La nullità nei contratti di locazione

 

Quando una locazione è nulla (e quindi è come se non fosse mai esistita)? La domanda è sempre di attualità, ma acquista un interesse in più alla luce del progetto di legge finanziaria, che vorrebbe rendere nulle non solo i contratti di locazione non scritti, ma anche quelli non registrati.

Per il momento, la legge n. 431 del 1998 di riforma delle locazioni si limita a stabilire che  “per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta “ (art. 1, comma 4). Pertanto, se il contratto è verbale, e non è riportato sulla carta, la locazione dovrebbe essere invalida e quindi l’inquilino potrebbe trasformarsi in “occupante abusivo”. Tuttavia, in un altro comma (il 5 dell’articolo 13), stabilisce che nei casi in cui il proprietario “abbia preteso” che si facesse un affitto in nero, senza contratto scritto, il giudice può ricondurlo a regolare, determinando il canone in misura pari a quello previsto per i contratti convenzionati dagli accordi locali (quindi, in misura inferiore a quello di mercato).

Sull’interpretazione di questo comma la giurisprudenza si è già divisa. C’è chi, individuando nell’inquilino il "contraente debole" del rapporto, in mancanza di contratto scritto ha presunto che fosse comunque il locatore a <pretendere> la forma verbale, con le conseguenze che ne derivano (riconduzione del contratto a convenzionato, restituzione delle somme pagate in più). E c’è invece chi (Tribunale di Varese, 16 maggio 2000), ha affermato, più in linea con la lettera della legge, che se davvero pretesa c’è da parte del padrone di casa, deve essere provata. Tra l’altro, anche l’inquilino avrebbe dei vantaggi dalla mancanza della forma scritta, in quanto si troverebbe in una posizione di forza. In caso di morosità, infatti, sarebbe il locatore, per esempio per agire con il  procedimento di convalida di sfratto, a dover dimostrare l’esistenza del rapporto, incontrando l’ostacolo della mancanza di prove documentali.

Un discorso diverso è quando inquilino e locatore stipulino contemporaneamente due diversi contratti, entrambi a canone libero.  Nel primo, magari regolarmente registrato, si stabilisce un certo affitto mensile. Nel secondo, un affitto superiore. In tal caso, la giurisprudenza sembra unanime: vale il secondo contratto, mentre il primo è da considerarsi, semplicemente, una simulazione. Il proprietario rischia solo eventuali sanzioni fiscali, per aver denunciato un canone inferiore a quello reale sia ai fini Irpef che a quelli dell’imposta di registro. L’inquilino non ha poi diritto alla restituzione delle somme versate in più e si potrebbe veder contestata anche la somma non versata al Fisco per la registrazione del contratto (i cui costi sono suddivisi in genere a metà tra i due contraenti). Cassazione e Corte Costituzionale hanno infatti chiarito che la mancata registrazione di un contratto di locazione scritto non ha effetti sulla sua validità (la misura che adesso la Finanziaria vorrebbe introdurre).

Resta un dubbio: nel caso in cui il primo contratto, quello simulato, sia a canone convenzionato (anche allo scopo di godere di agevolazioni fiscali) e il secondo, quello che si vorrebbe “reale”, a canone libero, è possibile far valere la simulazione? La risposta è: “probabilmente sì”.

 

Gli espedienti per evitare un “normale “ contratto di locazione

 

.La fantasia italica si è sbizzarrita nell’arzigogolare espedienti per evitare la stipula di un regolare contratto di locazione. D’altronde, il fatto che la legge di riforma degli affitti risalga “solo” a sei anni fa non ha consentito alla Cassazione, dati gli infiniti tempi dei processi, di dare sufficienti giudizi di legittimità e interpretazioni. Lo vedremo, analizzando, uno per uno, i tipi di contratti più in voga, tra quelli alternativi a quelli stabiliti dalla legge 431/98

Nessun contratto. Nonostante i suoi pericoli, è ancora un sistema diffuso scelto preferibilmente se l’inquilino non è un perfetto sconosciuto, ma è un amico o comunque una persona caldeggiata da qualcuno. Le conseguenze della mancata forma scritta sono esaminate nell’articolo dedicato alla nullità dei contratti.

Somme in nero. Quando esiste un regolare contratto, a un certo canone, capita che il locatore chieda all’inquilino di versare denaro “fuori busta”, in genere in contanti. Questa formula ha almeno due varianti. La prima è la buona entrata. La somma in nero viene erogata tutta insieme, prima dell’inizio del contratto di locazione. L’alternativa è che venga versata invece mese per mese, o comunque a scadenze regolari.

