Sicurezza e risparmio energetico:

impianti termoautonomi

Riscaldamento: si stringono i controlli, gestiti da Comuni e da province sui possessori di caldaie individuali. La sicurezza e il risparmio energetico sono ormai divenuti punto focale per norme e Amministrazioni, soprattutto quando sono in campo gli impianti termoautonomi. Essi sono infatti più “a rischio” di cattiva manutenzione e di usi impropri rispetto a quelli centralizzati, gestiti da ditte esterne che non si assumono rischi inutili, anche perché a pagare i costi della buona conservazione degli apparecchi non sono loro, ma i loro clienti.

La verità è che buona parte dei cittadini ignora quali sono le loro responsabilità a proposito: vige l’approssimazione e il tentativo di risparmiare su fatture dei tecnici, con pessimi risultati: una caldaia ben mantenuta consuma di meno e non causa incidenti, talora mortali.

Accostiamo dunque alcuni consigli su il giusto apparecchio alle prescrizioni di legge contro i pericoli e a quelle sulla corretta gestione dell’impianto.

Le norme distinguono le caldaie a seconda della loro potenza: lo spartiacque sono i 35 kW (30.2172 chilocarlorie, negli apparecchi molto vecchi) che quasi sempre corrispondono alla differenza tra impianti singoli e centralizzati.

Le caldaie singole (se si esclude quelle antiquate a cherosene , a nuove o vecchie a legna, carbone e a pellets) funzionano alternativamente a gpl (gas a bombola o alimentate da serbatoio esterno, soprattutto in campagna) o a metano.

Per sintesi, parleremo soprattutto di quelle a metano, senz’altro le più diffuse.

Tipologie di apparecchi

Dal punto di vista delle caratteristiche costruttive, esse si disrtinguono in caldaie atmosferiche (tradizionali) oppure a condensazione. Il terzo tipo, le caldaie ad aria soffiata provviste di bruciatore esterno, è utilizzato solo per il riscaldamento centralizzato.

Come è ormai noto, le caldaie a condensazione, pur costando di più (oggi, circa il 60%), consentono maggiori risparmi energetici (valutati sul 15-20% annui) e la loro installazione è agevolata da norme fiscali almeno fino a tutto il 2010, cioè dalla detrazione del 55%. Pertanto sono una scelta senza controindicazioni, perché pur pagando di più subito si finisce poi per risparmiare. Utilizzano il principio di recuperare parte del calore di combustione che le altre caldaie disperdono nell’ambiente, mediante la condensazione del vapore acqueo e la conseguente diminuzione della temperatura dei fumi di scarico.

Per questa ragione il calore viene ceduto al fluido termovettore in quantità superiore rispetto alle caldaie convenzionali di pari potenza, per mezzo di maggiori superfici di scambio termico. I rendimenti utili tipici di una caldaia tradizionale ad alto rendimento variano tra il 90-92%, mentre la caldaia a condensazione raggiunge normalmente valori superiori al 100%, variabili in genere tra il 97% ed il 105%, fino ad un massimo di 108%, a seconda della temperatura dell’acqua dell’impianto. Sono prodotte in una gamma che va da 11 a 1.100 Kw.

Principali norme di sicurezza

Dal punto di vista degli scarichi le caldaie a metano si distinguono in “tipo B” e “tipo C”. Le prime hanno condotti di scarico, ma sono focolare o fiamma aperti. In parole povere sono dotate di una finestrella aperta da cui si intravedono le fiamme, che per bruciare utilizzano l’ossigeno esistente nei locali dove sono situate (a meno che, naturalmente, siano poste all’esterno, per esempio su un balcone coperto). Viceversa le caldaie di tipo C, oltre a scaricare i funi attraverso condotti, hanno altri condotti che permettono loro di pescare l’aria per la combustione dall’esterno.

