La sentenza che cancella le tasse sul
lusso delle seconde case in Sardegna
Corte Costituzionale sentenza 15
aprile 2008, n. 152 (Abrogazione delle imposte sulla vendita e sulla
proprietà delle abitazioni dei non residenti)
Corte Costituzionale ordinanza
15 aprile 2008, n. 153 (Rinvio alla Corte di Giustizia Ce delle imposte sui
natanti e gli aeromobili)
Corte Costituzionale
sentenza 15 aprile 2008, n. 152
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
-
Franco
BILE Presidente
-
Giovanni Maria FLICK Giudice
-
Francesco
AMIRANTE “
-
Ugo
DE SIERVO “
-
Alfio
FINOCCHIARO “
- Alfonso
QUARANTA “
-
Franco
GALLO “
- Luigi
MAZZELLA “
- Gaetano
SILVESTRI
“
-
Sabino
CASSESE “
- Maria
Rita SAULLE “
-
Giuseppe
TESAURO “
- Paolo
Maria
NAPOLITANO “
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale degli articoli 2, 3 e 4 della legge della Regione
Sardegna 11 maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di entrate,
riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), nel loro testo
originario, degli stessi articoli, nel testo sostituito, rispettivamente, dai
commi 1, 2 e 3 dell’art. 3 della legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007,
n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della
Regione – Legge finanziaria 2007), nonché dell’art. 5 di quest’ultima legge,
promossi con due ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri, notificati
il 10 luglio 2006 ed il 2 agosto 2007, depositati in cancelleria il 13 luglio
2006 ed il 7 agosto 2007 ed iscritti al n. 91 del registro ricorsi 2006 e al n.
36 del registro ricorsi 2007.
Visti gli atti di costituzione della Regione Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 12 febbraio
2008 il giudice relatore Franco Gallo;
uditi l’avvocato dello
Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati
Graziano Campus e Paolo Carrozza per la Regione Sardegna.
Ritenuto in fatto
1. – Con il ricorso n. 91 del 2006, notificato
il 10 luglio 2006 e depositato il 13 luglio successivo, il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
promosso questioni di legittimità costituzionale:
a) dell’art. 2 della legge della Regione
Sardegna 11 maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di
entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo),
in riferimento all’art. 8, lettera i), dello statuto della Regione Sardegna
(nel testo vigente all’epoca del deposito del ricorso), agli artt. 117 e 119 della Costituzione in
relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,
agli artt. 3 e 53 Cost., all’art. 117, primo comma, Cost. per violazione dell’art.
12 del Trattato CE;
b) dell’art. 3 della stessa legge regionale, in riferimento all’art. 8, lettera i), dello statuto della Regione
Sardegna (nel testo vigente all’epoca del deposito del ricorso), agli artt. 117 e 119 Cost. in relazione all’art.
10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, agli artt.
3 e 53 Cost., all’art. 117,
primo comma, Cost. per violazione dell’art. 12 del Trattato CE;
c) dell’art. 4 della stessa legge regionale, in riferimento all’art. 8, lettera i), dello statuto della
Regione Sardegna (nel testo vigente all’epoca del deposito del ricorso), agli artt. 117 e 119 Cost. in relazione all’art.
10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, agli artt.
3 e 53, secondo comma, Cost. (parametri non
espressamente indicati).
Il ricorrente premette che le tre norme
censurate – le quali istituiscono, rispettivamente,
l’imposta regionale sulle plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case,
l’imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico e l’imposta regionale
su aeromobili ed unità da diporto – non possono trovare fondamento
costituzionale nell’art. 8, lettera i), dello statuto di autonomia. Detta
disposizione, infatti, comprende tra le entrate regionali le «imposte e tasse
sul turismo e gli altri tributi propri che la regione ha facoltà di istituire
con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato».
Sostiene la difesa erariale che «l’attribuzione,
dunque, è duplice: diretta, per le imposte e tasse sul turismo; indiretta per
gli altri tributi, in quanto presuppone che la regione
abbia la facoltà di istituirli, facoltà che non viene attribuita direttamente
dalla norma statutaria, ma che deve trovare la sua fonte in norme apposite».
Dalla formulazione del citato art. 8, si ricaverebbe, cioè,
che «il potere impositivo della regione investe i
servizi turistici, vale a dire quelle prestazioni in favore del turista durante
la sua permanenza nella regione», con la conseguenza che esso non potrebbe
«rappresentare la base costituzionale di nessuna delle norme impugnate perché
nessuna di esse […] è riconducibile al turismo, secondo la nozione tradizionale
in campo tributario».
L’Avvocatura generale procede, poi, alla
disamina delle singole norme denunciate e all’illustrazione delle censure
formulate per ciascuna di esse.
1.1. – In relazione al
denunciato art. 2, la difesa erariale osserva che esso istituisce e disciplina
l’imposta regionale sulle plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case,
applicabile – nei confronti dell’alienante avente domicilio fiscale fuori dal
territorio regionale o avente domicilio fiscale in Sardegna da meno di
ventiquattro mesi, con l’esclusione dei soggetti nati in Sardegna e dei loro
coniugi – alle cessioni a titolo oneroso
a) di fabbricati siti in Sardegna entro tre
chilometri dalla battigia marina, destinati ad uso abitativo, escluse le unità
immobiliari che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la
costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del
cedente o del coniuge, nonché
b) di quote o azioni
non negoziate sui mercati regolamentati di società titolari della proprietà o
di altro diritto reale su detti fabbricati, per la parte ascrivibile ai
fabbricati medesimi.
Ad avviso della difesa erariale, tale norma víola il citato art. 8, lettera i), dello statuto della
Regione Sardegna, perché:
a) l’oggetto dell’imposta non può essere
ricondotto alla materia del turismo;
b) non è ammissibile, in materie diverse dal
turismo, una piena esplicazione di potestà tributarie regionali, in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento
dettata dal Parlamento nazionale;
c) sono «violati i principi del sistema
tributario dello Stato» in materie diverse dal turismo.
La stessa norma violerebbe, inoltre, gli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001, perché non sarebbe ammissibile, in materia tributaria, una piena
esplicazione di potestà regionali in carenza della fondamentale legislazione di
coordinamento dettata dal Parlamento nazionale.
In via subordinata, per il caso in cui «si
potessero desumere i principi fondamentali del coordinamento del sistema
tributario dalla legislazione tutt’ora in vigore», la difesa erariale formula tre ulteriori
censure.
Deduce, in primo luogo, il contrasto della
norma denunciata con gli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001, per violazione del principio fondamentale
espresso dall’art. 67, comma 1, lettera b), del d.P.R.
22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui
redditi), per cui le plusvalenze immobiliari sono tassabili a condizione che la
cessione intervenga a non piú di cinque anni
dall’acquisto o dalla costruzione, esclusi gli immobili acquistati per
successione o donazione e gli altri casi che sono indicati dallo stesso
articolo.
In secondo luogo, deduce la violazione degli artt. 3 e 53 Cost., per contrasto con il «principio generale» secondo cui lo
stesso indice di capacità contributiva non giustifica la sovrapposizione di piú imposte, perché ogni imposta deve avere un presupposto
autonomo, dovendo colpire «materie tassabili diverse», mentre nella specie la
Regione ha colpito la stessa materia già tassata dallo Stato con l’art. 67,
comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 917 del 1986.
In terzo luogo, deduce la violazione dell’art.
117, primo comma, Cost., in
relazione all’art. 12 del Trattato CE, in quanto la norma censurata discrimina
i cittadini comunitari adottando, per l’applicazione dell’imposta, i seguenti
criteri: «non essere nati in Sardegna, che attiene direttamente alla
cittadinanza; avere il domicilio fiscale fuori del territorio nazionale, che
attiene alla residenza». Argomenta, sul punto, che, secondo la giurisprudenza
della Corte di giustizia delle Comunità europee, «il criterio che ricollega
alla residenza nel territorio nazionale l’eventuale rimborso dell’imposta
versata per eccesso, sebbene si applichi indipendentemente dalla cittadinanza
del contribuente interessato, rischia di danneggiare in particolare i
contribuenti cittadini di altri Stati membri, giacché
saranno spesso questi ultimi a lasciare il paese o a stabilirvisi durante
l’anno».
1.2. – In relazione al
denunciato art. 3, il ricorrente osserva che esso istituisce e disciplina
l’imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico, dovuta – secondo
classi di superficie – sui fabbricati siti nel territorio regionale ad una
distanza inferiore ai tre chilometri dalla linea di battigia marina, non
adibiti ad abitazione principale da parte del proprietario o del titolare di
altro diritto reale sugli stessi, applicabile nei confronti del proprietario di
detti fabbricati, ovvero del titolare di diritto di usufrutto, uso, abitazione,
con domicilio fiscale fuori dal territorio regionale, con l’esclusione dei
soggetti nati in Sardegna e dei loro coniugi e figli.
Il ricorrente censura la norma in riferimento all’art. 8, lettera i), dello statuto della
Regione Sardegna, perché:
a) l’imposta non può essere considerata sul
turismo, in quanto non ha alcun rapporto con questo;
b) non è ammissibile, in materie diverse dal
turismo, una piena esplicazione di potestà tributarie regionali, in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento
dettata dal Parlamento nazionale;
c) sono «violati i principi del sistema
tributario dello Stato» in materie diverse dal turismo. Lamenta, altresí, che il tributo pregiudica «le possibilità di
politica economica dello Stato, della quale uno degli strumenti principali è
quello tributario», perché colpisce la stessa materia tassabile incisa da altri
tributi e, in particolare, dall’ICI, producendo una
“disarmonia” con i princípi del sistema tributario dello Stato. Lamenta,
inoltre, che la norma censurata víola l’art. 53 Cost., inteso quale
strumento attraverso il quale «trova applicazione nel settore tributario il
principio di uguaglianza sancito dall’art. 3», e l’art. 12 del Trattato CE, per
il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., in
quanto discrimina i cittadini comunitari adottando, per l’applicazione
dell’imposta, i seguenti criteri: «non essere nati in Sardegna, che attiene
direttamente alla cittadinanza; avere il domicilio fiscale fuori del territorio
nazionale, che attiene alla residenza».
In via subordinata, per il caso in cui «si
potessero desumere i principi fondamentali del coordinamento del sistema
tributario dalla legislazione tutt’ora in vigore», la difesa erariale formula due ulteriori
censure.
Deduce, in primo luogo, il contrasto della
norma denunciata con gli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001, perché l’imposta è determinata in
base alla superficie del fabbricato, senza tenere conto del suo valore, mentre
«la tassazione in base ai valori catastali, come avviene per l’imposta statale
e per l’ICI, andrebbe comunque considerata come principio fondamentale in
quanto consente di colpire valori medi, determinati per zone omogenee in
rapporto analogo con i valori di mercato e, in ogni caso, variabili a secondo
del pregio degli immobili».
In secondo luogo, deduce la violazione
dell’art. 117, primo comma, Cost.,
in relazione all’art. 12 del Trattato CE, per gli stessi motivi già esposti con
riferimento al denunciato art. 2.
1.3. – In relazione al
denunciato art. 4, il ricorrente osserva che esso istituisce e disciplina
l’imposta regionale su aeromobili ed unità da diporto, la quale è applicabile,
nel periodo dal 1° giugno al 30 settembre, al soggetto avente domicilio fiscale
fuori dal territorio regionale che assume l’esercizio dell’aeromobile o
dell’unità da diporto (con l’esenzione dall’imposta delle navi adibite
all’esercizio di attività crocieristica, delle
imbarcazioni che vengono in Sardegna per partecipare a regate di carattere
sportivo e delle unità da diporto che sostano tutto l’anno nelle strutture
portuali regionali), ed è dovuta:
1) per ogni scalo negli aerodromi del
territorio regionale degli aeromobili dell’aviazione generale adibiti al
trasporto privato, per classi determinate in relazione al
numero dei passeggeri che sono abilitati a trasportare;
2) annualmente, per lo scalo nei porti, negli
approdi e nei punti di ormeggio ubicati nel territorio
regionale delle unità da diporto, per classi di lunghezza, a partire da 14
metri.
Ad avviso della difesa erariale, il suddetto
art. 4 víola l’art. 8, lettera i), dello statuto della Regione Sardegna
e gli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001, per gli stessi motivi già esposti con riferimento al denunciato art.
3.
In via subordinata, per il caso in cui «si
potessero desumere i principi fondamentali del coordinamento del sistema
tributario dalla legislazione tutt’ora in vigore», la difesa erariale formula due ulteriori censure.
Deduce, in primo luogo, il contrasto della
norma denunciata con gli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001, perché, con riferimento alle unità da
diporto che effettuino lo scalo «in zona non attrezzata, in uno specchio di
mare ridossato, dove l’ormeggio sia effettuato a
terra, utilizzando la struttura naturale della spiaggia», la Regione ha
individuato «come presupposto di imposta l’utilizzo di un bene naturale, sul
quale non può esercitare poteri», quale il mare, «soggetto solo al potere
statale entro i limiti del mare territoriale».
In secondo luogo, deduce la violazione
dell’art. 53 Cost., perché,
con riferimento agli aeromobili,
a) «si è di fronte ad
una duplicazione di imposta di tutta evidenza», in quanto «una imposta (o,
meglio, tassa) di questo genere dovrebbe essere in favore di chi ha a carico
l’onere di manutenzione e gestione degli impianti aeroportuali, che vengono
utilizzati nello scalo. Questi soggetti, peraltro, hanno già la possibilità di
rifarsi su chi esercita l’aeromobile attraverso il pagamento dei diritti
aeroportuali, o diritto per l’uso degli aeroporti (legge n. 324/1976)»;
b) non costituisce indice di capacità
contributiva «lo svolgimento di un’operazione per la quale, comunque
lo si voglia definire, si paga un prezzo che copre il costo del servizio reso,
con margine di utile».
In terzo luogo, pur senza evocare
espressamente gli artt. 3 e 53 Cost., lamenta che, essendo l’imposta dovuta annualmente con
riferimento alle unità da diporto, «piú si utilizzano
le strutture portuali, minore, proporzionalmente è l’onere dell’imposta che, in
questo modo, viene ad avere carattere regressivo».
2. – Si è costituita la Regione Sardegna,
premettendo di avere istituito l’imposta regionale sulle plusvalenze dei
fabbricati adibiti a seconde case, l’imposta regionale sulle seconde case ad
uso turistico e l’imposta regionale su aeromobili ed unità da diporto, in forza
della potestà legislativa conferitale dall’art. 8, lettera i) dello statuto di autonomia. Detta disposizione, ad avviso della
resistente, consente alla Regione di istituire direttamente «tributi legati alla attività turistica, e ciò anche in carenza di una
legislazione statale di coordinamento». Diversamente opinando, non avrebbe
senso che in detta norma, «solamente per “gli altri” tributi diversi da quelli
sul turismo, venga (nuovamente) specificato che gli
stessi siano in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato».
Tale interpretazione sarebbe confermata, sul piano comparatistico,
dalla lettura degli artt. 72 e 73
dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige, i quali riportano in
due norme distinte lo stesso contenuto dell’art. 8, lettera i), dello statuto
sardo, «scindendo da una parte le imposte e tasse sul turismo (art. 72) e
dall’altra gli “altri tributi propri”, da istituirsi (solamente questi) “in
armonia con i principi del sistema tributario dello Stato». In ogni
caso, sempre ad avviso della resistente, i princípi del sistema tributario si
possono desumere, oltre che da leggi statali che espressamente li stabiliscano
per i singoli tributi, «anche dalla legislazione statale vigente in riferimento a tributi non specificamente disciplinati da
leggi dello Stato», non potendo trovare applicazione la giurisprudenza
costituzionale sul nuovo art. 119 Cost., perché le
modifiche apportate al Titolo V della Parte II della Costituzione non possono
avere per effetto la restrizione dell’autonomia già spettante alle Regioni
speciali.
Ciò premesso, la resistente osserva, in primo
luogo, che i tributi disciplinati dalle norme censurate sono tributi sul
turismo nel senso fatto proprio dall’art. 3 del d.lgs.
16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e
provinciale), e cioè «forme di imposizione che colpiscono attività ovvero
utilizzo di beni immobili riferiti alla pratica turistica, ovvero attività
economiche qualificate come turistiche o inerenti al turismo, in quanto dallo
stesso direttamente influenzate sotto il profilo economico, anche in rapporto
alla localizzazione dell’attività medesima».
