Riportiamo la sentenza n. 416 della Corte costituzionale. Informiamo sul fatto che la Confappi ha predisposto un modulo per il rimborso delle somme pagate per i tributi sulle compravendite.

SENTENZA N.416 ANNO 2000

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai Signori:

Cesare MIRABELLI Presidente - Francesco GUIZZI Giudice - Fernando SANTOSUOSSO " - Massimo VARI " - Riccardo CHIEPPA " - Gustavo ZAGREBELSKY " - Valerio ONIDA " - Carlo MEZZANOTTE " - Fernanda CONTRI " - Guido NEPPI MODONA " - Annibale MARINI " - Franco BILE " ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 10, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), promossi con ordinanze emesse il 2 febbraio 1999 dalla Commissione tributaria regionale di Bologna sul ricorso proposto dall'Ufficio delle entrate di Bologna 4 contro Berna Mario ed altra, iscritta al n. 325 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1999 e l'11 giugno 1999 dalla Commissione tributaria regionale di Genova sul ricorso proposto da Giuliani Ermelinda contro l'Ufficio del registro di La Spezia, iscritta al n. 648 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1999.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2000 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza del 2 febbraio 1999 la Commissione tributaria regionale di Bologna ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 23 dicembre 1998, n.448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), il quale - dopo avere ammesso, al comma 9, il cumulo delle agevolazioni fiscali di cui all'art. 2 del decreto-legge 7 febbraio 1985, n.12 (Misure finanziarie in favore delle aree ad alta tensione abitativa), convertito in legge 5 aprile 1985, n.118, con quelle di cui all'art. 1 della legge 22 aprile 1982, n.168 (Misure fiscali per lo sviluppo dell'edilizia abitativa) - prevede, al comma 10, che tale disciplina, applicabile retroattivamente ai rapporti tributari non ancora definiti alla data di entrata in vigore della legge, non dà luogo a rimborso.

La Commissione rimettente è stata investita, in secondo grado, della cognizione di una controversia promossa da due contribuenti - ai quali l'agevolazione fiscale concessa ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge n.12 del 1985 era stata revocata, in quanto incompatibile con altra agevolazione precedentemente goduta ai sensi dell’art. 1 della legge n.168 del 1982 - per ottenere, tra l’altro, il rimborso della maggiore imposta da essi pagata nelle more del giudizio.

Secondo la Commissione, l'art. 7, comma 10, della legge n.448 del 1998 - riconoscendo da una parte il diritto al cumulo delle due agevolazioni ed escludendo dall'altra il rimborso della maggiore imposta versata - viola il principio di eguaglianza, per discriminazione dei contribuenti che abbiano pagato l'imposta rispetto a quelli che tale pagamento non abbiano effettuato, e lede il loro diritto ad una piena tutela giurisdizionale.

2. - Con ordinanza dell'11 giugno 1999 la Commissione tributaria regionale di Genova - anch'essa investita in grado di appello di una controversia similare, promossa da un contribuente che, dopo aver pagato la maggiore imposta richiesta dall'Ufficio, ne aveva tempestivamente chiesto il rimborso - ha parimenti ritenuto rilevante e non manifestamente infondato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, il dubbio di legittimità costituzionale del medesimo art. 7, comma 10, della legge 23 dicembre 1998, n.448, sulla base, in particolare, del rilievo che esso comporta una discriminazione irragionevole, riservando un trattamento sfavorevole a coloro che prima hanno versato interamente l'imposta e poi promosso il giudizio tributario per l'accertamento del diritto all'agevolazione ed al rimborso.

3. - In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che le questioni di costituzionalità siano dichiarate infondate, e rilevando, tra l'altro, che l'eventuale sospensione del pagamento dell'imposta consegue ad un provvedimento di sospensione del giudice tributario, ed è quindi sottratta alla discrezionalità dell'Amministrazione finanziaria.

Considerato in diritto

1. Le due questioni incidentali di legittimità costituzionale investono entrambe l'art. 7 della legge 23 dicembre 1998, n.448, che - con riferimento esclusivamente ai rapporti tributari non ancora definiti alla data di entrata in vigore della legge medesima e quindi con una disposizione con efficacia unicamente retroattiva - ha posto una più favorevole disciplina delle agevolazioni fiscali per l'acquisto della prima casa, analoga a quella da anni già vigente a regime: ai trasferimenti a titolo oneroso di fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad uso di abitazione non di lusso l'agevolazione contemplata dall'art. 2 del decreto-legge 7 febbraio 1985, n.12, convertito in legge 5 aprile 1985, n.118, compete anche qualora l'acquirente abbia già usufruito delle agevolazioni di cui all'art. 1 della legge 22 aprile 1982, n.168. Però - aggiunge il decimo comma del medesimo art. 7 - il previsto cumulo delle agevolazioni non dà luogo a rimborso; di tale disposizione le Commissioni tributarie regionali rimettenti prospettano il contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

2. Preliminarmente, stante la sostanziale identità delle questioni sollevate, possono essere riuniti i due giudizi incidentali di costituzionalità.