La differenza è importante, perché la grande maggioranza degli incidenti causati dagli impianti non proviene,come molti pensano, da fuoriuscite di gas. Infatti gli apparecchi sono dotati di dispositivi di sicurezza che interrompono l’erogazione se la fiamma è spenta. Sono invece causati dal monossido di carbonio, un micidiale gas inodore che si forma nell’aria quando l’ossigeno del locale è stato consumato, e provoca spossatezza senza che la persona colpita riesca a capire il motivo (attribuito spesso ad intossicazione da cibo).L’Uni-Cig, l’ente normativo, ha rilevato che ben il 57,1% dei decessi provocati da impianti di riscaldamento è causato dal monossido, mentre al secondo posto (28,6%) stanno cause non accertate e al terzo (9,5%) i problemi degli scarichi.  Ecco perché esistono le caldaie di tipo C, i cui doppi condotti sono senz’altro difficili da installare (tranne che negli edifici nuovi), ma garantiscono tranquillità. Ed ecco perché le molto più diffuse caldaie di tipo B hanno forti prescrizioni di sicurezza riguardanti l’aerazione dei locali. In particolare, esse non possono essere installate nelle camere da letto e neanche nei bagni, se di volume minore di 20 metri cubi (circa 7,2 mq di pavimento) e di volume minore di 1,5 metri cubi per ogni kilowatt di potenza della caldaia. Devono essere dotate di un dispositivo di sicurezza che interrompa l’afflusso del gas in caso di rigurgito dei fumi. Se sono costruite per essere installate all’esterno degli edifici, devono essere protette dagli agenti atmosferici secondo certe regole di legge.

Non è finita: i locali dove sono installate le caldaie di tipo B debbono essere dotati un’apertura di ventilazione non chiudibile collegata con l’esterno all’edificio. Essa deve essere di perlomeno 100 centimetri quadrati di grandezza e comunque di almeno 6 centimetri quadrati per ogni kilowatt di portata termica degli apparecchi ospitati (cucina a gas e scaldabagno compresi). L’apertura deve essere protetta da una griglia o una rete metallica. Nel calcolo delle sue dimensioni va tenuto conto dell’ingombro alla ventilazione causato dalla  griglia, che deve essere installata vicino al pavimento o, se lontana, avere proporzioni maggiori del 50%. Se l’apertura non si può praticare in cucina o in soggiorno, dove è in genere la caldaia, un’altra con le stesse caratteristiche può essere ricavata anche in un locale adiacente (purché non si tratti di una camera da letto o di un locale comune). In tal caso occorrerà maggiorare la fessura tra porta e pavimento dell’infisso che separa i due locali: l’ampiezza della fessura deve essere perlomeno uguale a quella prevista per l’apertura.

Scarichi

Sia le caldaie di tipo B che per quelle di tipo C debbono sempre scaricare in un camino o in una canna fumaria individuale oppure in camino o una canna fumaria collettiva, ma a patto che serva solo altri apparecchi dello stesso tipo (non una cucina e una caldaia) e alimentati con lo stesso tipo di combustibile. I condotti non devono essere né troppo piccoli né troppo grandi. Come mai quelli troppo grandi non vadano bene, va spiegato: è infatti piuttosto comune, nelle vecchie case, che si attacchino apparecchi nuovi a scarichi vecchi e troppo ampi, perché servivano apparecchi a cherosene stufe a carbone o ex impianti centralizzati a gasolio che avevano bisogno di tubazioni di diametro maggiore. Se il camino o la canna fumaria sono sovradimensionati, infatti, i fumi tendono a rallentare la loro corsa verso l’alto. Non solo: i fumi sono ricchi di vapore acqueo che, raffreddandosi, diviene liquido e dilava le pareti della canna o del camino stessi. Queste ultime sono quasi sempre incrostate (soprattutto se hanno evacuato gasolio o, peggio, carbone). Si crea così una sorta di poltiglia liquida che"cola” nella caldaia, tende ad essere attirata dalle pareti roventi e riduce l’ efficienza dell’apparecchio o lo guasta. Talvolta la poltiglia affiora da giunti interni difettosi tra le canne e crea così macchie negli intonaci degli appartamenti. La soluzione per i condotti troppo grossi è intubarli, cioè introdurre tubazioni di diametro più piccolo. Per le caldaie a condensazione non si possono utilizzare i normali tubi in alluminio o acciaio, data l’acidità dei fumi: occorre un rivestimento interno in polipropilene. Ciò significa che gli scarichi del fumi, anche quelli interni ai muri, vanno adattati.