In secondo luogo, la Regione afferma che
l’art. 1 della legge 29 marzo 2001, n. 135 (Riforma della legislazione
nazionale del turismo), «pone in relazione la legislazione regionale sul
turismo con la tutela dell’ambiente, con la sostenibilità degli interventi e
con lo sviluppo del turismo anche ai fini dell’attuazione del riequilibrio con
le aree depresse», consentendo al legislatore regionale di individuare nelle
seconde case sulla costa un presupposto impositivo
“affidabile”, perché strettamente correlato al turismo estivo. È indice di tale
stretta correlazione l’azione regionale di salvaguardia
dell’ambiente costiero dalla speculazione edilizia; azione che si è manifestata
nell’adozione della legge reg. 25 novembre 2004, n. 8 (Norme urgenti di
provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del
territorio regionale), che ha disciplinato le procedure per la redazione e
l’approvazione del piano paesaggistico regionale, istituendo contestualmente
alcune misure di salvaguardia, e con la successiva adozione del piano
paesaggistico relativo all’area costiera. Proprio in considerazione delle
caratteristiche ambientali dell’isola, il presupposto delle imposte istituite
con le disposizioni censurate può allora identificarsi nel “consumo”
dell’ambiente e del paesaggio «operato dalla mera esistenza […] di fabbricati
siti nella fascia costiera e destinati ad essere utilizzati quasi esclusivamente
nella stagione estiva», tanto che lo stesso
legislatore costituzionale, con l’art. 8, lettera i), dello statuto, ha
attribuito alla Regione una potestà legislativa in tema di tributi sul turismo.
In tale prospettiva, l’imposta sulle
plusvalenze delle seconde case a uso turistico sarebbe
una non irragionevole e modesta trattenuta sul plusvalore derivato agli
immobili costieri «da una politica pubblica fatta di investimenti e
pianificazioni volti a rafforzare l’industria turistica e la salvaguardia
dell’ambiente».
Sull’asserita violazione del divieto di doppia
imposizione, la resistente precisa che le imposte istituite con le norme
censurate hanno presupposti del tutto autonomi e peculiari
rispetto alle imposte statali ed afferma preliminarmente che non appaiono
chiari i parametri costituzionali che il ricorrente assume violati.
Rileva, poi, che la Regione può colpire la
stessa materia già tassata dallo Stato, perché:
a) il citato art. 8, lettera i), dello statuto
consente alla Regione di istituire con propria legge imposte
e tasse sul turismo, senza necessità che una legge statale la abiliti a farlo;
b) il fatto che i tributi censurati si ispirino ad imposte già disciplinate dalla legislazione
statale consente di ritenere che la legislazione regionale è in armonia con
quest’ultima;
c) il carattere necessariamente “aggiuntivo”
dell’imposizione regionale rispetto a quella statale è un dato comune
all’intero sistema impositivo delle autonomie
territoriali, che potrà essere attenuato dalla legislazione attuativa
del nuovo art. 119 Cost.;
d) l’art. 8, lettera i), dello statuto di autonomia «non può essere letto nel senso che la Regione
Sardegna è abilitata a istituire imposte e tasse sul turismo eccezion fatta che
sugli immobili turistici»: esso pone, al piú, «un
problema di misura e di proporzionalità della nuova imposizione, che tuttavia
il ricorso non deduce nelle forme adeguate»; e) il fatto che la tassazione
delle plusvalenze immobiliari sia esclusa dalla legislazione statale, dopo un
quinquennio dall’acquisto dell’immobile, non costituisce motivo di
illegittimità costituzionale, né di disarmonia con i princípi del sistema
tributario statale.
In relazione all’imposta sulle seconde
case ad uso turistico, istituita e disciplinata dall’art. 3 censurato, la
Regione sostiene, innanzi tutto, che la sua applicabilità solo agli immobili
situati nella fascia costiera trova ragione nella finalità di disincentivare la
costruzione di tali immobili.
Rileva, poi, che il riferimento alla
superficie dell’immobile per il computo della base imponibile non si pone in
disarmonia con il criterio del valore catastale, utilizzato dalla legislazione
statale sull’ICI, perché anche quest’ultima considera la superficie come
parametro utile a stabilire, sia pur presuntivamente, il valore dell’immobile.
Afferma, inoltre, che non sussiste la
prospettata violazione dell’art. 117, primo comma,
Cost. e dell’art. 12 del Trattato CE, sotto il profilo della non
discriminazione in base alla nazionalità, perché anche l’ordinamento statale
distingue fra residenti e non residenti ai fini dell’imposizione tributaria. A
livello regionale, la distinzione fra residenti e non residenti è addirittura imposta dall’art. 8 dello statuto di
autonomia, «il quale fonda la gran parte del reddito della Regione […] sul
reddito prodotto dai residenti» e rende perciò necessaria la sottoposizione a
tassazione di chi abbia con la Sardegna un legame “reale”, costituito dalla
proprietà, a fini evidentemente turistici, di una seconda casa in zona
costiera. Appare, infatti, coerente con il sistema tributario dello Stato e con
gli artt. 23 e 53 Cost., evocati quali parametri dal ricorrente, che il
proprietario di un immobile costiero «sia chiamato a contribuire – sia pure con
esborsi di modesta entità – al mantenimento dell’ambiente che […] contribuisce
a “consumare”».
La correttezza di tale differenziazione fra il
regime fiscale dei residenti in Sardegna e quello dei non
residenti emerge, a detta della resistente, anche da altri dati
normativi.
In primo luogo, il decreto legislativo del 30
dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma
dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), consente ai Comuni di diversificare le aliquote dell’ICI in relazione al fatto se
l’immobile sia abitazione, seconda casa, o casa a disposizione non locata e di
ridurre l’entità dell’imposta per chi usa l’immobile come abitazione
principale.
In secondo luogo, il d.lgs.
30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), consente al sindaco o alla
giunta comunale:
a) di individuare le zone a traffico limitato,
nelle quali la circolazione è riservata ai residenti;
b) di subordinare l’ingresso o la circolazione
dei veicoli a motore dei non residenti al pagamento di
una somma;
c) di stabilire che la sosta dei non residenti in tali zone avvenga a titolo oneroso.
In terzo luogo, la sentenza della Corte
costituzionale n. 220 del 2004 ha confermato la legittimità costituzionale
dell’art. 98, comma 2, della legge della Regione Sardegna 29 luglio 1998, n. 23
(Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia
in Sardegna), la quale consente ai residenti e preclude ai
non residenti il rinnovo delle autorizzazioni venatorie, richiamando il
principio del collegamento del cacciatore residente con il territorio,
affermato dalla legislazione statale (art. 14, comma 5, della legge 11 febbraio
1992, n. 157, recante «Norme per la protezione della fauna
selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»).
In conclusione, la resistente evidenzia che la
differenziazione, a fini fiscali, tra residenti e non residenti è assai frequente nell’ordinamento statale, tanto che il
censurato art. 3 risulta in armonia con la legislazione tributaria e non
tributaria vigente.
In relazione all’imposta regionale su
aeromobili e unità da diporto, istituita e disciplinata dall’art. 4 censurato,
la Regione sostiene, innanzi tutto, che la sua applicabilità soltanto nei
confronti di chi esercita l’aeromobile o l’imbarcazione ed è domiciliato fuori
dal territorio sardo deve essere ritenuta legittima per le stesse ragioni già
esposte in relazione ai tributi di cui ai censurati artt.
2 e 3. Rileva, inoltre, che il tributo colpisce un tipico “servizio turistico”
e che la qualificazione del tributo come imposta o tassa è irrilevante.
Afferma, poi, che la circostanza che il tributo sullo scalo di
aeromobili colpisca operazioni per le quali viene comunque pagato un
corrispettivo sotto forma di diritti aeroportuali non esclude che il tributo
stesso sia in armonia con i princípi del sistema tributario dello Stato, perché
proprio in tale sistema esistono tasse e imposte che – come l’IVA – colpiscono
l’esercizio di attività e l’utilizzazione o il consumo di beni.
Rispetto allo scalo delle unità da diporto, la
Regione sostiene, in primo luogo che – contrariamente a quanto affermato dal
ricorrente – l’imposta non ha carattere regressivo e non si pone, perciò, in
contrasto con l’art. 53 Cost. La scelta del
legislatore regionale di escludere dall’imposizione le unità da diporto che
sostano per tutto l’anno nei porti della Sardegna sarebbe giustificata dalla
finalità di incentivare la presenza costante dell’imbarcazione, fatto che «si
traduce in un significativo apporto di reddito “da turismo”» rispetto
all’ormeggio occasionale, il quale apporta, invece, solo un reddito limitato
alle attività turistiche della Regione e provoca comunque inquinamento e
consumo di risorse naturali limitate.
In secondo luogo, la resistente contesta, «in quanto palesemente esclusa dal tenore letterale della
norma impugnata», l’interpretazione data dal ricorrente per cui la disposizione
censurata considererebbe imponibile lo scalo in zona non attrezzata del mare
territoriale.
3. – Con memoria depositata in prossimità
dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito
quanto sostenuto nel ricorso, precisando, in particolare, che:
a) l’indagine sulla riconducibilità
dei tributi oggetto delle norme censurate alla nozione di turismo non pare
rilevante, perché la potestà legislativa della Regione Sardegna in materia di
tributi deve comunque essere esercitata in armonia con
i princípi del sistema tributario dello Stato, anche se ha ad oggetto tributi
sul turismo;
b) la legittimità costituzionale delle imposte
istituite con le norme censurate deve essere valutata in base al presupposto e
non in base alla finalità dell’imposizione;
c) nell’esercizio della sua potestà
legislativa in materia tributaria, la Regione non può «adottare gli stessi
presupposti delle imposte statali già in vigore»;
d) non è chiaro se l’imposta sulle plusvalenze
sia diretta a incentivare o a disincentivare il
turismo;
e) nel disciplinare tale
imposta, la Regione ha illegittimamente colpito lo stesso presupposto di
imposta già inciso dalla legislazione statale e non ha tenuto conto del
principio dell’ordinamento tributario statale per cui l’incremento del valore
di un immobile è ritenuto imponibile solo se realizzato con intento
speculativo, «intento da escludersi quando la vendita avvenga a distanza di
tempo tale da far presumere che l’acquisto sia stato effettuato con il fine di
godimento»;
f) sempre in tema di imposta
sulle plusvalenze e contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione, il
criterio della residenza può avere rilievo solo quando «esiste una connessione
tra attività, come la caccia, ed il territorio», ma non può giustificare la non
sottoposizione a tassazione dei residenti in Sardegna, perché il presupposto
dell’imposta si realizza per essi come per i non residenti;
g) con l’imposta sullo scalo degli aeromobili
e delle unità da diporto, la Regione ha colpito una capacità contributiva, quella espressa dall’utilizzazione dei servizi aeroportuali
o portuali, già incisa dalla tassazione statale.
4. – Con il ricorso n. 36 del 2007, notificato
il 2 agosto 2007 e depositato il 7 agosto successivo, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale:
a) dell’art 2 della legge della Regione
Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 1, della legge
della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2007) –
entrato in vigore il 31 maggio 2007, ai sensi dell’art. 37 della stessa legge –,
in riferimento all’art. 8, lettera h), dello statuto
della Regione Sardegna (nel testo sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della
legge 27 dicembre 2006, n. 296), al principio di ragionevolezza, agli artt. 3 e 53 Cost., all’art. 117, primo comma, Cost. per violazione dell’art.
12 del Trattato CE e, in subordine, all’art. 119 Cost.;
b) dell’art. 3 della stessa legge della
Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 2,
della citata legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, in
riferimento all’art. 8, lettera h), dello statuto della Regione Sardegna (nel
testo sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006), agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001, agli artt. 3 e 53 Cost., al principio di ragionevolezza;
c) dell’art. 4 della
stessa legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito
dall’art. 3, comma 3, della citata legge reg. n. 2 del 2007, in riferimento ai parametri già evocati nel ricorso in
relazione ai denunciati artt. 3 e 4 della stessa
legge reg. n. 4 del 2006, all’art. 117, primo comma, Cost., per violazione degli artt. 3, lettera g), 10, 49, 81, 87 del Trattato CE, agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 120 Cost., all’art. 3 di un non
precisato testo normativo, agli artt. 3 e 53 Cost., agli artt.
1, 3, 8, lettera h), dello statuto della Regione Sardegna (nel testo sostituito
dal comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006); d) dell’art. 5 della
citata legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, in
riferimento all’art. 8, lettera h), dello statuto della Regione Sardegna (nel
testo sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006),
all’art. 119 Cost., in relazione all’art. 10 della
legge costituzionale n. 3 del 2001, all’art. 3 Cost.,
all’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con
gli artt. 12 e 49 del Trattato CE.
Il ricorrente premette che, al fine di
individuare i parametri costituzionali applicabili, occorre
verificare se il nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione abbia
ampliato l’autonomia statutaria regionale e pone, perciò, a raffronto l’art. 8,
lettera h), dello statuto della Regione Sardegna (nel testo sostituito dal
comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006) e l’art. 119 Cost.
Secondo il ricorrente, «tra le due norme non
c’è coincidenza di effetti», perché la prima prevede
che la potestà regionale in materia tributaria deve essere esercitata in
armonia con i princípi del sistema tributario dello Stato, mentre la seconda
pone come limite a detta potestà i princípi fondamentali di coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario. A detta del ricorrente, l’art. 119
richiamerebbe «le condizioni di compatibilità tra sistemi tributari, la cui
articolazione interna può non restare condizionata», mentre l’art. 8, lettera
h), dello statuto speciale richiamerebbe princípi interni al sistema, «nel
senso che possono incidere sulla struttura delle singole imposte». In ogni
caso, poiché la Corte costituzionale avrebbe affermato
– con la sentenza n. 37 del 2004 – che le leggi statali vigenti non possono
essere utili per ricavare i princípi fondamentali di coordinamento del sistema
tributario, le norme censurate andrebbero valutate alla stregua del parametro
statutario, il quale consente l’esercizio di una potestà legislativa in materia
tributaria anche in mancanza della fissazione, da parte del legislatore
statale, di detti princípi fondamentali.
Sempre in via generale, il ricorrente premette
anche che, con la sola eccezione dell’imposta di soggiorno, i tributi in
oggetto, contrariamente alla formulazione letterale delle norme censurate, non possono essere definiti imposte o tasse sul turismo, ma
devono essere invece considerati quali «altri tributi propri» ai sensi
dell’art. 8, lettera h), dello statuto speciale.
Premette, infine, di avere proposto, in
ragione del rilievo comunitario del mercato turistico sardo, alcune censure
basate su parametri di diritto comunitario – da ritenere superate
in caso di accoglimento delle censure basate su parametri di diritto interno –
in relazione alle quali chiede che sia effettuato il rinvio pregiudiziale alla
Corte di giustizia CE, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE.
L’Avvocatura generale procede, poi, alla
disamina delle singole norme denunciate e all’illustrazione delle censure
formulate per ciascuna di esse.
4.1. – In relazione all’art
2 della citata legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito
dall’art. 3, comma 1, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, la difesa
erariale osserva che esso disciplina l’imposta regionale sulle plusvalenze
delle seconde case ad uso turistico, applicabile – nei confronti dell’alienante
a titolo oneroso avente domicilio fiscale fuori dal territorio regionale o
avente domicilio fiscale in Sardegna da meno di ventiquattro mesi – alle
cessioni a titolo oneroso:
1) delle unità immobiliari acquisite o
costruite da piú di cinque anni, site in Sardegna
entro tre chilometri dalla battigia marina, adibite ad uso
abitativo e diverse dall’abitazione principale (come definita dall’art.
8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992), da parte del
proprietario o del titolare di altro diritto reale sulle stesse;
2) di quote o azioni
non negoziate sui mercati regolamentati di società titolari della proprietà o
di altro diritto reale su detti fabbricati, per la parte ascrivibile ai
fabbricati medesimi.
Ad avviso della difesa erariale, tale norma víola il citato art. 8, lettera h), dello statuto della
Regione Sardegna (secondo cui le entrate della Regione sono costituite «da
imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facoltà
di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello
Stato»), perché «la legge regionale non è in armonia con i principi del sistema
tributario dello Stato contenuti nell’art. 81 [recte:
art. 67], comma 1, lettera b), del d.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917», per cui, «nei confronti di una persona
fisica, perché una plusvalenza possa costituire reddito “diverso” […], è
necessario l’intento speculativo», il quale «non può avere un’articolazione
diversa Regione per Regione» e «va escluso quando tra l’acquisto e la vendita
sia intercorso un tempo tale da farlo ritenere quanto meno improbabile».
