intervento eseguito. Una seconda certificazione è comunque prevista dal nuovo decreto nel caso in cui il contratto di servizio energia venga rinnovato alla sua scadenza.

Non e finita: l’azienda che fornisce il servizio energia deve dare indicazione se gli impianti sono in regola o, in alternativa, indicare gli eventuali interventi obbligatori ed indifferibili da effettuare per la messa a norma,, con citazione esplicita delle norme non rispettate.

Infine il nuovo decreto prevede che i costi contrattuali siano dettagliati. “Deve essere specificato”, spiega Rigoni, “quali attengono ai consumi, quali invece alle opere impiantistiche o edili, quali infine ad altri servizi connessi (per esempio la redazione dell’attestato di certificazione energetica)”. I costi passati debbono essere standardizzati in modo tale da poterli confrontare con quelli futuri, in modo tale da permettere di capire se e quanto si è migliorato il rendimento termico dell’edificio.

Questi requisiti, validi per tutele gestioni calore, divengono cruciali in caso di intervento di una Esco la cui ragione d’essere è impegnarsi per migliorare l’efficienza. In particolare, i contratti con le Esco, oltre che dalla certificazione energetica, dovrebbero essere giustificati da una diagnosi energetica aggiuntiva, volta non solo a “consigliare” delle opere, ma bensì a programmarle, garantendo per ciascuna di esse dei risultati minimi. Quanto alla certificazione energetica dello stabile e dei singoli appartamenti, essa è normalmente parte integrante del contratto, come costo aggiuntivo (che si aggira grossomodo sui 1.000-1.200 euro ad appartamento).

Ed è proprio per le Esco che il Dlgs ha varato il “Contratto Energia Plus”, nel quale deve essere previsto una riduzione di perlomeno il 10% del fabbisogno energetico per la prima durata contrattuale e di un altro 5% all’eventuale rinnovo.

 

Le garanzie dell’Energy manager. Sul fabbisogno reale non esistono certezze

 

Variabili i tagli sui costi

 

Ma fino a che punto si spinge una Esco nel dare garanzie?

L’Energy manager si impegna contrattualmente solo a dire, per esempio: “Se prima dell’intervento il condominio utilizzava una certa quantità media di combustile per produrre un kiloWatt all’ora, garantiamo che utilizzerà (per esempio) il 25% in meno”.

Aggiungerà poi: “Secondo le nostra esperienza, oltre a questo 25%, un altro 20% almeno di risparmio è conseguibile dalla contabilizzazione del calore. Infatti i condomini vengono responsabilizzati: pagheranno di meno se spengono le valvole dei caloriferi nelle ore in cui sono fuori casa, o abbasseranno comunque la temperatura nelle stanze in cui risiedono poco (per esempio in quelle da letto)”. Il risparmio da contabilizzazione prevedibile varia però anche dalle abitudini e dalla tipologia dei condomini: sarà più elevato se c’è molta gente che lavora la maggior parte del giorno fuori casa (o anche negozi nel palazzo che non hanno bisogno di scaldare nelle ore serali, le più fredde). Se invece nell’edificio sono tanti i pensionati che stanno quasi sempre in casa, il risparmio sarà minore. Inoltre l’Energy manager non potrà mai sapere se esisteranno proprietari dissennati, che anziché risparmiare sul calore (e quindi pagare meno) tengono i caloriferi al massimo aprendo nel contempo le finestre. Perciò sul risparmio da contabilizzazione la Esco non può prendere impegni netti.

Poi c’è il discorso dei prezzo del combustibile, e del metano, in particolare. La Esco non può sapere se cresceranno, e di quanto. Perciò si cautela, sottoponendo il contratto a clausole di indicizzazione. A questo proposito vale però una riflessione: l’incremento dei prezzi colpisce sia chi ha trasformato l’impianto termico che chi non lo ha trasformato. Quindi, paradossalmente, tanto più i prezzi dei combustibili aumentano, tanto più cresce il risparmio che si ottiene dopo le opere, e viceversa.