Comportamenti di questo genere possono essere colpiti dai commi 1 e 2 dell’articolo 13 della legge n. 431/98 che stabilisce  che e’ nullo ogni patto che preveda un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, o che crei eccezioni ai limiti di durata previsti dalla legge. L’inquilino, può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in eccedenza al canone risultante dal contratto scritto e registrato. L’azione in giudizio si può proporre fino a sei mesi dopo dalla riconsegna dell'immobile locato.

La messa in moto di questo meccanismo non è però scontata. Infatti può ben darsi che esistano due diversi contratti a canone libero, entrambi scritti. Ne parliamo nell’articolo sulla nullità dei contratti

Falso comodato. Consiste nello stipulare un contratto scritto, registrato o meno, in cui si concede in uso gratuito una casa, mentre in realtà essa viene affittata e i soldi sono incassati in nero. Il comodato ha il vantaggio di prevedere durate del contratto a scelta (con liberazione dei locali,al limite, dietro semplice richiesta) e di poter far lecitamente pagare le spese condominiali e per le utenze al comodatario-inquilino. Anche per il comodato simulato vale quanto affermato nell’articolo sulla nullità dei contratti. Se il contratto di locazione “di fatto” è scritto, si può far valere come valido (perfino se non è registrato). Il proprietario, da parte sua, rischia solo le sanzioni fiscali e l’inquilino non può chiedere la restituzione delle somme. Lo ha chiarito la Cassazione, con sentenza 27 ottobre 2003, n. 16089. Viceversa, se non esiste contratto scritto, il comodato resta l’unico patto valido.

Foresteria. Sono leciti i contratti “uso foresteria”? La domanda non ha ancora ricevuto un risposta certa dalla giurisprudenza. Ricordiamo che l'uso foresteria, non previsto ma neppure escluso dalla legge sull'equo canone (n. 457/1978), postulava un particolare rapporto "a tre". Il conduttore, infatti, non era colui che abitava l'immobile, ma un ente o una società che destinava l'utilizzo dell'immobile a un terzo (dipendente, socio o comunque persona con cui la ditta intendeva installare un rapporto di collaborazione).

Un tale tipo di contratto prevedeva di regola un uso transitorio dell'immobile. Tant'è vero che la giurisprudenza aveva affermato che il contratto era nullo (e si applicava l'equo canone) se chi occupava l'immobile soddisfaceva esigenze primarie e continuative di abitazione principale, magari versando i canoni direttamente al proprietario. .

Il sospetto che "l'uso foresteria" fosse stato abolito deriva dall'articolo 1della legge 431/98. Al comma 3 si stabilisce infatti espressamente che le disposizioni della norma di riforma non si applicano "ai contratti di locazione stipulati dagli enti locali in qualità di conduttori per soddisfare esigenze abitative di carattere transitorio". Questa espressa esclusione è parsa ad alcuni una limitazione. In particolare, ipotizzare espressamente una sorta di uso foresteria in favore degli Enti Locali, che destinano immobili in godimento di particolari categorie di cittadini (in genere, gli sfrattati), sembrava escludere ogni altro possibile tipo di foresteria. Ed altri hanno poi aggiunto che non vi è possibilità di locazioni transitorie se non stipulando un contratto ai sensi dell'articolo 5 della legge 431/1998 che presuppone la partecipazione al contratto di un normale padrone di casa e di un normale inquilino (terzo escluso).

Altri, al contrario, hanno affermato che la nuova legge si preoccupa di tutelare gli inquilini per le loro reali esigenze abitative di prima casa, tra cui non rientra l'uso foresteria. E che ipotizzare espressamente un uso foresteria in favore degli Enti Locali, non significa per forza escludere altre forme di foresteria ma, al contrario, rafforzarne la validità. Le argomentazioni dei “favorevoli” sono poi state rafforzate da una norma inserita nella Finanziaria 2001 (art. 145) che ha reso integralmente deducibili dall'Irpeg (e quindi dal reddito d’impresa), i canoni di locazione e le spese relative al funzionamento di strutture, quando i fabbricati sono concessi in uso a dipendenti che abbiano trasferito la loro residenza anagrafica per esigenze di lavoro nel comune in cui prestano l'attività. La deduzione si applica, per il periodo d'imposta in cui si verifica il trasferimento e nei due periodi successivi e gli. immobili si considerano strumentali. Un riconoscimento “fiscale” che non avrebbe senso, se le foresterie non esistessero.