La stessa norma sarebbe, poi, irragionevole,
perché, applicandosi a tutte le unità immobiliari site entro tre chilometri
dalla battigia marina, fisserebbe ingiustificatamente una distanza dalla
battigia uguale per tutte le spiagge della Regione, senza tenere conto della
conformazione dei luoghi e, quindi, delle diverse possibilità di accesso al mare.
Il denunciato art. 2 violerebbe, inoltre, il
principio di capacità contributiva, perché «nella norma impugnata non si trova
alcun elemento per il quale la capacità contributiva, espressa dalla
realizzazione di plusvalenze con la cessione di immobili
situati nella Regione, sia diversa a seconda che il soggetto risieda in
Sardegna o fuori».
Sussisterebbe anche la violazione dell’art.
117, primo comma, Cost., per
contrasto con l’art. 12 del Trattato CE, perché la norma censurata
discriminerebbe i cittadini comunitari, assoggettando all’imposta tutti i
soggetti non residenti.
In via subordinata, per il caso in cui «si
potessero desumere i principi fondamentali del coordinamento del sistema
tributario dalla legislazione tutt’ora in vigore», la difesa erariale deduce la violazione
dell’art. 119 Cost., per contrasto con i princípi
fondamentali del coordinamento del sistema tributario, che corrispondono,
almeno in via transitoria e «fino a che non interverranno le norme statali di
attuazione dell’art. 119», ai princípi del sistema tributario dello Stato.
4.2. – In relazione all’art.
3 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006 (la cui rubrica recita:
«Imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico»), nel testo sostituito dall’art. 3, comma 2, della legge della Regione Sardegna n.
2 del 2007, il ricorrente osserva che esso:
a) disciplina l’imposta regionale sulle unità
immobiliari destinate ad uso abitativo, dovuta – per metro quadro ed in misura differenziata secondo scaglioni di superficie – sulle unità
immobiliari ubicate nel territorio regionale ad una distanza inferiore ai tre
chilometri dalla linea di battigia marina, non adibite ad abitazione principale
da parte del proprietario o del titolare di altro diritto reale sugli stessi,
ed applicabile nei confronti del proprietario di dette unità immobiliari,
ovvero del titolare di diritto di usufrutto, uso, abitazione, superficie o del
locatario dell’immobile in locazione finanziaria, aventi domicilio fiscale fuori
dal territorio regionale;
b) prevede che «Per l’anno 2006 l’imposta è dovuta nella misura piú
favorevole al contribuente mediante comparazione tra le misure previste dal
presente articolo e quelle previgenti» (comma 9).
Per la difesa erariale, il denunciato art. 3 víola l’art.
8, lettera h), dello statuto della Regione Sardegna (nel testo sostituito dal
comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006) e gli artt.
117, terzo comma, e 119 Cost.,
in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, perché:
a) l’oggetto dell’imposta non può essere
ricondotto alla materia del turismo, in quanto «il
fine turistico non può essere ritenuto implicito nel fatto che l’unità
immobiliare non sia adibita ad abitazione principale», come, ad esempio, nel
caso dell’immobile utilizzato per esigenze di lavoro;
b) anche qualora ricondotta alla categoria
degli «altri tributi propri» della Regione, l’imposta non sarebbe «in armonia
con i principi del sistema tributario dello Stato», essendo essa determinata in
base alla superficie del fabbricato, senza tenere conto del valore di questo,
mentre la tassazione in base ai valori catastali, come avviene per l’ICI, andrebbe comunque considerata come principio
fondamentale, in quanto consente di colpire valori medi, determinati per zone
omogenee in rapporto con i valori di mercato e, in ogni caso, variabili a
seconda del pregio degli immobili;
c) la norma non ha obiettivi di coordinamento
del sistema tributario, ma si limita a istituire una
singola imposta, e perciò non è riconducibile alla materia del coordinamento
del sistema tributario, di competenza legislativa concorrente.
La norma denunciata violerebbe anche l’art. 53
Cost., perché «l’imposta è
commisurata alla visibilità del mare, quindi su valori panoramici», i quali non
sono materia tassabile, in quanto non integrano la capacità contributiva – che
è, invece, legata al valore economico del bene –, e, in subordine, gli artt. 3 e 53 Cost., per irragionevolezza, perché l’imposta è dovuta anche per
gli immobili privi di vista sul mare. Violerebbe, inoltre, gli artt. 3 e 53 Cost., sempre per irragionevolezza, in considerazione del
contrasto con i princípi del sistema tributario dello Stato, risultante anche
dal fatto che l’imposta è «progressiva con l’aumentare delle superfici
disponibili da 60 mq. a 150» mq., ma «diventa fortemente regressiva da 150 mq.
a 200 per diminuire ancora per le superfici maggiori».
Infine, sempre secondo l’Avvocatura generale
dello Stato, il denunciato art. 3, quanto all’individuazione dei soggetti
passivi dell’imposta, si porrebbe in contrasto con il menzionato principio di
ragionevolezza, salvo che detta disposizione sia
interpretata (interpretazione che si richiede alla Corte di adottare) nel senso
che «se il proprietario, o i titolari degli altri diritti reali, non sono nel
possesso dell’immobile, l’imposta non è dovuta, né da loro (per mancanza del
possesso) né dai possessori non titolari di quei diritti, perché non indicati
tra i soggetti passivi».
4.3. – In relazione all’art.
4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito
dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, il
ricorrente osserva che esso disciplina l’imposta regionale su aeromobili ed
unità da diporto, applicabile, nel periodo dal 1° giugno al 30 settembre, al
soggetto avente domicilio fiscale fuori dal territorio regionale che assume
l’esercizio dell’aeromobile o dell’unità da diporto (con l’esenzione
dall’imposta: delle imbarcazioni che fanno scalo per partecipare a regate di
carattere sportivo, a raduni di barche d’epoca, di barche monotipo ed a
manifestazioni veliche, anche non agonistiche, il cui evento sia stato
preventivamente comunicato all’Autorità marittima da parte degli organizzatori;
delle unità da diporto che sostano tutto l’anno nelle strutture portuali
regionali; della sosta tecnica, limitatamente al tempo necessario per
l’effettuazione della stessa), e dovuta: 1) per ogni scalo negli aerodromi del
territorio regionale degli aeromobili dell’aviazione generale adibiti al
trasporto privato, per classi determinate in relazione al numero dei passeggeri
che sono abilitati a trasportare; 2) annualmente, per lo scalo nei porti, negli
approdi e nei punti di ormeggio ubicati nel territorio regionale e nei campi di
ormeggio attrezzati ubicati nel mare territoriale delle unità da diporto, per
classi di lunghezza, a partire da 14 metri.
Ad avviso dell’Avvocatura generale, la norma víola i
parametri già evocati in relazione ai denunciati artt.
3 e 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, quali
sostituiti dall’art. 3, commi 1 e 2, della legge della Regione Sardegna n. 2 del
2007, per i motivi già esposti nelle censure a tali norme.
Sempre per la difesa erariale, la disposizione
denunciata si pone, relativamente ai soggetti che
svolgono attività d’impresa, in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., perché:
a) víola l’art. 49
del Trattato CE, «introducendo una restrizione alla libera prestazione dei
servizi nel mercato sardo dei servizi nautici e aerei, che costituisce una
parte rilevante del mercato europeo»;
b) víola l’art. 81
del Trattato CE, «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10», perché ha
l’effetto di falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune;
c) víola l’art. 87
del Trattato CE, perché istituisce un aiuto alle imprese con sede in Sardegna.
La stessa difesa erariale lamenta, inoltre, la
violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera
e), e 120 Cost., perché la
norma censurata investe la materia della concorrenza, riservata alla competenza
legislativa statale, incidendo, di conseguenza sull’unità economica della
Repubblica. Deduce altresí il contrasto con «l’art. 3
[di un non meglio precisato testo normativo], la cui tutela
nella iniziativa economica è affidata alla normativa sulla concorrenza».
Quanto ai parametri costituiti dagli artt. 3 e 53 Cost., espressivi del principio di ragionevolezza, il ricorrente
sostiene che essi sono violati, perché:
a) «una attività
esercitata nella stessa forma non può essere considerata espressione di
capacità contributiva diversa a seconda del periodo in cui viene svolta»;
b) l’imposta denunciata ha carattere
regressivo, perché la sua misura diminuisce proporzionalmente all’aumentare del
numero dei passeggeri che l’aeromobile è abilitato a trasportare e della
lunghezza delle unità da diporto e perché, con riferimento a queste ultime, è
pagata una sola volta per tutto l’anno, cosí che «piú scali si fanno, meno sarà in proporzione l’onere
tributario»;
c) con riferimento allo scalo degli
aeromobili, il tributo costituisce una duplicazione dei diritti aeroportuali
previsti dalla legge n. 324 del 1976, dovuti, per l’utilizzazione
degli impianti aeroportuali, al gestore dell’aeroporto;
d) sempre con riferimento allo scalo degli
aeromobili, il tributo «non può essere definito imposta, perché colpisce i
singoli atti di esercizio di un’impresa e non il
risultato utile complessivo», né tassa, «perché riscossa da chi non ha nessun
coinvolgimento nel servizio utilizzato».
La difesa erariale evoca, infine, gli artt. 1, 3, 8, lettera h), dello statuto della Regione
Sardegna, perché, con riferimento alle unità da diporto, l’imposta si applica
anche se lo scalo avviene nei campi di ormeggio
attrezzati, ubicati nel mare territoriale, che non fa parte del territorio
della Regione. Infatti, l’art. 1 dello statuto
identifica il territorio regionale nella «Sardegna con le sue isole», mentre i
presupposti per imposte della Regione non possono «essere individuati fuori del
suo territorio».
4.4. – Il ricorrente censura, infine, l’art. 5
della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, che istituisce e disciplina
l’imposta regionale di soggiorno, «da destinare ad interventi nel settore del
turismo sostenibile», che i Comuni hanno la facoltà di applicare nell’àmbito del proprio territorio, a decorrere dall’anno 2008.
Soggetti passivi del tributo sono coloro che non risultano
iscritti nell’anagrafe della popolazione residente nei Comuni della Sardegna e
l’imposta è dovuta per il soggiorno, nel periodo dal 15 giugno al 15 settembre,
nelle aziende ricettive di cui alla legge regionale 14 maggio 1984, n. 22
(Norme per la classificazione delle aziende ricettive), nelle strutture
ricettive extra-alberghiere di cui alla legge
regionale 12 agosto 1998, n. 27 (Disciplina delle strutture ricettive extra-alberghiere), nelle strutture ricettive di cui alla
legge regionale 23 giugno 1998, n. 18 (Nuove norme per l’esercizio
dell’agriturismo), nelle unità immobiliari adibite ad abitazioni principali, cosí come definite dall’articolo 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, concesse in comodato o in
locazione, e nelle unità immobiliari non adibite ad abitazioni principali (con
l’esclusione, per queste ultime, del proprietario, del coniuge, degli affini e
dei parenti in linea retta, dei collaterali fino al terzo grado, e degli ospiti
che soggiornano unitamente ad almeno uno dei componenti
la famiglia del proprietario). Sono esenti dall’imposta i lavoratori dipendenti
che soggiornano per ragioni di servizio attestate dal
datore di lavoro, gli studenti che soggiornano per ragioni di studio o per
periodi di formazione professionale attestati dalle rispettive università,
scuole od enti di formazione, i minori di diciotto anni, nonché i lavoratori
autonomi che soggiornano per ragioni di lavoro documentabili.
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il
denunciato art. 5 víola:
a) l’art. 8, lettera h), dello statuto della
Regione Sardegna, perché la Regione non può istituire imposte comunali, essendo
tale divieto un principio del sistema tributario dello Stato;
b) l’art. 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001, perché la Regione non può stabilire un’imposta comunale senza
lasciare ai Comuni nessun margine di autonomia se non la scelta se istituire o
no l’imposta;
c) l’art. 3 Cost., perché è irragionevole che i residenti in Sardegna non
siano soggetti all’imposta, «poiché la loro posizione è identica se rapportata
al presupposto dell’imposta»;
d) l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con l’art. 12
del Trattato CE, perché i cittadini dell’Unione europea subiscono una
discriminazione rispetto ai residenti nella Regione, e con l’art. 49 del
Trattato CE, perché «la libertà di prestazione dei servizi all’interno della
Comunità è violata anche quando vengono frapposti ostacoli al godimento di
servizi da parte di cittadini di Paesi membri».
5. – Si è costituita la Regione Sardegna, ribadendo le argomentazioni svolte nell’atto di costituzione
nel procedimento di cui al ricorso n. 91 del 2006 riguardanti il fondamento della
potestà legislativa regionale in materia tributaria.
5.1. – Ad avviso della resistente, l’autonomia
legislativa garantita dallo statuto speciale giustifica, nel
quadro di un federalismo “competitivo”, una differenza di trattamento
fra cittadini di Regioni diverse, in funzione delle diverse politiche
economiche e fiscali perseguite, con il solo vincolo della ragionevolezza.
Per la stessa resistente, poiché le risorse
finanziarie delle Regioni a statuto speciale sono costituite da una quota dei
principali tributi statali versati dai cittadini residenti nel territorio
regionale «a fronte del reddito prodotto e dei servizi scambiati sul quel
territorio», è evidente che i cittadini residenti e i non
residenti possono essere trattati, dalle leggi tributarie regionali, in
modo ragionevolmente diverso. Ciò trova giustificazione nel differente apporto
degli uni e degli altri cittadini alle entrate fiscali statali spettanti alla
Regione. La differenziazione fra residenti e non residenti non è, allora, posta
arbitrariamente dal legislatore regionale, ma trova fondamento nella
circostanza che i non residenti non versano alla
Regione alcunché, tranne una quota minima e del tutto eventuale di risorse che
«dallo Stato arrivasse […] mediante fondi perequativi e risorse aggiuntive». In
conclusione sul punto, il fatto che i non residenti
utilizzino, mediante le case ad uso turistico situate sulla costa, il
territorio e l’ambiente della Sardegna rende ragionevole, e quindi compatibile
con l’art. 3 Cost., l’esercizio del potere impositivo regionale allo scopo di realizzare risorse
aggiuntive destinate a sviluppare, anche sotto il profilo turistico, «le zone
interne e i centri storici dell’Isola».
Sempre ad avviso della Regione, l’esercizio
della potestà impositiva prevista dallo statuto
risponde anche all’interesse dello Stato, perché alleggerisce la pressione sui
fondi perequativi di cui all’art. 119, terzo comma, Cost. e sulle risorse
aggiuntive di solidarietà di cui allo stesso art. 119, quinto comma, Cost.
Anzi, il fatto che la Sardegna, Regione con un reddito medio piú basso della media nazionale, abbia istituito i tributi oggetto delle norme censurate avrebbe dovuto
essere valutato positivamente, come segnale della capacità di reperire nuove
risorse finanziarie per accrescere lo sviluppo.
La resistente si sofferma, poi, su alcuni
esempi di norme regionali che prevedono discipline differenziate
tra residenti e non residenti nella Regione, quali:
a) l’art. 16, lettera p), della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia 25 agosto 2006, n. 17
(Interventi in materia di risorse agricole, naturali, forestali e montagna e in
materia di ambiente, pianificazione territoriale,
caccia e pesca), il quale dispone che «la Regione determina annualmente, in
modo differenziato tra residenti in regione e non residenti, i corrispettivi
per l’esercizio della raccolta» dei funghi;
b) gli artt. 41 e 70
della legge della Regione Emilia-Romagna 6 agosto 1979, n. 25 (Protezione e
incremento della fauna ittica – Organizzazione delle acque interne ai fini
della pesca – Norme per l’esercizio della pesca nell’Emilia-Romagna), che
riservano ai pescatori professionisti residenti la pesca in determinate
categorie di acque;
c) gli artt. 1 e 2 della legge della Regione Abruzzo 5 settembre 1991, n.
53 (Provvidenze a favore degli operatori della pesca marittima per i danni
subiti in conseguenze delle avverse condizioni ambientali del mare), che
prevedevano provvidenze a favore dei soli pescatori residenti nella Regione;
d) l’art. 26 della legge della Regione Friuli Venezia-Giulia 20 aprile 1999, n. 9 (Disposizioni varie in
materia di competenza regionale), che prevedeva che i proprietari di beni
danneggiati dagli eventi alluvionali del 1996, ma non residenti nei Comuni
colpiti da tali eventi, beneficiassero di un contributo pari soltanto al 15%
del danno subito;
e) l’art. 11 della
legge della Regione Liguria 8 giugno 2006, n. 15 (Norme ed interventi in
materia di diritto all’istruzione e alla formazione), che prevede l’erogazione
di contributi per gli studenti piú meritevoli
residenti in Liguria.