Infine per tutte le nuove installazioni di impianti gli sbocchi dei fumi debbono avvenire oltre il colmo del tetto. Gli scarichi a parete, di tipo approvato ai sensi delle norme Uni-Cig, sono utilizzabili in genere solo se lecitamente già pre-esistenti e debbono comunque serbare certe distanze da finestre e balconi sovrastanti, anche per evitare di intossicare i vicini.

Gestione. Responsabile della gestione è l’utilizzatore (quindi, nelle case in affitto, l’inquilino, e non il proprietario). Di norma anche gli impianti termoautonomi dovrebbero restare accesi solo durante le ore del giorno e i periodi dell’anno prescritti dal Dpr n. 412/1993, che dipendono dalla zona energetica in cui è situato il comune Inoltre dovrebbe non essere superata la temperatura media dei locali di 20 gradi, più 2 gradi di tolleranza. Peccato che i controlli siano praticamente impossibili, a differenza di quel che accade per gli impianti centralizzati. Se però l’impianto è dotato di termoregolazione su due livelli (più elevato di giorno e meno di notte) e tale impostazione non è modificabile dall’utilizzatore, è possibile tenere accesi i caloriferi anche 24 ore su 24, ovviamente pur sempre nei periodi dell’anno concessi (per esempio, dal 15 ottobre al15 aprile a Milano e dall’1 dicembre al31 marzo a Palermo). Ciò tra l’altro evita gli stress a cui è sottoposta la caldaia ad ogni riaccensione e il fatto che funzioni a pieno ritmo per riscaldare locali freddi, consumando molto e producendo fumi più inquinanti.

Manutenzione e controlli. Ogni caldaia deve essere accompagnata da un “libretto di impianto”, in cui, oltre ad essere descritto l’apparecchio e il suo impianto, vanno annotate le date e gli esiti delle operazioni di manutenzione, corredate dalle generalità di chi le ha fatte. Le scadenze di manutenzione sono dettate dalle istruzioni alla caldaia e da norme nazionali e regionali: in genere occorre almeno un intervento all’anno, salvo che la caldaia sia nuova di pacca. E’ possibile che il manutentore compili un modulo e lo invii ai responsabili dei controlli (il Comune, per quelli sopra i 40 mila abitanti, le province o le Arpa negli altri casi). In tal caso sarà meno probabile che avvengano controlli a sorpresa da parte degli Enti addetti , il cui costo è per di più a carico dell’utilizzatore anche se l’impianto è a norma. Se i controlli sul posto avvengono comunque, si pagherà molto meno. Le percentuali di impianti sottoposti ai controlli a campione e i loro costi sono dettagliati in norme regionali.  Nel caso di impianto fuori norma, gli ispettori danno un periodo di tempo massimo per eseguire gli interventi necessari, in mancanza dei quali l’impianto viene sigillato.

Ulteriori e diverse verifiche possono provenire dalle aziende distributrici del gas, ma non sono fatte “sul campo”: viene richiesto per lettera l’invio di documentazione, prima tra tutti la dichiarazione di conformità dell’impianto alle norme di sicurezza, rilasciata dall’installatore o, in sua mancanza, da un professionista abilitato anche anni dopo l’installazione. In mancanza di risposta, può essere sospesa la fornitura.