Il contratto legittimo uso foresteria, se esiste, prevede comunque condizioni ferree. Ad affittare i locali ad abitazione da un terzo deve essere una società di capitali (s.p.a. o s.r.l.), per i propri dipendenti (esclusi probabilmente i titolari, i soci, gli amministratori della società stessa). E’ dubbio che essi debbano pagare un canone, perché l’inquilino è la società e i dipendenti godono della locazione come di un fringe benefit, un integrazione imponibile fiscalmente del loro salario. Buona norma vuole che l’appartamenti sia ammobiliato e che la rotazione tra gli occupanti sia ragionevolmente rapida. Quindi la locazione con falsa foresteria è assai raro che possa “reggere”.

Seconda casa. L’affitto turistico, del tutto slegato non solo da previsioni di canone, ma anche di durata, attira molto chi è in cerca di espedienti. In genere l’inquilino dichiara nel contratto di risiedere altrove. E’ probabile, ma per nulla certo, che preveda la forma scritta: tutto sta nell’interpretazione che si da al comma 5 dell’articolo 1 della legge 431/98 (il contratto scritto vale per tutte le locazioni, o solo per quelle regolate dalla stessa legge?). La controprova che l’uso turistico sia una simulazione, e che occorre regolarizzare il contratto ai sensi delle normali locazioni abitative, è data da testimonianze e dai fatti: il proprietario che non protesti se l’inquilino abita permanentemente, e da anni, la casa, dimostra la su cattiva fede.

Somme per servizi o prestazioni. Un esempio può essere la richiesta del pagamento di un canone a parte per la locazione del mobilio (talora si tratta di vecchi mobili ereditati, che non si sa più dove mettere). Lo stratagemma è, sulla carta, insidioso: tra l’altro la locazione di beni “mobili” non prevede per forza un contratto scritto e non vi sono limiti di canone. Tuttavia non si raggiunge lo scopo che si persegue (denunciare un canone inferiore nella dichiarazione dei redditi). Infatti le entrate da affitto del mobilio andrebbero comunque denunciate tra i “redditi diversi”, sul modello 730 o sull’Unico. Quindi, mancando la convenienza fiscale, non si vede perché adottare un sistema simile. Tanto più che resta il rischio che un giudice parli di patto nullo e imponga la restituzione di quanto incassato.

Diversa è la locazione in cambio di mano d’opera. Formalmente, si lascia la casa per il periodo in cui l’inquilino, in cambio, offre una prestazione lavorativa (la cura del giardino, l’aiuto in casa come domestico, eccetera). Serve a giustificare il perché l’immobile è concesso senza il versamento di denaro “in chiaro”, per periodi anche brevi e senza pagare imposte sul reddito. Perchè stia in piedi l’utilizzo dei locali deve essere strettamente legato al tipo di prestazione (per esempio l’alloggio del portiere). Il rapporto è comunque regolato dai normali contratti di lavoro: pertanto, se questo tipo di locazione prevede uno sfruttamento lavorativo, ci si potrà appellare alle norme per i dipendenti; se cela soldi in nero, è un’inutile complicazione. In questa categoria di contratti si può aggiungere c’è la richiesta all’inquilino di ristrutturare la casa prima di venire ad abitarci, sborsando quanto necessario. Se le opere non vengono mai eseguite, il sotterfugio può essere dimostrabile. Se si fanno veramente, magari pagandole con regolari fatture, il patto rientra tra quelli ammessi.

Vendita simulata. Si tratta di una finzione complessa, ma meglio architettata di altre. Il proprietario dell’appartamento firma con l’inquilino un falso compromesso di vendita dell’alloggio, per una cifra ben più alta del suo valore. Nel compromesso, si pongono tre regole. Innanzitutto il candidato acquirente potrà da subito abitare la casa (le spese condominali sono quindi a suo carico). Il secondo patto è che l’inquilino paghi il prezzo a rate mensili (corrispondenti in realtà al canone di locazione). Il terzo punto è che l’inquilino-candidato acquirente ha diritto di recesso dal contratto al momento del rogito (che viene fissato, per esempio, a un anno dalla firma). In tal caso, però, perderà la possibilità di richiedere il rimborso di quanto già versato. Dovrà ovviamente sloggiare dall’appartamento.

Se l’inquilino si rifiuta di versare qualche rata, rischia la risoluzione del contratto per inadempimento e il risarcimento danni.  Il punto debole della vendita simulata è che il padrone di casa continua ad avere tutte le responsabilità civili rispetto a terzi conseguenti alla proprietà: ivi compresi i danni o gli abusi edilizi causati dal falso candidato acquirente.