5.2. – Al fine di contestare l’affermazione
del ricorrente per cui le imposte oggetto delle norme
denunciate non sarebbero coerenti con l’art. 8, lettera h), dello statuto di
autonomia, la Regione afferma, poi, di aver perseguito, con dette imposte, una
politica economica e fiscale in materia di sviluppo turistico. La norma
statutaria citata, consente, infatti, di istituire ogni tipo di tributo che
abbia attinenza con il turismo, anche sotto forma di imposta
sui redditi da plusvalenza immobiliare o sul patrimonio costituito dalle
seconde case ad uso turistico. Per tali due imposte, il riferimento del
legislatore regionale al limite dei tre chilometri dalla linea di battigia
marina è, allora, pienamente ragionevole, trovando rispondenza nelle
disposizioni del nuovo piano paesaggistico regionale, che prevedono
un regime di tutela proprio per le aree costiere dell’isola. In tale
prospettiva, la nozione statutaria di “turismo” non coincide con quella di
“servizi turistici”, ma si estende fino a comprendere ogni «coerente e armonica politica economico tributaria di settore».
Piú in generale, in relazione all’ampiezza dell’autonomia impositiva
regionale, la resistente afferma, contestando quanto sostenuto dal ricorrente,
che:
a) i tributi oggetto
delle norme censurate «costituiscono estrinsecazione di un potere impositivo autonomo, che trova giustificazione nello
statuto speciale»;
b) «i tributi propri sono una figura distinta
da quelli appartenenti al sistema tributario dello Stato»;
c) la Regione può «deliberare “tipi” specifici
di tributi, nell’ambito, certamente residuale, ma non meno qualificante, ad essa assegnato dalla vigenza delle disposizioni delle leggi
tributarie dello Stato»;
d) «i tributi in questione si devono armonizzare
coi principi del sistema tributario statale» e si
fondano su una politica finanziaria propria della Regione «nel rispetto
dell’unità del sistema tributario dello Stato».
Sempre secondo la resistente, a tale
ricostruzione consegue che la mancanza di una legislazione statale di
coordinamento del sistema tributario non preclude alla Regione Sardegna la
facoltà di istituire tributi propri, proprio perché tale facoltà si fonda sulla autonomia statutaria e non sulla potestà legislativa
generalmente riconosciuta alle Regioni in materia tributaria dall’art. 117
Cost. A questa considerazione si deve aggiungere che, poiché i tributi
istituiti e disciplinati dalle norme censurate hanno per oggetto il turismo,
essi «non dovrebbero incontrare particolari difficoltà di “armonia” con i
principi del sistema tributario», proprio perché lo Stato ha rinunciato al
potere impositivo in materia di turismo; materia
ricondotta dall’art. 117, quarto comma, Cost. alla potestà legislativa
residuale delle Regioni. Ciò vale, a maggior ragione, in forza della
sostituzione dell’art. 8 dello statuto speciale
operata dal comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006. Tale intervento
legislativo è, infatti, fondato, sempre a detta della Regione resistente, su un
accordo fra lo Stato e la Regione finalizzato a risolvere le conseguenze del
mancato funzionamento dei meccanismi di trasferimento di risorse introdotti con
la legislazione del 1983; accordo con cui lo Stato avrebbe implicitamente
riconosciuto la potestà impositiva della Regione
Sardegna in materia di turismo senza subordinarla a
interventi statali di coordinamento e senza adottare una normativa di
attuazione dello statuto.
5.3. – In riferimento
alla censura della parte ricorrente per cui i tributi oggetto delle disposizioni
denunciate violerebbero il principio di progressività, la Regione osserva che
le imposte di tipo “turistico-ambientale” colpiscono
un soggetto o un bene non in relazione alla capacità contributiva del soggetto
o al valore venale del bene, bensí in quanto essi si
trovino in un determinato luogo e «“consumino” od usino il bene protetto in
questione». Proprio per il carattere di residualità tipico dei tributi
regionali, questi non devono rispettare il «principio di assoluta
progressività che è proprio delle imposte sui redditi o sui patrimoni», perché
altrimenti si sovrapporrebbero all’imposizione statale. Peraltro – osserva la
Regione – anche tributi statali quali l’IVA e l’ICI
sono privi del carattere di progressività, perché il principio di
progressività, contrariamente a quanto affermato dalla difesa erariale, non
costituisce «un principio generale e indefettibile del sistema tributario».
5.4. – Riguardo alla violazione del diritto
comunitario, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., da parte delle norme censurate, la resistente osserva in
primo luogo che la Corte costituzionale non ha mai utilizzato tale parametro
costituzionale per verificare la compatibilità del diritto interno con il
diritto comunitario ed eccepisce l’inammissibilità delle relative questioni.
Afferma, poi, che l’imposizione diretta non è oggetto della disciplina
comunitaria, perché l’art. 58 del Trattato CE precisa
che gli Stati membri hanno diritto «di applicare le pertinenti disposizioni
della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i
contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda
il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale». Ne
conseguirebbe che le differenze di trattamento tra residenti e non residenti
introdotte dalla legislazione censurata non costituirebbero di per sé
violazioni del diritto comunitario. A sostegno della propria ricostruzione, la
resistente cita, poi, tributi sul turismo, che necessariamente distinguono tra
residenti e non residenti e che non sono stati ritenuti in contrasto con il
diritto comunitario, quali le tasse di soggiorno francesi e spagnole e le
imposte sulle seconde case tedesche.
Non sussiste, ad avviso della Regione, alcuna
violazione dell’art. 12 del Trattato CE perché i tributi introdotti dalle
disposizioni censurate si inquadrano «in una piú ampia politica regionale di tutela e salvaguardia del
[…] patrimonio paesaggistico in funzione del turismo» e non recano indebite
restrizioni alla libertà di circolazione di beni, persone e capitali ovvero
alla libertà di stabilimento.
5.5. – Ciò premesso, la Regione passa a
trattare le censure formulate dal ricorrente nei confronti dei singoli tributi.
5.5.1. – In
riferimento all’imposta sulle plusvalenze, la resistente osserva
preliminarmente che, mentre nel ricorso si affermano violati l’art. 8, lettera
h), dello statuto regionale e gli artt. 3, 53, 117,
primo comma, in riferimento all’art. 12 del Trattato
CE, nella deliberazione governativa di impugnazione del 27 luglio 2007 si
indica unicamente la violazione dell’art. 8, lettera h), dello statuto e degli artt. 3, 53 Cost., mentre v’è un generico riferimento all’art. 117, primo
comma, Cost. e all’art. 12 del Trattato CE solo nella proposizione finale di
detta deliberazione. Pertanto, l’evocazione del parametro di cui all’art. 117,
primo comma, Cost., in
riferimento all’art. 12 del Trattato, sarebbe inammissibile.
La Regione afferma, poi, di avere adottato le
disposizioni censurate proprio al fine di accogliere i rilievi espressi dal
Governo, con il ricorso n. 91 del 2006, sull’art. 2 della legge reg. n. 4 del
2006. Nella originaria formulazione, infatti, la norma
regionale colpiva le plusvalenze di tutte le cessioni a titolo oneroso dei
fabbricati siti in Sardegna entro tre chilometri dalla battigia marina; nella
nuova formulazione, invece, la norma, proprio allo scopo di evitare una
sovrapposizione con l’art. 67, comma 1, lettera b), del d.P.R.
n. 917 del 1986, per cui le plusvalenze immobiliari
sono tassabili solo nel caso in cui la cessione avvenga a non piú di cinque anni dall’acquisto o dalla costruzione
dell’immobile, esclude dalla tassazione le plusvalenze delle cessioni avvenute
entro cinque anni dall’acquisto o dalla costruzione delle unità immobiliari.
Ad avviso della Regione, la censura proposta
dal Governo nel ricorso n. 36 del 2007 nei confronti della nuova formulazione
della norma (per cui essa non sarebbe in armonia con i
princípi del sistema tributario dello Stato in quanto colpirebbe, in violazione
del principio espresso dal citato art. 67, comma 1, lettera b), una plusvalenza
ultraquinquennale e quindi priva del carattere speculativo richiesto dalla
legislazione statale per la sua sottoposizione a tassazione) si porrebbe in
contraddizione con la censura proposta nel ricorso n. 91 del 2006 nei confronti
della precedente formulazione della norma (per cui essa costituirebbe una
parziale duplicazione dell’imposizione statale sulle plusvalenze immobiliari infraquinquennali, in quanto riferita, senza distinzioni, a
plusvalenze immobiliari maturate in ogni tempo). Da un lato, infatti, il
ricorrente lamenterebbe la violazione del divieto di
duplicazione dell’imposizione sullo stesso presupposto (la plusvalenza
immobiliare infraquinquennale), dall’altro
censurerebbe la disarmonia tra la scelta del legislatore regionale di
sottoporre a tassazione plusvalenze immobiliari prive del carattere speculativo
e la politica fiscale statale di sottoporre a tassazione le sole plusvalenze
immobiliari dotate di tale carattere. In ogni caso, le censure governative non
terrebbero conto del fatto che l’imposta regionale sulle plusvalenze, proprio
per il suo carattere di residualità, intende colpire il maggior valore che
consegue oggettivamente alla realizzazione di un
immobile sulla costa, a prescindere dalla capacità contributiva o dall’intento
speculativo del proprietario. Rinunciando all’imposta per il periodo dei primi
cinque anni del godimento dell’immobile, mediante la modifica apportata al
tributo con la legge finanziaria regionale n. 2 del 2007, la Regione avrebbe
inteso realizzare le sue peculiari esigenze di finanziamento, senza incidere
sui tributi statali e senza sovrapporsi ad essi.
Quanto al rilievo della difesa erariale – per cui la legge regionale avrebbe illegittimamente fissato
la distanza di tre chilometri dalla linea di battigia marina quale condizione
per l’imposizione, senza tenere conto della conformazione dei luoghi e delle
diverse possibilità di accesso al mare –, la resistente osserva che il
riferimento alla fascia costiera nel suo complesso trova giustificazione nella
generale azione di salvaguardia dell’ambiente costiero, minacciato e in parte
già deturpato da una forte speculazione edilizia. Il riferimento ad un limite
fisico di distanza dalla costa quantitativamente determinato sarebbe, pertanto,
coerente con la tutela apprestata ad ampie porzioni del territorio dall’art. 142, comma 1, lettere a) e d), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e
del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). La
ragionevolezza dell’imposta sarebbe, del resto, confermata dalla previsione per cui il suo gettito è destinato per il 75 per cento al
fondo perequativo per lo sviluppo e la coesione territoriale delle aree interne
e per il restante 25 per cento al Comune nel quale il gettito è generato.
Quanto alla disparità di trattamento fra
soggetti residenti e non residenti prospettata dal ricorso, la Regione ribadisce che l’imposta non si fonda sulla capacità
contributiva intesa in senso reddituale, bensí, sulla insistenza di «un certo soggetto o di un certo
bene in un determinato luogo». A ciò si deve aggiungere, secondo la Regione,
che le risorse finanziarie regionali provengono per la maggior parte dal
gettito dei tributi statali corrisposti dai residenti, che si trovano
naturalmente in contatto con il territorio la cui tutela il tributo turistico
mira a realizzare.
In riferimento alla
pretesa violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in
relazione all’art. 12 del Trattato CE, la resistente ribadisce i rilievi di
inammissibilità e le considerazioni in punto di merito già svolti in via
generale.
5.5.2. – Riguardo all’imposta sulle seconde
case ad uso turistico, la Regione premette di avere modificato la formulazione
originaria dell’art. 3 della legge reg. n. 4 del 2006, anche
in considerazione dei rilievi svolti dal Governo nel ricorso n. 91 del 2006.
A tale proposito, evidenzia che, con le modifiche introdotte con il denunciato art. 3, comma 2, della legge reg. n. 2 del
2007, le aliquote del tributo sono state rimodulate
nel senso di una maggiore progressività ed è stata introdotta una norma di salvaguardia che consente al contribuente di avvalersi per
l’anno 2006 delle disposizioni previgenti, nel caso
in cui queste prevedano una misura piú favorevole
dell’imposta.
La Regione contesta, in primo luogo, la
censura proposta dalla difesa erariale, per cui la
previsione che l’imposta sia dovuta anche in mancanza del possesso violerebbe
il principio di ragionevolezza, affermando che non vi è dubbio che sia
ragionevole che l’imposta stessa gravi sul proprietario a prescindere dal
possesso.
Quanto alla censura relativa
al fatto che l’imposta sarebbe irragionevole perché è dovuta anche per
immobili privi di vista sul mare e comunque non tiene conto della capacità
contributiva, la Regione ribadisce le considerazioni già svolte in relazione
alle analoghe censure proposte in riferimento all’imposta sulle plusvalenze.
Riguardo alla censura della difesa erariale
fondata sulla pretesa regressività dell’imposta per
gli immobili di superficie piú ampia, la resistente,
da un lato, ribadisce che le imposte turistico-ambientali «non si ispirano a logiche impositive di ordine patrimoniale strettamente connesse
alla capacità contributiva e reddituale della persona
e del bene»; dall’altro osserva che la progressività dell’imposta va
commisurata a un tetto massimo che il legislatore ha inteso non superare per
evitare un carico tributario eccessivo. La Regione rileva, peraltro, che anche
l’ICI statale è priva del carattere di progressività «all’interno di ciascuna
categoria (prima casa, abitazione a disposizione, ufficio ecc.) di afferenza contributiva dei vari
immobili tassati».
In relazione alla censura per cui
l’imposta non sarebbe in armonia con i princípi del sistema tributario dello
Stato, la resistente rileva che detta imposta è comunque commisurata al valore
dell’immobile, perché le abitazioni della fascia costiera si collocano in una
zona omogenea nella quale è assai rilevante l’incremento di valore. Proprio
tale maggiore valore è il fondamento della nuova imposta, strettamente
collegata alla politica tributaria della Regione, perché destinata, per il 75
per cento al fondo di sviluppo delle aree interne e per 25 per cento al Comune
nel quale il gettito è originato. In conclusione, ad avviso della Regione, le
censure contenute nel ricorso devono essere rigettate, perché «non vi sono
interferenze e sovrapposizioni con tributi statali» e perché «la progressività
è salvaguardata, come pure la finalizzazione delle
nuove entrate alle peculiari esigenze di sviluppo della Regione».
5.5.3. – Con riguardo all’imposta regionale
sullo scalo turistico di aeromobili e unità da
diporto, disciplinata dall’art. 4 della legge reg. n. 4 del
2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 2
del 2007, la resistente afferma, in primo luogo, che essa ha natura turistica,
perché colpisce lo scalo effettuato nel periodo estivo e gli esercenti che
risiedono fuori dal territorio regionale; cioè
colpisce, con riferimento agli aeromobili, gli scali privati negli aeroporti
per ragioni turistiche. In secondo luogo, la Regione nega che l’imposta
provochi, come sostenuto dall’Avvocatura generale dello Stato, una indebita restrizione alla prestazione dei servizi
nautici e aerei con violazione degli artt. 49, 81 e
87 del Trattato CE. A tale proposito, la resistente ribadisce
la già proposta eccezione di inammissibilità delle censure fondate sul diritto
comunitario ed afferma, nel merito, che l’art. 49 del Trattato CE non osta,
come evidenziato dalla Corte di giustizia CE, all’istituzione di tributi
analoghi a quello oggetto della disposizione censurata, quali l’imposta di
pubblicità italiana e i tributi belgi per l’installazione di antenne destinate
alla telecomunicazione.
In particolare, con riguardo allo scalo degli
aeromobili, la Regione contesta che vi sia duplicazione fra l’imposta regionale
e i diritti aeroportuali, ribadendo le argomentazioni
già svolte in proposito nell’atto di costituzione nel procedimento introdotto
con il ricorso n. 91 del 2006; contesta altresí il
dedotto carattere regressivo dell’imposta, osservando che il tributo è
ragionevolmente diretto ad agevolare gli aeromobili che con un unico scalo
portano piú turisti rispetto a quelli che ne portano
di meno.
In relazione alla dedotta non
progressività del tributo sullo scalo delle unità da diporto, la resistente
ribadisce le considerazioni già svolte con riferimento allo scalo degli
aeromobili e piú in generale, in punto di
progressività, alle imposte disciplinate dai censurati artt.