Infine c’è il discorso degli inverni più o meno freddi. Dato che la Esco garantisce una temperatura minima nei locali, tanto più farà freddo tanto, più si spenderà e tanto più i mesi invernali sono miti, tanto meno di pagherà. Ma a questo proposito vale lo stesso discorso dei prezzi dei combustibili: tanto più si spende, tanto più si risparmia rispetto a prima.

Attendibilità. Poiché “fatta la legge, fatto l’inganno”, in Italia stanno spuntando dal nulla nuove Esco che non dovrebbero potersi definire tali. Come riconoscere quelle credibili? “A mio avviso”, afferma Silvano Bettini, della Giovanni Caroli, “l’unica cartina di tornasole per la scelta è accertarsi che l’azienda abbia in passato ottenuto e commercializzato i cosiddetti “certificati bianchi”, titoli di efficienza energetica concessi dal Gestore del Mercato Elettrico solo alle aziende che abbiano fatto risparmiare i propri utenti tramite interventi tecnologici atti a ridurre il consumo”. Poiché non esiste un elenco delle aziende che li hanno conseguiti, non resta che chiederne riscontro alla Esco che si candida per la gestione del nostro impianto.  

 

Maggioranze: basta quella ordinaria

 

Gli interventi effettuati da un Energy manager sugli impianti condominiali prevedono quasi certamente l’adozione della contabilizzazione del calore al vecchio impianto centralizzato. Diviene perciò semplice sapere a quale norma riferirsi, in merito alle maggioranze condominiali necessarie: si tratta del comma occupa 5 dell’articolo 26,della legge 10/1991, in cui si dice che l’assemblea decide a maggioranza, in deroga agli articoli 1120 e 1136 del Codice civile. Quale sia la maggioranza necessaria è dubbio (dal momento che in condominio ne esistono diverse). Probabilmente si tratta quella ordinaria, in quanto non diversamente specificato. E cioè metà +1 degli intervenuti e almeno 500millesimi (in prima convocazione) e la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno 1/3 dei condomini e 1/3 millesimi (in seconda convocazione). Ma c’è chi pensa diversamente e prevede la maggioranza dei presenti e delle quote o (Tribunale di Roma, sentenza 39236/2000) la semplice maggioranza dei presenti.

Di per sé l’intervento non abbisognerebbe di una relazione o una diagnosi termica che lo giustifichi, ma questa necessità sorge senz’altro quando è coinvolta una Esco (che deve giustificare i lavori di trasformazione), che perdipiù firma un contratto di servizio energia (vedi articolo apposito).

 

 

 

Vecchi modelli sostituiti con quelli a condensazione

 

Il cambio della caldaia è il primo investimento

 

Degli interventi più comuni in condominio abbiamo già parlato: si tratta quantomeno di sostituire la caldaia con un modello a condensazione e di adottare la contabilizzazione e termoregolazione di ogni singolo appartamento. Ciò consiste, almeno nei condomini più vecchi in cui l’impianto è di tipo verticale (una singola tubazione serve una colonna di caloriferi più o meno sovrapposti, piano dopo piano), nell’installare su ciascun calorifero valvole termostatiche. Con opportuni accorgimenti (una centralina che raccolga i dati da tutti gli ambienti) è possibile gestire la caldaia a distanza, per esempio dalla sede della ditta di servizio, in qualche caso riuscendo anche a diagnosticare eventuali mal funzionamenti. Ulteriori investimenti possono essere necessari nel caso di trasformazione da gasolio a metano del combustibile. Tra questi l’adeguamento dei locali delle caldaie alle prescrizioni di sicurezza previste per il metano (che sono diverse) e la necessaria riduzione del diametro dei camini e delle canne fumarie (realizzabile infilando nuovi “tubi” in quelli esistenti). Infine, naturalmente, occorrerà por riparo ad eventuali “buchi” nell’applicazione delle norme sulla sicurezza e sul risparmio energetico. Il nuovo impianto, grazie alla termoregolazione,  darà la possibilità di optare nei mesi invernali per l’accensione continua (24 ore su 24, anziché, per esempio, 12 ore su 24). Quest’ultima garantisce senz’altro maggiore comfort (se torno a casa dal lavoro alle 9 di sera e la caldaia si spegne alle dieci, come farò a scaldare se i caloriferi erano spenti?). E,  al contrario di quel che si potrebbe pensare, può permettere minori consumi e anche minore inquinamento . Ogni avviamento della caldaia provoca infatti forte consumo di carburante per raggiungere la temperatura ideale e  accorcia la vita dell’apparecchio. Provoca infatti veri e propri stress termici, dovuti alla successiva dilatazione (per riscaldamento) e contrazione (per raffreddamento) delle lamiere dell’apparecchio che, con il passare del tempo, funzionerà sempre peggio.