Disdetta illegittima alla prima scadenza. Sia le locazioni a canone libero che quelle a canone convenzionato sono troncabili con disdetta motivata alla prima scadenza (rispettivamente, quattro o tre anni) in presenza di particolari condizioni, descritte dall’articolo 3 della legge 431/98 (per esempio subentro del locatore o di uno stretto familiare nell’immobile o ristrutturazione totale dell’edificio). Se la motivazione è menzognera (per esempio non vi è subentro nell’alloggio, senza che esistano ostacoli concreti sopravvenuti) il proprietario è tenuto a corrispondere un risarcimento al conduttore da determinare in misura non inferiore a trentasei mensilità dell'ultimo canone di locazione percepito oppure a ripristinare il contratto.

Uso ufficio o studio. E’ uno stratagemma per ingenui, poco aggiornati alle leggi. Da quando non vige più l’equo canone, non ha senso utilizzarlo. E’ vero, il canone è libero. Ma è già possibile ottenerlo con gli affitti abitativi. Inoltre la durata del contratto è addirittura superiore (sei anni più altri sei di rinnovo automatico)..

Sublocazione di una sola camera. Si tratta di un contratto quasi sempre illegittimo, perché previsto solo se la proprietà è iscritta alla Camera di Commercio come affittacamere, albergo o residence, oppure se la famiglia esercita l’attività del bed & breakfast, regolata ormai dalle leggi di tutte le regioni (per cui è comunque necessaria una dichiarazione di inizio attività).

Locazioni fantasia. Non manca mai chi tenta il “fai da te” stipulando contratti con usi ormai improbabili (pied-à-terre, garçonierre, precario oneroso, ospitalità a pagamento, transitorio slegato da ogni regola). Tutte formule che le norme attuali rendono prive di senso e comunque nulle se non si rispettano le regole delle locazioni transitorie previste dalla legge n. 431.

 

Le locazioni “regolari”

 

Ecco i quattro tipi di locazioni abitative stipulabili ai sensi della legge n. 431 del 1998:

Locazioni a canone libero. Hanno una durata minima di 4 anni più altri 4 di rinnovo. Il rinnovo si evita solo in casi particolari (tra cui i più comuni sono subentro del proprietario o degli stretti famigliari nell’alloggio, la vendita dell’abitazione, la sua mancata regolare occupazione, l’integrale ristrutturazione). Il canone è completamente libero.

Locazioni a canone concordato. La durata cala a 3 anni più altri due di rinnovo, evitabile alle stesse condizioni sopra descritte. Il canone è concordato tra proprietario e inquilino all’interno di una stretta fascia di valori, identificati in appositi accordi territoriali tra le organizzazioni della proprietà e dell’inquilinato. Dipende dalla zona, dall’ampiezza dell’alloggio e dalle sue condizioni. Ai proprietari è concessa una detrazione sul canone dichiarato nel 730 o nel modello Unico del 40,5% e agli inquilini più bisognosi altre detrazioni. E’ previsto un altro sconto, del 30%, sull’imposta di registrazione e i comuni possono determinare aliquote Ici inferiori a quello ordinarie.

Locazioni transitorie. Sono concesse solo per precise esigenze elencate negli accordi territoriali. Hanno durata da 1 a 18 mesi. Nei comuni ad alta tensione abitativa (tutti i capoluoghi di provincia, i comuni confinanti alle undici grandi città ed altri elencati in un decreto) il canone massimo che è possibile richiedere è stabilito dagli accordi territoriali o, in alternativa, per decreto ministeriale. Può essere superiore, fino al 20%, rispetto a quello del canone concordato. Altrove il canone è libero.

Locazioni a studenti universitari. Vanno da un minimo di 6 mesi a un massimo di due anni, con rinnovo automatico per lo stesso periodo, alla prima scadenza, salvo disdetta dell’inquilino. Il canone è determinabile con gli stessi criteri previsti per quelle concordate. Anche le agevolazioni fiscali sono identiche.

I primi due tipi di locazione (a canone libero e concordato) hanno in comune in fatto che il proprietario e l’inquilino devono inviare disdetta di fine locazione almeno sei mesi prima della scadenza contrattuale, via lettera raccomandata. L’inquilino, però, per gravi motivi, può inviarla anche sei mesi prima di quando intende andarsene. Questo periodo cala a tre mesi per le locazioni a studenti universitari.

Locazioni completamente libere. Al di fuori delle regole fissate dalla legge 431/98, è possibile stipulare locazioni a canone e durata libera per le case di villeggiatura, gli immobili di lusso (categoria catastale A/1), le ville (categoria catastale A/8), gli immobili con vincolo storico-artistico ai sensi delle leggi statali, i box auto.