2 e 3 della legge reg. n. 4 del 2006. Contesta, poi, quanto sostenuto dal
ricorrente, per il quale non sarebbe consentito fissare l’imposta anche per gli
scali di unità da diporto nei campi di ormeggio
situati nel mare territoriale perché il mare territoriale non farebbe parte del
territorio regionale. Tali rilievi sono, per la resistente Regione, in primo
luogo, inammissibili, perché non proposti dal Governo nella deliberazione del
Consiglio dei ministri del 27 luglio 2007; in secondo luogo, infondati, perché
il conferimento alle Regioni delle competenze relative al
rilascio di concessioni di beni del demanio marittimo e di zone del mare
territoriale ad opera dell’art. 105 del d.lgs. 31
marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle Regioni ed agli Enti locali in attuazione del capo I della legge 15
marzo 1997, n. 59), consente alla Regione di regolare anche sotto il profilo
tributario la materia trasferita.
5.5.4. – Con riguardo
all’art. 5 della legge reg. n. 2 del 2007, che istituisce
e disciplina l’imposta di soggiorno, la Regione premette che detta imposta, già
in vigore in Italia fino al 1989 e ancora in vigore in Trentino-Alto Adige,
presenta «notevoli elementi “di scopo”», perché i suoi proventi sono destinati
a interventi nel settore del turismo sostenibile e della fruizione delle
risorse ambientali.
La resistente contesta, in primo luogo, le
censure del ricorrente per cui l’imposta sarebbe un
tributo comunale e per questo non potrebbe essere stabilita dalla Regione in
mancanza dei princípi fondamentali del coordinamento del sistema tributario.
Sostiene la resistente di essere titolare, ai sensi
dell’art. 3, lettere b) e p), dello statuto di autonomia, di potestà
legislative esclusive in materia di finanza locale e turismo e di essersi
limitata, in ogni caso, a stabilire un tributo regionale «affidato, nella
gestione, ai Comuni», i quali hanno facoltà di istituirlo o no.
Lo stesso Governo, nella risoluzione n. 5 del Ministero dell’economia e delle finanze
in data 4 aprile del 2002, avrebbe ammesso che anche le Regioni possono
istituire nuovi tributi degli enti locali.
In secondo luogo, la resistente contesta la
fondatezza della censura proposta nel ricorso, per cui
la disciplina regionale violerebbe l’art. 119 Cost.,
perché non lascerebbe ai Comuni alcun margine di autonomia sul tributo se non
la facoltà di istituirlo o no. Rileva al riguardo la
Regione che, trattandosi di un tributo regionale, spetta al legislatore
regionale stabilire l’ampiezza delle competenze attribuite al Comune e che il
Governo non ha mai censurato la legge della Regione Trentino-Alto Adige n. 10
del 1976, che ha istituito un’imposta di soggiorno senza consentire ai Comuni
alcuna scelta in ordine alla sua applicazione.
La Regione richiama, infine, a sostegno
dell’infondatezza dei rilievi svolti nel ricorso circa il preteso contrasto fra
la disposizione censurata e il diritto comunitario, le considerazioni già
svolte in generale e a proposito degli altri tributi oggetto delle norme
denunciate.
6. – Nel procedimento introdotto con il
ricorso n. 36 del 2007, il Presidente del Consiglio dei ministri, con memoria
depositata in prossimità dell’udienza, ha riproposto
le argomentazioni già esposte nel ricorso, precisando, in particolare, che:
a) le imposte oggetto delle norme censurate
non possono essere considerate imposte sul turismo, perché il turismo ne è lo scopo, ma non il presupposto;
b) la sottoposizione a tassazione sia dello
scalo sia del soggiorno è incoerente con la dichiarata finalità di promozione
turistica dei tributi in questioni;
c) «non risulta
evidente come la tutela dell’ambiente possa essere realizzata attraverso una
imposizione che è regressiva rispetto alle presenze, […] quindi non collegata
all’entità dell’inquinamento prodotto, per divenire addirittura nulla, in caso
dei natanti, se la presenza è continua nell’intero anno»;
d) l’art. 8, lettera h), dello statuto non
attribuisce alla Regione una generale potestà legislativa tributaria, perché la
facoltà di istituire i singoli tributi deve esserle attribuita da norme
diverse;
e) in ogni caso, «una
volta programmata un’imposta, la Regione dovrebbe individuare l’imposta statale
che piú si avvicina, per seguire i principi che ne
ispirano la disciplina»;
f)
contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente, le questioni fondate sulla
violazione del diritto comunitario non sono inammissibili per “irrilevanza
costituzionale”, perché su di esse la Corte
costituzionale può provvedere o in via diretta o tramite il rinvio pregiudiziale
ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE;
g) «il fatto che i non
residenti italiani possano subire una disciplina discriminata non rende
solo per questo legittima la situazione anche dal punto di vista comunitario»;
h) la tassazione delle seconde case avrebbe
dovuto riguardare tutti i proprietari di seconde case e non solo i non residenti in Sardegna;
i) il fatto che i residenti in Sardegna
contribuiscano già alle finanze regionali con le quote dei tributi statali
riscossi in Sardegna non giustifica la sottoposizione alla tassazione regionale
dei non residenti, perché il regime statutario
speciale già attribuisce alla Regione quote di tributi statali in misura
superiore a quanto attribuito alle Regioni ordinarie;
l) l’imposta sulle plusvalenze è
irragionevole, perché è stata istituita dallo stesso soggetto (la Regione) che,
adottando il piano di sviluppo territoriale, «ha determinato la produzione
della materia tassabile»;
m) l’imposta sulle plusvalenze ha una ratio
contraddittoria, perché, non colpendo le plusvalenze immobiliari infraquinquennali, non tocca l’incremento di valore degli
immobili costieri prodottosi a séguito dei vincoli di inedificabilità
disposti dal piano paesaggistico regionale;
n) contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente,
è ben possibile prospettare con un ricorso proposto in via principale questioni
interpretative e, pertanto, è ammissibile anche la questione se l’imposta sulle
seconde case ad uso turistico debba interpretarsi nel senso che il non
possessore non può essere considerato soggetto passivo dell’imposta;
o) l’imposta sullo
scalo degli aeromobili è irragionevole, perché colpisce anche aeromobili
utilizzati per affari, víola il diritto comunitario,
e avvantaggia, «tra i voli diretti in Sardegna», «quelli gestiti da imprese
sarde»;
p) la Regione può svolgere sul mare
territoriale solo funzioni di polizia demaniale, «che non comprendono il potere
di applicare imposte a chi vi staziona»;
q) l’imposta di soggiorno non ha natura
regionale, ma comunale.
Considerato in diritto
1. – Con il primo dei due ricorsi in epigrafe
(n. 91 del 2006), il Presidente del Consiglio dei ministri censura:
a) l’art. 2 della legge della Regione Sardegna
11 maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di entrate,
riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), in riferimento:
all’art. 8, lettera i), dello statuto della Regione Sardegna (nel testo vigente
all’epoca del deposito del ricorso); agli artt. 117 e
119 della Costituzione, in relazione all’art. 10 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, anche per violazione del principio
fondamentale espresso dall’art. 67, comma 1, lettera b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo
unico delle imposte sui redditi); agli artt. 3 e 53 Cost.; all’art. 117, primo comma, Cost., per violazione dell’art. 12 del Trattato CE;
b) l’art. 3 della stessa legge regionale, in riferimento: all’art. 8, lettera i), dello statuto della
Regione Sardegna (nel testo vigente all’epoca del deposito del ricorso); agli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001; agli artt. 3 e 53 Cost.;
all’art. 117, primo comma, Cost.,
per violazione dell’art. 12 del Trattato CE;
c) l’art. 4 della stessa legge regionale, in riferimento: all’art. 8, lettera i), dello statuto della
Regione Sardegna (nel testo vigente all’epoca del deposito del ricorso); agli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001; all’art. 53 Cost.; agli artt.
3 e 53, secondo comma, Cost. (parametri non
espressamente indicati).
Ciascuno degli articoli denunciati istituisce
e disciplina un particolare tributo regionale:
a) l’«imposta regionale sulle plusvalenze dei
fabbricati adibiti a seconde case» (rubrica dell’art. 2);
b) l’«imposta regionale sulle seconde case ad
uso turistico» (rubrica dell’art. 3);
c) l’«imposta
regionale su aeromobili ed unità da diporto» (rubrica dell’art. 4).
2. – Con il secondo dei due ricorsi in
epigrafe (n. 36 del 2007), il Presidente del Consiglio dei ministri censura:
a) l’art. 2 della stessa legge regionale n. 4
del 2006, quale sostituito dall’art. 3, comma 1, della legge reg. 29 maggio
2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
della Regione – Legge finanziaria 2007), in
riferimento: all’art. 8, lettera h), dello statuto della Regione Sardegna (nel
testo sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n.
296), anche per violazione dell’art. 67, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 917 del 1986; all’art. 3 Cost.
(parametro non espressamente indicato); agli artt.
3 e 53 Cost.; all’art. 117, primo comma, Cost., per violazione dell’art. 12
del Trattato CE; all’art. 119 Cost.;
b) l’art. 3 della
stessa legge regionale n. 4 del 2006, quale sostituito dall’art. 3, comma 2,
della citata legge reg. n. 2 del 2007, in
riferimento: all’art. 8, lettera h), dello statuto della Regione Sardegna (nel
testo sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006); agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001; all’art. 53 Cost.; agli artt.
3 e 53 Cost.; al principio di
ragionevolezza;
c) l’art. 4 della
stessa legge regionale n. 4 del 2006, quale sostituito dall’art. 3, comma 3,
della citata legge reg. n. 2 del 2007, in
riferimento: ai parametri già evocati in relazione ai denunciati artt. 3 e 4 della legge reg. n. 4 del
2006, quali sostituiti dall’art. 3, commi 1 e 2, della legge reg. n. 2
del 2007; agli artt. 117, secondo
comma, lettera e), e 120 Cost.; all’art. 3 di un non
precisato testo normativo; agli artt. 3 e 53 Cost.; agli artt. 1, 3, 8,
lettera h), dello statuto della Regione Sardegna (nel testo sostituito dal
comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006); all’art. 117, primo comma, Cost., per violazione degli artt. 3, lettera g), 10, 49, 81 e
87 del Trattato CE;
d) l’art. 5 della citata legge regionale n. 2
del 2007, in riferimento: all’art. 8, lettera h),
dello statuto della Regione Sardegna (nel testo sostituito dal comma 834
dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006); all’art. 119 Cost.,
in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001; all’art. 3 Cost.; all’art. 117, primo comma, Cost.,
per violazione degli artt. 12 e 49 del Trattato CE.
Ciascuno dei denunciati articoli disciplina un
diverso tributo regionale: o quale risulta a séguito
delle modifiche apportate dalla legge reg. n. 2 del 2007 al
corrispondente tributo previsto dalla precedente legge reg. n. 4 del
2006, oppure quale introdotto ex novo dalla medesima legge reg. n. 2 del 2007.
In particolare, le censure riguardano:
a) l’«imposta
regionale sulle plusvalenze delle seconde case ad uso turistico» (rubrica
dell’art. 2 della legge reg. n. 4 del 2006, quale
sostituito dal comma 1 dell’art. 3 della legge reg. n. 2 del 2007);
b) l’«imposta
regionale sulle seconde case ad uso turistico» (rubrica dell’art. 3 della legge
reg. n.
4 del 2006, quale sostituito dal comma 2 dell’art. 3 della
legge reg. n. 2 del 2007);
c) l’«imposta
regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto»
(rubrica dell’art. 4 della legge reg. n. 4 del 2006, quale
sostituito dal comma 3 dell’art. 3 della legge reg. n. 2 del 2007);
d) l’«imposta di soggiorno» (art. 5 della
legge reg. n. 2 del 2007).
3. – I giudizi relativi ai
suddetti ricorsi vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi, in
considerazione dell’evidente analogia delle questioni prospettate.
4. – Le questioni proposte nei due ricorsi
riguardano tutte tributi propri della Regione – in quanto
istituiti con legge regionale ai sensi dell’art. 8, lettera h) [già i)], dello
statuto speciale –, e possono essere suddivise in tre gruppi, secondo i
parametri richiamati in relazione a ciascun tributo:
a) questioni relative al
riparto di competenze legislative tra Stato e Regione; b) questioni basate su
norme della Costituzione non attinenti al riparto delle competenze;
c) questioni basate su
norme di diritto comunitario evocate attraverso l’art. 117, primo comma, Cost.
Con il primo gruppo di questioni, che hanno per
oggetto il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni in materia
tributaria, sono evocati:
a) l’art. 8, lettera i) – poi divenuta lettera
h), in forza della sostituzione operata dal comma 834 dell’art. 1 della legge
n. 296 del 2006, dello statuto della Regione Sardegna –, il
quale prevede che le entrate della Regione sono costituite «da imposte e
tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facoltà di
istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello
Stato»;
b) gli artt. 117 e
119 Cost., in relazione
all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Con il secondo gruppo di questioni, sono
evocati gli artt. 3 e 53 Cost., nei quali il ricorrente individua il fondamento dei
princípi di ragionevolezza, uguaglianza e capacità contributiva.
Con il terzo gruppo di questioni, sono
evocati, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., gli artt. 12,
49, 81 – «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10» – e 87 del Trattato CE.
5. – Le questioni del primo gruppo (sopra
indicato con la lettera a) pongono il preliminare problema dell’individuazione
del parametro applicabile in tema di competenza legislativa tributaria della
Regione Sardegna: se, cioè, esse debbano essere
esaminate alla stregua dell’art. 8, lettera i) – ora lettera h) –, dello
statuto speciale o alla stregua degli artt. 117 e 119
Cost.
Questa Corte ritiene corretta la prima
ipotesi.
Non può, infatti, essere presa in
considerazione, nella specie, la disciplina del Titolo V della Parte II della
Costituzione, non garantendo essa, rispetto allo statuto speciale, quelle
«forme di autonomia piú
ampie» che, sole, ne consentirebbero l’applicazione alle Regioni a statuto
speciale ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. La
maggiore autonomia assicurata dallo statuto risulta
dal fatto che la condizione cui deve sottostare la Regione Sardegna
nell’istituire tributi propri è solo quella – prevista dall’art. 8, lettera h),
dello statuto – dell’armonia con i princípi del sistema tributario statale,
mentre le Regioni a statuto ordinario sono assoggettate al duplice limite
costituito dall’obbligo di esercitare il proprio potere di imposizione in
coerenza con i princípi fondamentali di coordinamento e dal divieto di
istituire o disciplinare tributi già istituiti da legge statale o di stabilirne
altri aventi lo stesso presupposto, almeno fino all’emanazione della
legislazione statale di coordinamento.
5.1. – Per giungere a tale conclusione,
occorre muovere dalla premessa che il nuovo Titolo V della Parte II della
Costituzione prevede che:
a) lo Stato ha competenza legislativa
esclusiva in materia di «sistema tributario […] dello Stato» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.);
b) le Regioni hanno potestà legislativa
esclusiva nella materia tributaria non espressamente riservata alla
legislazione dello Stato, con riguardo, beninteso, ai presupposti d’imposta
collegati al territorio di ciascuna Regione e sempre che l’esercizio di tale
facoltà non si traduca in un dazio o in un ostacolo alla libera circolazione
delle persone e delle cose tra le Regioni (artt. 117, quarto comma, e 120, primo comma, Cost.);
c) le Regioni e gli enti locali «stabiliscono
e applicano tributi e entrate propri in armonia con la
Costituzione e secondo i principî di coordinamento […] del sistema tributario»
(art. 119, secondo comma, Cost.);
d) lo Stato e le Regioni hanno competenza
legislativa concorrente nella materia del «coordinamento […] del sistema
tributario», nella quale è riservata alla competenza
legislativa dello Stato la determinazione dei princípi fondamentali.
Tale riserva di competenza legislativa nella
materia del coordinamento del sistema tributario non può comportare, tuttavia,
alcuna riduzione del potere impositivo già spettante
alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, perché, ai sensi
dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la nuova disciplina
costituzionale si applica ad esse (fino
all’adeguamento dei rispettivi statuti) solo per la parte in cui prevede «forme
di autonomia piú ampie rispetto a quelle già
attribuite» e, pertanto, non può mai avere l’effetto di restringere l’àmbito di autonomia garantito dagli statuti speciali
anteriormente alla riforma del Titolo V della Parte II Cost. (ex multis, sentenza n. 103 del 2003).