Un altro intervento abbastanza comune consiste nel coibentare zone del palazzo che presentino perdite di calore particolarmente elevate. E’ il caso per esempio dei tetti o comunque dei sottotetti, degli androni sovrastati da appartamenti, o delle cantine con al di sopra da locali abitati e infine di pareti esposte a nord e poco protette. Talora si interviene anche sui “ponti termici”, cioè su parti della struttura in cui l’accostamento tra materiali, la presenza di sporti o di tratti di pareti sottili creano dei “buchi” localizzati nella tenuta delle strutture. Tipici ponti termici sono i pilastri, gli agganci dei balconi, le nicchie che accolgono le tapparelle o quelle sotto finestra che ospitano caloriferi. Identificarli senza ombra di dubbio è abbastanza semplice: bastano delle termografie, cioè delle foto i cui colori evidenziano le zone fredde e quelle calde della struttura.

Molto più raramente si arriva anche alla coibentazione “a cappotto”, mentre un po’ più diffusa è l’installazione di pannelli solari termici che aiutino la produzione di acqua calda sanitaria.

Non strettamente legata agli impianti termici ma alla produzione di energia elettrica è l’installazione di pannelli fotovoltaici, usufruendo delle succose agevolazioni del “conto energia” (che permette di retribuire attraverso incentivi statali ogni kilowatt prodotto).

 

 

I conti in tasca al condominio

 

L'INTERVENTO FINANZIATO

I costi previsti per l'installazione di un nuovo impianto in un condominio-tipo previo finanziamento di nove anni (importi in euro)

Voci di costo

Euro

Costo intervento

52.000

Costo intervento con finanziamento

70.767

Costo globale annuo

7.863

Costo globale annuo al netto della detrazione 55%

4.685

Fonte: Esco Europe

 

 

A CONFRONTO

Consumi e spese prima e dopo l'installazione di un nuovo impianto in un condominio-tipo previo finanziamento della durata di nove euro (importi in euro)

Condominio

Media per appartamento

Prima

Dopo

Diff./risparmio

Prima

Dopo

Diff./risparmio

Fabbisogno termico annuo (in kWh)

154.000

130.900*

23.100

8.556

7.272*

1.284

Costo del kWh

0,14

0,088

0,052

0,14

0,088

0,052

Costo annuo finale

21.818

16.185**

5633**

1.212

899**

313**

 

11.500***

10318***

 

639***

573***

***Dal decimo anno in poi

Fonte: elaborazione del Sole 24 Ore su dati Esco Europe

 

 

 

Questa simulazione prudenziale, e relativa a un condominio di 18 unità abitative a Verona, in cui  si eseguono opere di trasformazione da gasolio a gas dell’impianto,  messa a norma, nuova caldaia a condensazione, pompe inverter ,valvole termostatiche e contabilizzazione radio consumi. Si ricorre a un mutuo chirografario per finanziare i lavori della stessa durata del contratto alla Esco (9 anni) e in cui anche la detrazione fiscale si gode nello stesso periodo (9 anni). A fini del bilancio finale dei primi 9 anni del contratto opere+interventi+finanziamento comportano una spesa annua si 16.218 euro contro i 21.818 euro della gestione annua precedente. Naturalmente non si tien conto di eventuali incrementi del costo del combustibile (che sarebbero peraltro gravati sul condominio anche se non avesse eseguito i lavori).

La stima è prudente anche perché e calibrata sulle possibilità di famiglie con basso reddito: resterebbe possibile per le altre chiedere un mutuo chirografario di durata minore o sostenere esse stesse i costi, con il risultato di spender meno alla fine del periodo contrattuale. Del resto, una parte dei condomini può scegliere di finanziarsi con il  prestito e l’altra no.