3. - La questione è fondata.

A partire dal 1982 - prima con una serie di interventi di carattere transitorio, poi con una disciplina sempre più sistematica - sono state introdotte, nel contesto di misure fiscali per lo sviluppo dell'edilizia abitativa, specifiche agevolazioni tributarie (essenzialmente in termini di riduzione della misura dell'aliquota dell'imposta di registro) per favorire ed incentivare l'acquisto di immobili non di lusso destinati a prima abitazione dell'acquirente persona fisica, non operante nell'esercizio di impresa, arte o professione.

Prescindendo dalle differenze nei dettagli, si sono susseguite nel tempo varie formulazioni dell’agevolazione, di cui segnatamente quella iniziale del 1982 (art. 1 della legge 22 aprile 1982, n.168) e quella del 1985 (art. 2 del decreto-legge 7 febbraio 1985, n.12, convertito in legge 5 aprile 1985, n.118) hanno una connotazione autonoma più marcata.

Il problema se le agevolazioni fossero cumulabili o reiterabili - dopo un periodo iniziale in cui era mancata una disciplina specifica - è stato risolto dapprima (art. 3, comma 2, della legge 31 dicembre 1991, n. 415) in senso negativo; e successivamente (art. 1, comma 2, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n.16, modificato dalla legge di conversione 24 marzo 1993, n.75) nel senso opposto, ma solo ex nunc, onde, in precedenza, continuava ad applicarsi la disciplina anteriore meno favorevole.

Infine l’art. 7, comma 9, della legge n.448 del 1998 ha generalizzato la disciplina, stabilendo che, ai trasferimenti a titolo oneroso di fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad uso di abitazione non di lusso, l'agevolazione contemplata dall'art. 2 del decreto-legge n.12 del 1985, convertito nella legge n.118 del 1985, compete anche qualora l'acquirente abbia già usufruito delle agevolazioni di cui all'art. 1 della legge n.168 del 1982.

Dal suo canto il comma 10 del citato art.7 contiene due norme. La prima - precisando che la descritta disciplina si applica <<ai rapporti tributari non ancora definiti>> alla data di entrata in vigore della legge - assoggetta retroattivamente tali rapporti ad un regime, più favorevole, analogo a quello da anni già vigente. Devono ritenersi <<non ancora definiti>> - considerato che da anni è già applicabile a regime tale nuovo più favorevole criterio - i rapporti tributari per i quali alla data indicata penda un giudizio sulla legittimità dell'atto impositivo ovvero del rifiuto di rimborso dell'imposta, tempestivamente richiesto.

Su questa disciplina di favore si innesta la seconda parte del comma 10 - oggi censurata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione - secondo cui le disposizioni sull’applicabilità retroattiva del criterio della cumulabilità e reiterabilità delle agevolazioni <<non danno luogo a rimborso>>.

4. - La norma è stata interpretata dalla giurisprudenza di legittimità - conformemente del resto alla sua formulazione letterale - nel senso che il divieto di rimborso opera proprio con riguardo ai casi in cui, non essendo il rapporto tributario definito, si applica la disposizione retroattiva sull'ammissibilità di cumulo e reiterazione del beneficio: ove invece il rapporto sia stato definito (come nel caso in cui il contribuente abbia lasciato decorrere il termine per chiedere il rimborso dell'imposta pagata) la disposizione retroattiva non si applica affatto, onde neppure si pone un problema di rimborso del tributo.

5. - In tal modo, la norma fa conseguire all'accertamento del diritto del contribuente all'agevolazione soltanto l'illegittimità dell'atto impositivo, e non anche il conseguente diritto al rimborso dell'imposta eventualmente pagata in misura maggiore rispetto a quella calcolata con l'aliquota ridotta.