Il quadro normativo risultante dalla riforma
costituzionale è stato interpretato da questa Corte nel senso, da una parte,
che lo spazio riservato a detta potestà dipende prevalentemente dalle scelte di fondo operate dallo Stato in sede di fissazione dei
princípi fondamentali di coordinamento del sistema tributario e, dall’altra,
che l’esercizio del potere esclusivo delle Regioni di autodeterminazione del
prelievo è ristretto a quelle limitate ipotesi di tributi, per la maggior parte
“di scopo” o “corrispettivi”, aventi presupposti diversi da quelli degli
esistenti tributi statali. È indicativa di questo indirizzo
la sentenza n. 37 del 2004, la quale ha espressamente affermato che, in forza
del combinato disposto del secondo comma, lettera e), del terzo comma e del
quarto comma dell’art. 117 Cost., nonché dell’art.
119 Cost., «non è ammissibile, in materia tributaria,
una piena esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della
fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale».
In altri termini, lo Stato – nell’esercizio della propria competenza
legislativa nella determinazione dei “princípi fondamentali di coordinamento
del sistema tributario” – ha il potere di fissare, con propria legge, «non solo
[…] i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche
determinare le grandi linee del sistema tributario, e definire gli spazi e i
limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, regioni ed enti
locali». Da tale affermazione la stessa sentenza e le altre che le hanno fatto
séguito hanno tratto l’ulteriore conseguenza che, fino
a quando l’indicata legge statale non sarà emanata, è vietato alle Regioni di
istituire e disciplinare tributi propri aventi gli stessi presupposti dei
tributi dello Stato o di legiferare sui tributi esistenti istituiti e regolati
da leggi statali (sentenze n. 451 del 2007; nn. 413,
412, 75 e 2 del 2006; nn. 455, 397 e 335 del 2005; n.
431 del 2004). Solo per quanto riguarda le suddette limitate ipotesi di tributi
propri aventi presupposti diversi da quelli dei tributi statali, la Corte ha
riconosciuto sussistere il potere delle Regioni di stabilirli, in forza del
quarto comma dell’art. 117 Cost.,
anche in mancanza di un’apposita legge statale di coordinamento, a condizione,
però, che essi, oltre ad essere in armonia con la Costituzione, rispettino
ugualmente i princípi dell’ordinamento tributario, ancorché solo
«“incorporati”, per cosí dire, in un sistema di
tributi sostanzialmente governati dallo Stato» (in tal senso, ancora, la
sentenza n. 37 del 2004, nonché, in via generale, la sentenza n. 282 del 2002).
5.2. – Al fine di individuare, alla luce di
quanto sopra, la disciplina costituzionale applicabile nel caso di specie,
occorre pertanto accertare se il suddetto duplice limite fissato al legislatore
tributario regionale dagli artt. 117 e 119 Cost., come interpretati dalla
giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, sia o no piú
stringente rispetto al limite fissato dallo statuto speciale. Occorre, cioè, verificare se l’«armonia con i princípi del sistema
tributario dello Stato» – che, si è visto, è l’unica specifica condizione
richiesta dallo statuto per legittimamente istituire e disciplinare i tributi
propri della Regione Sardegna – si differenzi complessivamente, in termini di
maggiore autonomia, dall’osservanza dei “princípi fondamentali di coordinamento
del sistema tributario”.
Al riguardo, va preliminarmente sottolineata la differenza che intercorre tra i princípi del
sistema tributario dello Stato ed i princípi fondamentali di coordinamento del
sistema tributario nel suo complesso. I primi attengono specificamente alla
tipologia e alla struttura degli istituti tributari statali, nonché
alle rationes ispiratrici di detti istituti. L’armonia
con tali princípi dei tributi regionali va, perciò, intesa
come rispetto, da parte del legislatore regionale, dello “spirito” del
sistema tributario dello Stato (ex multis, sentenza
n. 304 del 2002) e, perciò, come coerenza e omogeneità con tale sistema nel suo
complesso e con i singoli istituti che lo compongono. I secondi attengono agli
elementi informatori delle regole che presiedono i rapporti e i collegamenti
tra il sistema tributario dello Stato, quello delle Regioni a statuto ordinario
e quello degli enti locali e presuppongono una legge statale che li fissi
espressamente.
Sia l’«armonia con i princípi del sistema
tributario dello Stato» che l’osservanza dei “princípi fondamentali di
coordinamento del sistema tributario” realizzano,
dunque, una funzione di coordinamento in senso lato tra i diversi sottosistemi
del complessivo sistema tributario. Con la differenza, però, che mentre
l’armonia con i «princípi del sistema tributario dello Stato» richiede solo che
la Regione, nell’istituire i tributi propri, valuti essa stessa la coerenza del
sistema regionale con quello statale e conformi, di conseguenza, i propri
tributi agli elementi essenziali del sistema statale e alle rationes
dei singoli istituti tributari, invece, i “princípi fondamentali di coordinamento
del sistema tributario”, in quanto realizzano un
coordinamento in senso stretto, hanno per oggetto la delimitazione delle sfere
di competenza legislativa tributaria e presuppongono – salvi i pochi casi di
cui si è sopra detto – l’esistenza di un’apposita legge che li stabilisca.
Esempio di quest’ultimo tipo di coordinamento è quello realizzato attraverso
princípi che fissino un determinato rapporto
percentuale (in termini di base imponibile o di gettito) tra tributi statali e
tributi regionali o locali; oppure ripartiscano tra i diversi livelli di
governo i presupposti di imposta.
5.3. – Ciò posto, va rilevato che, mentre la
normativa risultante dalla riforma del Titolo V della Parte II della
Costituzione – come interpretata dalle richiamate sentenze di questa Corte –
vieta alle Regioni a statuto ordinario, in difetto di una legislazione statale
sui princípi fondamentali di coordinamento, di disciplinare
tributi già istituiti da legge statale o di istituirne altri aventi lo
stesso presupposto dei preesistenti tributi statali; un simile divieto non è,
invece, desumibile dallo statuto speciale della Regione Sardegna, il quale si
limita ad esigere che i tributi propri regionali siano in armonia con i
princípi del sistema tributario dello Stato. Né può
ritenersi che il suddetto divieto costituisca uno dei princípi con i quali la
legislazione della Regione Sardegna deve armonizzarsi. In
base a quanto si è appena osservato, infatti, esso costituisce un
principio di coordinamento in senso stretto – individuato in via interpretativa
dalla giurisprudenza di questa Corte e transitoriamente applicabile fino
all’emanazione di un’apposita legge statale in materia – che attiene solo alla
ripartizione tra i diversi livelli di governo dei presupposti di imposta, secondo
un criterio temporale di priorità nell’esercizio della potestà legislativa
tributaria.
Ne deriva che il Titolo V della Parte II della
Costituzione non prevede un’autonomia legislativa tributaria piú ampia di quella complessivamente attribuita alla Regione
Sardegna dal suo statuto di autonomia. Quest’ultimo è
l’unico parametro applicabile nella specie e, pertanto, le censure del
ricorrente basate sulla violazione del Titolo V della Parte II della
Costituzione non possono essere prese in considerazione, con le conseguenze,
sul tipo di pronuncia da adottare, che saranno esaminate caso per caso, in relazione al contenuto delle singole censure.
5.4. – Tale esito
interpretativo non esclude, beninteso, che lo Stato possa contenere o ampliare
la potestà normativa di autodeterminazione dei tributi propri attribuita alla
Regione dallo statuto speciale. Significa solo che tale possibilità passa non
già attraverso l’emanazione di una legge statale che fissi i princípi
fondamentali previsti dall’art. 117 Cost., ma attraverso la modificazione statutaria realizzata
attivando lo speciale procedimento di collaborazione previsto dall’art. 54
dello statuto di autonomia, a tenore del quale le disposizioni statutarie in
materia di autonomia finanziaria «possono essere modificate con leggi ordinarie
della Repubblica su proposta del Governo o della Regione, in ogni caso sentita
la Regione».
5.5. – Non osta a tale conclusione
l’orientamento di questa Corte secondo cui sono
applicabili alle Regioni a statuto speciale, come alle Regioni a statuto
ordinario, vincoli complessivi e temporanei alla spesa corrente fissati dalla
legislazione statale (sentenze n. 169 e n. 82 del 2007). Infatti, in base a detto orientamento, tali vincoli, riconducibili ai
“princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica”, si impongono
alle autonomie speciali solo in ragione dell’imprescindibile esigenza di
assicurare l’unitarietà delle politiche complessive di spesa che lo Stato deve
realizzare – sul versante sia interno che comunitario e internazionale –
attraverso la «partecipazione di tutte le Regioni […] all’azione di risanamento
della finanza pubblica» e al rispetto del cosiddetto “patto di stabilità”. Una tale esigenza, in quanto relativa al contenimento della
spesa pubblica, non attiene al sistema tributario della Regione Sardegna – la
cui coerenza con il sistema statale è garantita dalla menzionata «armonia con
il sistema tributario dello Stato» – e rende, perciò, non pertinente al caso di
specie la richiamata giurisprudenza costituzionale.
5.6. – Deve ulteriormente precisarsi che il
testo dell’art. 8, lettera h) (già lettera i), dello statuto speciale (secondo
cui le entrate della Regione sono costituite «da imposte e tasse sul turismo e
da altri tributi propri che la regione ha facoltà di istituire con legge in
armonia con i principi del sistema tributario dello Stato») va interpretato nel
senso che non v’è alcuna distinzione tra tributi «sul
turismo» e «altri tributi propri», quanto alla necessità di rispettare
l’«armonia con i princípi del sistema tributario dello Stato». Per tutti i
«tributi propri» della Regione – riguardino o no la materia turistica – vale, infatti, l’identica esigenza di non creare disarmonie
o incoerenze con il sistema tributario statale. Una diversa interpretazione, quale
quella sostenuta da entrambe le parti, non solo non è imposta dalla lettera
della suddetta disposizione statutaria (come chiarito dalla sentenza n. 62 del
1987, a proposito dell’analoga formulazione contenuta nello statuto speciale
per il Trentino Alto-Adige), ma creerebbe
un’ingiustificata disparità di trattamento tra i tributi sul turismo e gli
altri tributi propri.
5.7. – Ciò premesso, l’esame delle questioni
sottoposte a questa Corte sarà condotto alla stregua sia degli artt. 3, 53 e 117, primo comma, Cost., sia dell’evocato parametro statutario. In particolare,
esso deve essere diretto ad accertare se la normativa regionale impugnata sia coerente con i princípi di uguaglianza e di capacità
contributiva, sia in armonia con lo “spirito” del sistema tributario – piú specificamente, con le rationes
cui sono ispirati i tributi statali gravanti sulle stesse o analoghe materie
imponibili – e non contrasti con gli articoli del Trattato CE indicati dal
ricorrente.
6. – Occorre ora passare all’esame delle questioni
relative all’art. 2 della legge reg. n. 4 del 2006, sia nel testo originario sia in quello sostituito
dall’art. 3, comma 1, della legge reg. n. 2 del 2007, sollevate,
rispettivamente, con il primo e il secondo ricorso.
6.1. – Tale disposizione, nel testo
originario, istituisce e disciplina, con effetto dal 18 febbraio 2007, data di
pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione delle
deliberazioni della Giunta regionale previste ai commi 8 e 9, l’«imposta
regionale sulle plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case», siti in
Sardegna entro tre chilometri dalla battigia marina e destinati ad uso
abitativo. L’imposta è applicabile – nei confronti dell’alienante avente
domicilio fiscale fuori dal territorio regionale o
avente domicilio fiscale in Sardegna da meno di ventiquattro mesi, con
l’esclusione dei soggetti nati in Sardegna e dei loro coniugi – alle cessioni a
titolo oneroso:
1) dei suddetti fabbricati, escluse le unità
immobiliari che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la
costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del
cedente o del coniuge;
2) di quote o azioni
non negoziate sui mercati regolamentati di società titolari della proprietà o
di altro diritto reale su detti fabbricati, per la parte ascrivibile ai
fabbricati medesimi (commi da 1 a 4).
Con il primo ricorso, il Presidente del
Consiglio dei ministri censura la norma in riferimento
all’art. 8, lettera i), dello statuto della Regione Sardegna – nel testo
vigente all’epoca del deposito del ricorso –, perché:
a) l’imposta non può essere considerata sul
turismo, in quanto non ha alcun rapporto con questo;
b) non è ammissibile, in materie diverse dal
turismo, una piena esplicazione di potestà tributarie regionali, in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento
dettata dal Parlamento nazionale;
c) sono «violati i principi del sistema
tributario dello Stato» in materie diverse dal turismo.
In subordine, nel caso in cui «si potessero
desumere i princípi fondamentali del coordinamento del sistema tributario dalla
legislazione tutt’ora in vigore», il ricorrente censura lo stesso art. 2 per
violazione degli artt. 3 e 53 Cost., in riferimento al «principio generale» secondo cui lo
stesso indice di capacità contributiva non giustifica la sovrapposizione di piú imposte, perché ogni imposta ha un presupposto
autonomo, dovendo colpire «materie tassabili diverse», mentre nella specie la
Regione ha colpito la stessa materia già tassata dallo Stato con l’art. 67,
comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 917 del 1986, il
quale prevede che le plusvalenze immobiliari sono tassabili a condizione che la
cessione intervenga a non piú di cinque anni
dall’acquisto o dalla costruzione, esclusi gli immobili acquistati per
successione o donazione e gli altri casi che vi sono indicati.
6.2. – L’art. 2 della legge
reg. n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3,
comma 1, della legge reg. n. 2 del 2007, disciplina, con effetto dal 31
maggio 2007, l’«imposta regionale sulle plusvalenze delle seconde case ad uso
turistico», applicabile – nei confronti dell’alienante a titolo oneroso avente
domicilio fiscale, «ai sensi dell’articolo 58 del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600», o in Sardegna da meno di ventiquattro
mesi o fuori dal territorio regionale – alle cessioni
a titolo oneroso:
1) delle unità immobiliari acquisite o
costruite da piú di cinque anni, site in Sardegna
entro tre chilometri dalla battigia marina, adibite ad uso
abitativo e diverse dall’abitazione principale (cosí
come definita dall’art. 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 504) da parte del proprietario o del titolare di altro diritto reale sulle
stesse;
2) di quote o azioni
non negoziate sui mercati regolamentati di società titolari della proprietà o
di altro diritto reale su detti fabbricati, per la parte ascrivibile ai
fabbricati medesimi (commi 1, 2 e 4).
La norma precisa, al
comma 3, che «L’imposta non si applica alle cessioni a titolo oneroso di unità immobiliari adibite ad uso abitativo, effettuate in
regime di impresa nell’esercizio delle attività di costruzione o compravendita
di immobili, purché iscritte tra le rimanenze dell’ultimo bilancio approvato».
Con il secondo ricorso, il Presidente del
Consiglio dei ministri censura tale norma, in
riferimento all’art. 8, lettera h), dello statuto della Regione Sardegna (nel
testo sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006), perché
«la legge regionale non è in armonia con i principi del sistema tributario
dello Stato contenuti nell’art. 81 [recte: art. 67],
comma 1, lettera b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n.
917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi)», per cui, «nei
confronti di una persona fisica, perché una plusvalenza possa costituire
“reddito diverso” […], è necessario l’intento speculativo», il quale «non può
avere un’articolazione diversa Regione per Regione» e «va escluso quando tra
l’acquisto e la vendita sia intercorso un tempo tale da farlo ritenere quanto
meno improbabile». Lamenta anche la violazione degli artt.
3 e 53 Cost., in riferimento
al principio di capacità contributiva, perché «nella norma impugnata non si
trova alcun elemento per il quale la capacità contributiva, espressa dalla
realizzazione di plusvalenze con la cessione di immobili situati nella Regione,
sia diversa a seconda che il soggetto risieda in Sardegna o fuori».
6.3. – Deve preliminarmente essere esaminata
l’eccezione di inammissibilità proposta dalla
resistente con riferimento al secondo ricorso.
La Regione Sardegna sostiene che, con riguardo
all’imposta sulle plusvalenze, l’evocazione del parametro di cui all’art. 117,
primo comma, Cost., in
riferimento all’art. 12 del Trattato CE, è inammissibile, perché tali parametri
sono stati indicati nella sola proposizione finale della deliberazione
governativa di impugnazione del 27 luglio 2007 e non nella motivazione di
questa.
L’eccezione va rigettata, perché la
deliberazione governativa di impugnazione contiene –
anche se nella sola proposizione finale – l’indicazione di detti parametri, e
ciò è sufficiente ai fini dell’ammissibilità del ricorso. Infatti, come
affermato dalla sentenza n. 533 del 2002, tale deliberazione può limitarsi a
«indicare le specifiche disposizioni che si ritiene […] eccedano la competenza»
della Regione, «potendo essere rimessa all’autonomia tecnica della
Avvocatura generale dello Stato anche l’individuazione dei motivi di
censura».
6.4. – In considerazione di
quanto osservato nel punto 4., il prelievo regionale censurato con i due
ricorsi può considerarsi un tributo proprio della Regione, istituito ai
sensi dell’art. 8, lettera h) [già i)], dello statuto speciale. La Corte deve,
pertanto, limitarsi ad accertare se detto prelievo sia
«in armonia» con il principio del sistema tributario statale espresso dall’art.
67, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 917 del 1986,
di cui il ricorrente lamenta la violazione, in sostanza, in entrambi i ricorsi.
Per la precisione, nel primo ricorso, il
suddetto principio del sistema tributario statale è evocato, dapprima, solo
genericamente (“violazione dei princípi tributari”) con riferimento all’art. 8,
lettera i), dello statuto di autonomia e, poi,
specificamente (con espresso richiamo del citato art. 67 del d.P.R. n. 917 del 1986), con riferimento alla denunciata
violazione degli artt. 3 e 53 Cost.
L’art. 8, lettera h), dello statuto di autonomia, con riguardo al suddetto principio, è, invece,
evocato espressamente nel secondo ricorso. È tuttavia evidente che, anche nel
primo ricorso, il ricorrente ha inteso lamentare la
divergenza della legge regionale da un principio del sistema tributario dello
Stato e, quindi, la violazione del richiamato parametro statutario. È
discutibile la tecnica di impugnazione usata dal
ricorrente, perché egli ha prima denunciato la violazione statutaria di non
specificati princípi del sistema tributario statale e poi ha precisato nello
stesso ricorso, sia pure denunciando anche la violazione degli artt. 3 e 53 Cost., che il principio del sistema tributario statale non
rispettato dal legislatore regionale è quello di cui è espressione l’art. 67
del d.P.R. n. 917 del 1986. Tuttavia è chiaro che
tale imprecisione non inficia l’intenzione di denunciare la “disarmonia”,
rilevante con riguardo allo statuto di autonomia, con
il suddetto principio del sistema tributario statale.
6.5. – Il richiamato art.
67, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 917 del
1986 stabilisce che sono assoggettate a tassazione «le plusvalenze realizzate
mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non
piú di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per
successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo
intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad
abitazione principale del cedente o dei suoi familiari».
La disposizione richiede, pertanto, ai fini
dell’applicazione dell’imposta erariale, la sussistenza di due condizioni:
a) la condizione positiva
della prossimità temporale della vendita dell’immobile rispetto al suo acquisto
o alla sua costruzione;
b) la condizione negativa che le plusvalenze
non derivino da cessioni di immobili utilizzati per
primarie esigenze abitative o acquisiti per successione.
Il concorso di tali condizioni evidenzia che
le plusvalenze sono assoggettate a tassazione in forza di quella che un tempo
si designava come presunzione legale assoluta di speculatività
delle cessioni effettuate nel quinquennio (alla quale fa riferimento il
ricorrente) e che oggi potrebbe definirsi valutazione legale tipica di
un’oggettiva strumentalità del comportamento del contribuente alla produzione di un reddito; relazione
funzionale che costituisce, nella specie, l’effettiva ratio del tributo
statale.
Le censure basate sulla disarmonia con questa
ratio impositiva sono fondate.
6.5.1. – Va premesso che il prelievo previsto
dalla legislazione statale e quello previsto dall’art.
2 della legge reg. n. 4 del 2006 riguardano entrambi, per quanto qui interessa,
l’incremento di valore realizzato all’atto della cessione a titolo oneroso di
un immobile o dei titoli partecipativi delle società proprietarie o titolari di
diritti reali sull’immobile medesimo; incremento che va determinato in misura
pari alla differenza tra il corrispettivo di cessione e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto
(secondo gli analoghi criteri di calcolo previsti, rispettivamente, dall’art.
68 del d.P.R. n. 917 del 1986 e dai
commi 5 e 6 del censurato art. 2 della legge reg. n. 4 del 2006).
Con riguardo all’originaria formulazione della
norma denunciata, va peraltro rilevato che l’imposizione da essa
introdotta:
a) realizza una sovrapposizione di imposte per la parte in cui colpisce il medesimo
presupposto del tributo erariale, assoggettando a tassazione le plusvalenze
realizzate attraverso cessioni di «fabbricati adibiti a seconde case»
acquistati o costruiti da non piú di cinque anni e
già tassate, ai sensi dell’art. 67 del d.P.R. n. 917
del 1986, in forza della richiamata valutazione legale tipica di strumentalità;
b) si applica anche a quelle plusvalenze
realizzate nel quinquennio che, invece, il citato art. 67 esclude da
tassazione, e cioè alle plusvalenze derivanti dalla
cessione di unità immobiliari urbane acquisite per successione o che «per la
maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la
cessione sono state adibite ad abitazione principale» di familiari del cedente
diversi dal coniuge;
c) ha per oggetto anche le plusvalenze
ultraquinquennali, contraddicendo la scelta del legislatore statale di
sottoporre a tassazione le sole plusvalenze derivanti da cessioni effettuate
entro il quinquennio, per le quali opera la richiamata valutazione legale
tipica.
L’imposta
statale e quella regionale, pur riguardando lo stesso tipo di reddito, sono
dunque ispirate a diverse rationes: mentre la ratio posta a base dell’art. 67 del d.P.R. n. 917 del 1986 risponde
al principio generale di tassare il “reddito diverso” costituito dalla
plusvalenza in considerazione delle caratteristiche oggettive dell’operazione di acquisto inter vivos e di successiva cessione del bene (caratteristiche che si risolvono
essenzialmente nell’inizio e nella conclusione nel quinquennio dell’operazione
stessa); invece, la ratio su cui si
fonda la norma censurata astrae da tali caratteristiche e, perciò,
comporta, oltre all’indicata sovrapposizione, l’assoggettamento a tassazione, in un’ottica di “reddito-entrata”, di tutte
le plusvalenze, in qualsiasi tempo realizzate, per il solo fatto
dell’esistenza di una differenza positiva tra il corrispettivo di cessione e il
prezzo o costo iniziale.
È evidente, al riguardo, la disarmonia che si
crea tra le due normative, derivante dalla diversità
ed incompatibilità delle rationes impositive
e, in particolare, dalla coesistenza dei due
menzionati contraddittori indirizzi di politica fiscale: quello statale, che
limita la tassazione alle plusvalenze in ragione del verificarsi delle
condizioni previste dal citato art. 67, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 917 del 1986 e, pertanto, in funzione di un
concetto economico di “reddito-prodotto”; quello regionale, che non solo
aggrava l’imposizione sulle plusvalenze realizzate nel quinquennio, ma – nella
suddetta ottica di “reddito-entrata” – la estende per un tempo indeterminato ad
altre ipotesi, non collegate alle suddette condizioni.
L’imposizione delle plusvalenze realizzate
attraverso la cessione di partecipazioni di società titolari di
diritti reali sui fabbricati, «per la parte ascrivibile ai predetti
fabbricati», è ugualmente in contrasto con la ratio della disciplina erariale,
perché, nell’intento del legislatore regionale, si giustifica esclusivamente
come rimedio antielusivo ed è, quindi, riconducibile – al pari dell’imposizione
riguardante direttamente i fabbricati adibiti a seconde case – all’indicata
divergente ratio della tassazione.
6.5.2. – Quanto alla vigente formulazione della norma denunciata
(introdotta dall’art. 3, comma 1, della legge regionale n. 2 del 2007), la
censura proposta con il secondo ricorso è fondata, per analoghe ragioni.
Tale norma, rubricata, diversamente dalla prima,
«Imposta regionale sulle plusvalenze delle seconde case ad uso turistico», si
limita a modificare la disciplina originaria del prelievo regionale, eliminando
la tassazione delle plusvalenze derivanti da cessioni effettuate nel
quinquennio e confermando quella delle plusvalenze ultraquinquennali.
Al pari di quanto dedotto nel primo ricorso,
il ricorrente assume che la norma censurata si pone in contrasto con il
principio sopra indicato desumibile dall’art. 67, comma 1,
lettera b), del d.P.R. n. 917 del 1986. La fondatezza di tale censura deriva
anche qui dal fatto che la norma denunciata mantiene la rilevata differenza qualitativa fra i due tipi di imposizione, disattendendo la scelta del legislatore
statale diretta a sottoporre a tassazione le sole plusvalenze derivanti da
cessioni effettuate nel quinquennio. In particolare, la nuova norma denunciata,
pur avendo eliminato la sovrapposizione delle imposte relativamente
alle plusvalenze realizzate nel quinquennio, non ha risolto l’evidente contraddizione fra la ratio che l’ha ispirata
e la scelta di politica fiscale generale che il legislatore statale ha operato
con l’esclusione da tassazione delle plusvalenze ultraquinquennali derivanti
sia da cessioni di fabbricati (per le quali non si applica la piú volte richiamata valutazione legale tipica) sia da
cessioni di partecipazioni in società aventi nel loro patrimonio detti
fabbricati.
6.6. – L’evidenziata contraddizione fra la
ratio ispiratrice del tributo regionale censurato e la scelta di politica
fiscale del legislatore statale di limitare la
tassazione alle sole plusvalenze realizzate nel quinquennio è accentuata dal
rilievo che la norma denunciata, in entrambe le sue formulazioni, realizza
un’ingiustificata discriminazione tra i soggetti aventi residenza anagrafica
all’estero e i soggetti fiscalmente non domiciliati in Sardegna aventi
residenza anagrafica in Italia, violando cosí gli artt. 3 e 53 Cost.
La norma censurata assume, quale criterio per
determinare il non assoggettamento al tributo, il domicilio fiscale individuato
ai sensi dell’art. 58 del d.P.R. n. 600 del 1973,
prevedendo che sia soggetto passivo dell’imposta chi è fiscalmente domiciliato fuori dal territorio regionale o ha domicilio fiscale in
Sardegna da meno di ventiquattro mesi. In base al menzionato art. 58 del d.P.R. n. 600 del 1973:
a) le persone fisiche residenti nel territorio
dello Stato hanno «il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono
iscritte»;
b) le persone fisiche non residenti nel
territorio dello Stato, hanno il domicilio fiscale «nel comune in cui si è
prodotto il reddito o, se il reddito si è prodotto in piú
comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito piú
elevato».
Da tale
previsione consegue che, in tutti i casi in cui le persone fisiche residenti anagraficamente all’estero realizzano il
reddito-plusvalenza in Sardegna quale loro maggiore reddito prodotto in Italia,
esse devono considerarsi per ciò stesso soggetti fiscalmente domiciliati in
Sardegna e, quindi, non assoggettati a tassazione ai sensi della norma
censurata (se fiscalmente domiciliati in Sardegna da almeno ventiquattro mesi);
mentre le persone fisiche residenti anagraficamente
in Italia, ma fuori dalla Sardegna, anche se
realizzano – al pari di quelle residenti all’estero – le plusvalenze in
territorio sardo, sono comunque non fiscalmente domiciliate in Sardegna e,
quindi, sono assoggettate a tassazione. E ciò, senza che
sussista alcuna ragionevole giustificazione di tale disparità di trattamento.
Considerazioni analoghe possono farsi per i soggetti diversi dalle persone
fisiche.
6.7. – La rilevata disarmonia delle norme
denunciate con i princípi del sistema tributario dello Stato sussiste
indipendentemente dalla considerazione dell’ulteriore
ingiustificata discriminazione – adombrata dal ricorrente con il richiamo
dell’art. 12 del Trattato CE per il tramite dell’art. 117,
primo comma, Cost. – che la norma censurata crea escludendo da tassazione i soggetti fiscalmente domiciliati in
Sardegna e sottoponendo a tassazione i soggetti residenti in Stati membri
dell’Unione europea e non fiscalmente domiciliati in Sardegna.
Al riguardo, non può sottacersi che detta norma contravviene al divieto di
restrizioni ai movimenti di capitali tra gli Stati membri previsto
dall’art. 56 del Trattato CE, come interpretato dalla Corte di giustizia
comunitaria. Seppure con riferimento a un prelievo
statale, quest’ultima ha infatti precisato – in una fattispecie analoga a
quella regolata dalle norme censurate – che il legislatore nazionale non può
assoggettare «le plusvalenze risultanti dalla cessione di un bene immobile
situato in uno Stato membro […], quando la detta cessione è effettuata da un
soggetto residente in un altro Stato membro, ad un onere tributario superiore a
quello che sarebbe applicato per lo stesso tipo di operazione alle plusvalenze
realizzate da un soggetto residente nello Stato in cui è situato detto bene
immobile» (sentenza 11 ottobre 2007, C-443/2006, Hollmann).
6.8. – L’accoglimento delle censure riferite
alla violazione dell’art. 8, lettera h) [già lettera i)], dello statuto
speciale comporta l’assorbimento di tutte le altre censure di
illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. n. 4 del 2006,
prospettate da ciascun ricorso con riguardo, rispettivamente, al testo originario
di tale disposizione ed al testo sostituito dall’art. 3, comma 1, della legge
reg. n. 2 del 2007.
Nel dettaglio, tali ulteriori
censure sono state sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri con il
primo ricorso (n. 91 del 2006), con riferimento all’art. 2 della legge reg. n.
4 del 2006, prospettando la violazione degli artt.
117 e 119 Cost., in
relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in riferimento
al principio fondamentale espresso dall’art. 67, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 917 del 1986, per cui le
plusvalenze immobiliari sono tassabili a condizione che la cessione intervenga
a non piú di cinque anni dall’acquisto o dalla
costruzione, con le esclusioni previste dalla legge.
La difesa erariale lamenta anche la violazione:
a) in via principale, degli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001, perché non è ammissibile, in materia tributaria, una piena
esplicazione di potestà regionali in carenza della fondamentale legislazione di
coordinamento dettata dal Parlamento nazionale;
b) in via subordinata, dell’art. 117, primo
comma, Cost., in riferimento
all’art. 12 del trattato CE, in quanto la norma censurata discrimina i
cittadini comunitari adottando, per l’applicazione dell’imposta, i seguenti
criteri: «non essere nati in Sardegna, che attiene direttamente alla
cittadinanza; avere il domicilio fiscale fuori del territorio nazionale, che
attiene alla residenza».
Le altre censure, parimenti assorbite, concernenti l’art 2 della
legge reg. n. 4 del 2006, nel testo sostituito
dall’art. 3, comma 1, della legge reg. n. 2 del 2007, sono state
sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri con il secondo ricorso (n.
36 del 2007), prospettando la violazione, in via subordinata rispetto alle
altre censure formulate, dell’art. 119 Cost., per contrasto con i princípi fondamentali del
coordinamento del sistema tributario, che corrispondono, almeno in via
transitoria e «fino a che non interverranno le norme statali di attuazione dell’art.
119», ai princípi del sistema tributario dello Stato. Con il medesimo ricorso,
la difesa erariale lamenta altresí, con riguardo alla
medesima disposizione, la violazione del principio di ragionevolezza, perché la
norma censurata, applicandosi a tutte le unità immobiliari site entro tre
chilometri dalla battigia marina, fissa ingiustificatamente una distanza dalla
battigia uguale per tutte le spiagge della Regione, senza tenere conto della
conformazione dei luoghi e, quindi, delle diverse possibilità di accesso al mare. Lamenta, infine, il ricorrente
la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.,
in riferimento all’art. 12 del trattato CE, in quanto discrimina i cittadini
comunitari, assoggettando all’imposta tutti i non residenti.
7. – Vanno ora esaminate le questioni relative all’art. 3 della legge reg. n. 4
del 2006, sia nel testo originario, sia in quello sostituito dall’art. 3, comma
2, della legge reg. n. 2 del 2007, sollevate, rispettivamente, con il
primo e il secondo ricorso.