5.1. - Ma, così disponendo, la norma comporta un’ingiustificata disparità di trattamento, perché disciplina in modo differenziato situazioni sostanzialmente uguali, quali sono tutte quelle dei contribuenti che, pur avendo fruito dell'agevolazione prevista dall'art. 1 della legge n.168 del 1982, hanno non di meno diritto - ricorrendo le altre condizioni, tra cui quella della mancata definizione del rapporto alla data di entrata in vigore della norma - all'altra agevolazione prevista dall'art. 2 del decreto-legge n.12 del 1985, convertito nella legge n.118 del 1985. Questi contribuenti vengono infatti sottoposti ad un regime differenziato in ragione di una circostanza (intervenuto pagamento, o meno, della maggiore imposta richiesta dall'ufficio) del tutto neutra (e, di fatto, contingente e casuale) rispetto alla ragione sottesa alla previsione dell'agevolazione fiscale; tanto più che il pagamento dell'imposta nelle more del giudizio tributario rappresenta una conseguenza normale dell'imposizione fiscale, in considerazione della progressiva eseguibilità dell'atto impugnato secondo lo stato in cui versa il giudizio.

Né la ricorrenza, o meno, dei presupposti in presenza dei quali il giudice tributario può concedere la sospensione dell'atto impugnato - quale il pericolo di un danno grave ed irreparabile - giustifica un trattamento differenziato sul piano sostanziale, avendo essa incidenza, peraltro interinale, solo sul diverso piano della riscossione fiscale.

L'ingiustificatezza del trattamento deteriore è poi ancora più marcata nel caso del contribuente che abbia tenuto il comportamento fiscale più corretto, provvedendo immediatamente al pagamento dell'imposta nel maggiore importo accertato, ovvero versando direttamente l'imposta calcolata senza tener conto dell'agevolazione fiscale; ed abbia successivamente adìto il giudice tributario per far valere il suo diritto all'agevolazione fiscale e quindi il conseguente diritto al rimborso, impugnando l'atto impositivo ovvero (in mancanza di questo) il diniego del rimborso tempestivamente richiesto.

5.2. - Ne consegue inevitabilmente la violazione del principio di eguaglianza, per disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente uguali. Una simile disparità, del resto, è già stata ravvisata da questa Corte (sentenza n.292 del 1997) in un caso di mancata previsione della ripetibilità di versamenti (in quella specie, contributivi) divenuti ex post eccedenti rispetto ad una più favorevole aliquota ridotta, estesa da una disposizione retroattiva.

La violazione comporta anche lesione del principio di ragionevolezza, per contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata. Come già affermato da questa Corte (sentenza n.421 del 1995), il legislatore cade in una contraddizione formale ove qualifichi un versamento (in quel caso, contributivo) come non dovuto e nello stesso tempo lo sottragga all'azione di ripetizione di indebito.

5.3. - Su tali conclusioni non incidono le decisioni di questa Corte sulla compatibilità con il principio di eguaglianza di discipline differenziate in ragione dell'intervenuto pagamento, o meno, di contributi (ordinanza n.303 del 1997 e n.143 del 1999, nonché, più recentemente, sentenza n.178 del 2000) o di imposte (sentenze n.32 del 1976 e n.33 del 1981, ordinanza n.539 del 1987), in tema di sanatorie dirette a regolarizzare ex post situazioni ancora pendenti. È infatti coessenziale alla tecnica del condono (previdenziale o fiscale) l'incentivazione dei pagamenti non ancora effettuati, mediante la concessione di benefici (di solito, la riduzione della misura dovuta): il condono quindi - lungi dal rendere non dovuti (o dovuti in misura inferiore) i pagamenti effettuati - si limita, in via eccezionale, per ragioni connesse ad esigenze della finanza pubblica, a collegare il pieno effetto liberatorio dell'obbligazione all'adempimento anche solo parziale.

Il caso in esame è del tutto estraneo alla tecnica ed alle finalità del condono. Il legislatore del 1998 - accordando il cumulo e la reiterazione delle agevolazioni tributarie di cui si tratta - non ha inteso incentivare pagamenti dovuti e non ancora effettuati, ma soltanto dettare per il passato una nuova più favorevole disciplina sostanziale, al fine di saldare la normativa già vigente con quella precedente, e così realizzare un’uniformità di regolamentazione.

6. - Conclusivamente l'art. 7, comma 10, della legge 23 dicembre 1998, n.448, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, limitatamente alle parole <<e non danno luogo a rimborso>>, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

L'accoglimento della questione di costituzionalità per violazione del principio di eguaglianza comporta l’assorbimento dell'ulteriore censura riferita all'art. 24 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 10, della legge 23 dicembre 1998, n.448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), limitatamente alle parole <<e non danno luogo a rimborso>>.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2000.