7.1. – Tale disposizione, nel testo
originario, istituisce e disciplina l’«imposta regionale sulle seconde case ad
uso turistico», dovuta – secondo classi di superficie – sui fabbricati siti nel
territorio regionale ad una distanza inferiore ai tre chilometri dalla linea di
battigia marina, non adibiti ad abitazione principale da parte del proprietario
o del titolare di altro diritto reale sugli stessi, applicabile nei confronti
del proprietario di detti fabbricati, ovvero del titolare di diritto di usufrutto, uso, abitazione, con domicilio fiscale fuori
dal territorio regionale, con l’esclusione dei soggetti nati in Sardegna e dei
loro coniugi e figli.
Con il primo ricorso (n. 91 del 2006), il
Presidente del Consiglio dei ministri censura la norma in
riferimento all’art. 8, lettera i), dello statuto della Regione Sardegna – nel
testo vigente all’epoca del deposito del ricorso, cioè anteriormente
all’entrata in vigore del comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 –,
perché:
a) l’imposta non può essere considerata sul
turismo, in quanto non ha alcun rapporto con questo;
b) non è ammissibile, in materie diverse dal
turismo, una piena esplicazione di potestà tributarie regionali, in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento
dettata dal Parlamento nazionale;
c) sono «violati i principi del sistema
tributario dello Stato» in materie diverse dal turismo. Lamenta, altresí, che il tributo pregiudica «le possibilità di
politica economica dello Stato, della quale uno degli strumenti principali è
quello tributario», perché colpisce la stessa materia tassabile colpita da
altri tributi e, in particolare, dall’ICI, producendo
una “disarmonia” con i princípi del sistema tributario dello Stato.
Lamenta, inoltre, che la norma denunciata víola l’art.
53 Cost., inteso quale strumento attraverso il quale
«trova applicazione nel settore tributario il principio di uguaglianza sancito
dall’art. 3», e l’art. 12 del Trattato CE, per il tramite dell’art. 117, primo
comma, Cost., in quanto discrimina i cittadini
comunitari adottando, per l’applicazione dell’imposta, i seguenti criteri: «non
essere nati in Sardegna, che attiene direttamente alla cittadinanza; avere il
domicilio fiscale fuori del territorio nazionale, che attiene alla residenza».
7.2. – L’art 3 della legge
reg. n. 4 del 2006, sostituito – con effetto dal 31
maggio 2007 – dall’art. 3, comma 2, della legge reg. n. 2 del 2007,
disciplina l’«Imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico», dovuta –
per metro quadro ed in misura differenziata secondo
scaglioni di superficie – sulle unità immobiliari ubicate nel territorio
regionale ad una distanza inferiore ai tre chilometri dalla linea di battigia
marina, non adibite ad abitazione principale da parte del proprietario o del
titolare di altro diritto reale sulle stesse. Tale imposta è, in particolare,
applicabile nei confronti del proprietario di dette unità immobiliari, ovvero
del titolare di diritto di usufrutto, uso, abitazione,
superficie o del locatario dell’immobile in locazione finanziaria, con
domicilio fiscale fuori dal territorio regionale. Il comma 9 dello stesso art.
3 prevede, poi, che «Per l’anno 2006 l’imposta è dovuta
nella misura piú favorevole al contribuente mediante
comparazione tra le misure previste dal presente articolo e quelle previgenti».
Il Presidente del Consiglio dei ministri, con
il secondo ricorso (n. 36 del 2007), censura tale norma, in
riferimento all’art. 8, lettera h), dello statuto della Regione Sardegna e agli
artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001, perché:
a) l’oggetto dell’imposta non può essere
ricondotto alla materia del turismo, in quanto «il
fine turistico non può essere ritenuto implicito nel fatto che l’unità
immobiliare non sia adibita ad abitazione principale», come, ad esempio, nel
caso dell’immobile utilizzato per esigenze di lavoro;
b) anche qualora ricondotta alla categoria
degli «altri tributi propri» della Regione, l’imposta non sarebbe «in armonia
con i principi del sistema tributario dello Stato», essendo essa determinata in
base alla superficie del fabbricato, senza tenere conto del suo valore, mentre
la tassazione in base ai valori catastali, come avviene per l’ICI,
andrebbe comunque considerata come principio fondamentale, in quanto consente
di colpire valori medi, determinati per zone omogenee in rapporto con i valori
di mercato e, in ogni caso, variabili a seconda del pregio degli immobili;
c) non ha obiettivi di coordinamento del
sistema tributario, ma si limita a istituire una
singola imposta e, perciò, non è riconducibile alla materia del coordinamento
del sistema tributario, di competenza legislativa concorrente.
Denuncia, altresí,
la violazione dell’art. 53 Cost.,
perché «l’imposta è commisurata alla visibilità del mare, quindi su valori
panoramici», i quali non sono materia tassabile, in quanto non integrano la
capacità contributiva che è, invece, legata al valore economico del bene e, in
subordine, la violazione degli artt. 3 e 53 Cost., per irragionevolezza,
perché l’imposta è dovuta anche per gli immobili privi di vista sul mare.
Lamenta, inoltre, la violazione degli artt. 3 e 53 Cost., sempre per
irragionevolezza, per il contrasto con i princípi del sistema tributario dello
Stato, che emerge anche dal fatto che l’imposta è «progressiva con l’aumentare
delle superfici disponibili da 60 mq. a 150» mq., ma «diventa fortemente
regressiva da 150 mq. a 200 per diminuire ancora per le superfici maggiori».
7.3. – Con il primo ricorso (n. 91 del 2006),
il ricorrente denuncia, con una complessa e articolata censura, la violazione
dell’art. 8, lettera i), dello statuto della Regione Sardegna. Diversamente
dalle censure relative alle altre imposte regionali,
la difesa erariale non si limita ad affermare che l’imposta regionale sulle
seconde case ad uso turistico non attiene alla materia “turismo”, ma da tale
asserzione fa derivare la conseguenza che il tributo, gravando sulla stessa
materia tassabile colpita dall’ICI, dimostra l’incoerente perseguimento, da
parte della Regione, della finalità di garantire un turismo sostenibile e
pregiudica «anche le possibilità di politica economica dello Stato, della quale
uno degli strumenti principali è quello tributario». Secondo il ricorrente, il
fatto che l’imposta regionale incida sulle «stesse materie tassabili» colpite
dal legislatore nazionale con l’ICI produce una
“disarmonia” con i princípi del sistema tributario dello Stato e, soprattutto,
numerose discriminazioni vietate dall’art. 53 Cost.,
inteso quale strumento attraverso il quale «trova applicazione nel settore
tributario il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3». Il ricorrente
indica, quale esempio di tali discriminazioni – deducendo anche la
corrispondente violazione dell’art. 12 del Trattato CE –, la disparità di
trattamento fra il soggetto nato fuori dal territorio
regionale e non avente domicilio fiscale nella Regione, il quale è assoggettato
all’imposizione regionale, e il soggetto anch’esso non domiciliato fiscalmente
nella Regione, ma nato in Sardegna, il quale invece non è assoggettato
all’imposizione per il solo fatto di essere nato in Sardegna (art. 3, comma 4).
La censura, formulata in modo involuto, va
interpretata nel senso che il ricorrente denuncia la violazione dei princípi di
ragionevolezza e di capacità contributiva sotto il profilo della disparità di
trattamento tra soggetti fiscalmente domiciliati o nati nel territorio della
Sardegna e soggetti che non hanno tali requisiti.
7.4. – In questi termini, la questione è
fondata.
La norma censurata, smentendo il dichiarato
intento del legislatore regionale di introdurre un’imposta sull’uso turistico
delle seconde case di abitazione, istituisce
un’imposta patrimoniale sui fabbricati ubicati nella fascia costiera sarda e
non adibiti ad abitazione principale, che non si applica alla generalità dei “possessori”
di tali immobili e, pertanto, crea le ingiustificate disparità di trattamento
denunciate dal ricorrente.
7.5. – La Regione resistente, argomentando
dalla rubrica e dal comma 1 della disposizione denunciata («imposta regionale
sulle seconde case ad uso turistico»), nonché
dall’ubicazione nella fascia costiera sarda degli immobili sottoposti a
tassazione, afferma che il tributo censurato non va ricondotto alla tipologia
dei tributi patrimoniali, ma a quella dei cosiddetti tributi a finalità “ecologico-turistica”, diretti a contenere l’inquinamento
ambientale prodotto dal turismo e, in particolare, dal possesso di «seconde
case ad uso turistico». Ad avviso della Regione, la norma censurata
perseguirebbe, cioè, “finalità turistico-ambientali”
e individuerebbe la capacità contributiva del soggetto passivo nel fatto che
esso, essendo non residente e possedendo un immobile in una località turistica
di alto valore ambientale, “consuma e usa” il bene ambientale protetto, senza
che tale uso e consumo siano giustificati da un collegamento stabile del
possessore con la comunità territoriale.
Tale ricostruzione della natura e della
funzione del tributo non trova, però, sostegno nella complessiva formulazione
della disposizione denunciata.
Al riguardo, va premesso che, in forza del comma 2 dell’art. 3 della menzionata legge reg.
n. 4 del 2006, il presupposto dell’imposta è costituito dal «possesso di
fabbricati» (definiti come «case» dal comma 1 dello stesso articolo) siti nella
fascia costiera sarda e «non adibiti ad abitazione principale da parte del
proprietario o del titolare di altro diritto reale su di essi». Tuttavia, il legislatore regionale – adottando l’identica tecnica
legislativa e le identiche formulazioni letterali usate dal legislatore statale
a proposito dell’ICI (artt. 1,
comma 2, e 3 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, recante
«Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421») – impiega una nozione di «possesso di fabbricati»
che va messa in relazione con la successiva tassativa indicazione dei soggetti
passivi di imposta, individuati dalla norma
denunciata, appunto, nei titolari di determinate situazioni giuridiche
soggettive sull’immobile oggetto di tassazione (comma 3 del medesimo art. 3
della legge regionale). Ne consegue che tale «possesso» non va inteso nel senso
civilistico (art. 1140 del codice civile), ma
esclusivamente nel peculiare senso di titolarità, da parte del soggetto passivo
dell’imposta, delle suddette situazioni giuridiche soggettive sul fabbricato.
Questa precisazione (che vale a fugare le perplessità esegetiche prospettate,
sul punto, dalla difesa erariale, specie nel secondo ricorso) rende evidente
che la disciplina positiva del tributo prescinde
dall’«uso turistico» (effettivo o potenziale) dei «fabbricati» (intesi come
«case»). Infatti, il citato comma 2 del censurato art.
3 della legge regionale – nello stabilire che la ristretta, imprecisa e atecnica espressione «seconde case ad uso turistico», usata
dal legislatore nel precedente comma, deve essere intesa nella piú ampia, precisa e tecnica accezione di «case» o
«fabbricati non adibiti ad abitazione principale» – elimina ogni riferimento
sia alle «seconde case» sia alla destinazione del fabbricato ad uso turistico.
La precisa definizione legislativa del presupposto d’imposta, desumibile dai
commi 2 e 3 del censurato art. 3, impone, cioè, di
ritenere (in contrasto con la sopra ricordata piú
ristretta denominazione del tributo, contenuta nella rubrica e nel comma 1
dello stesso articolo) che l’imposta si applica in tutti i casi in cui il
soggetto passivo (e, quindi, anche il locatario di un immobile concesso in
locazione finanziaria, erroneamente non richiamato dal comma 2) non abbia
adibito a propria abitazione principale il fabbricato da lui “posseduto” ed
ubicato nella fascia costiera sarda.
Da questa interpretazione
della norma deriva che l’imposta si applica anche nei casi in cui il soggetto
passivo del tributo – cioè colui che manifesta una specifica capacità
contributiva attraverso il “possesso” del fabbricato – utilizza l’unità
immobiliare abitativa per finalità diverse dal turismo, come, ad esempio,
quelle di dimora per lavoro, di impresa (ove ciò sia compatibile con la
suddetta destinazione abitativa del bene) o di locazione. In particolare, nel
caso di locazione, il locatore “possessore”della “casa” è assoggettato a
tassazione per il solo fatto di non essere nato in Sardegna o di non avervi
domicilio fiscale, anche se utilizza il bene al solo fine di sfruttamento
commerciale, senza che abbia alcun rilievo il tipo di uso
(non turistico o turistico) che ne faccia il locatario e senza che la legge
preveda mai, in favore del locatore, alcuna rivalsa. In altri termini, il
suddetto locatore è ugualmente assoggettato a tributo, sia quando il locatario
utilizza il bene per finalità non turistiche (ad esempio, di abitazione
principale propria); sia quando lo utilizza per finalità turistiche, restando cosí assoggettato – se non residente in Sardegna – all’imposta
di soggiorno prevista (con effetti a decorrere dal 15 giugno 2008) dal
censurato art. 5 della legge reg. n. 2 del 2007.
La tassazione del soggetto che
non sia fiscalmente domiciliato in Sardegna (o che non vi sia nato),
prevista dalla norma censurata nel caso in cui il “possessore” del fabbricato
non utilizzi l’immobile (neppure indirettamente) a fini turistici, si
giustifica, perciò, solo in termini oggettivi, per il mero fatto del “possesso”
di un immobile situato in una zona di particolare rilievo turistico. Ma, in tal caso, l’imposta, ancorché colpisca case situate
nelle indicate zone di particolare rilievo turistico, è riconducibile ai
tributi di tipo non già turistico-ambientale, ma patrimoniale-immobiliare, come l’ICI. Occorre, dunque, concludere che, nonostante la denominazione di «imposta
regionale sulle seconde case ad uso turistico», il tributo in esame non ha una
effettiva ratio turistico-ambientale.
Tale conclusione comporta, quale ulteriore corollario, l’infondatezza delle considerazioni che
si riferiscono a detta ratio per giustificare le esclusioni soggettive
dall’imposta previste dalla norma censurata. In particolare, si è sostenuto
dalla Regione resistente che le menzionate esclusioni sarebbero legittime
perché previste in presenza di particolari indici di
collegamento del soggetto con la comunità e la cultura locali, data anche la
peculiare caratteristica geografica del territorio sardo. Proprio tale
collegamento con il territorio, unitamente all’intento del legislatore di non
ostacolare il turismo all’interno della Sardegna dei soggetti nati in Sardegna
(e dei loro coniugi e figli) o ivi fiscalmente domiciliati, renderebbe
ragionevole – secondo tale impostazione – escludere dall’imposta detti soggetti
ove siano possessori, nella fascia costiera sarda, di case adibite ad uso
turistico. Questa argomentazione, tuttavia, indipendentemente dalla sua
persuasività (soprattutto con riferimento alla congruità degli indici di
collegamento prescelti dal legislatore regionale), muove dall’erronea premessa
che l’imposta colpisce l’«uso turistico» della casa. La sopra riscontrata
natura patrimoniale dell’imposta fa venire meno tale premessa e rende, perciò,
prive di fondamento le indicate giustificazioni della limitazione del novero dei soggetti passivi d’imposta.
7.6. – Da quanto precede deriva che la
censurata imposta regionale risponde, sul piano oggettivo, a
una logica di tassazione patrimoniale realizzata secondo lo schema dell’ICI. Al
pari dell’ICI, infatti, il presupposto di tale imposta regionale è costituito –
come già osservato – dalla titolarità del diritto di proprietà, di diritti
reali di godimento e dalla conduzione in locazione finanziaria di fabbricati,
indipendentemente dall’effettivo utilizzo del bene e dal fatto che esso sia
occupato da un soggetto fiscalmente domiciliato in Sardegna; con la sola
differenza che, mentre l’ICI riguarda i fabbricati, le aree fabbricabili ed i
terreni agricoli, a qualsiasi uso destinati (artt. 1 e 3 del d.lgs. n. 504 del 1992),
la norma censurata circoscrive l’oggetto dell’imposta alle unità immobiliari
non adibite ad abitazione principale, ubicate nella fascia costiera sarda. È
sufficiente, cioè, il «possesso» di unità immobiliari
che consentono un insediamento abitativo solo potenziale e, comunque, non diretto
a soddisfare esigenze abitative primarie del “possessore”.
Senonché, la coerenza con lo
schema dell’imposta immobiliare avrebbe richiesto la tassazione, con carattere
di generalità, delle indicate unità immobiliari, senza le ampie esclusioni
soggettive introdotte dalla norma censurata ed imperniate sul criterio del
domicilio fiscale e della nascita in Sardegna del soggetto passivo (oltre a
quello del rapporto di coniugio o di filiazione con il soggetto nato in
Sardegna). La scelta del legislatore regionale di allontanarsi, con la
previsione di tali esclusioni, dallo schema dell’ICI
contrasta, infatti, con il carattere generale delle imposizioni sui patrimoni
immobiliari e ne snatura l’essenza. Crea, in particolare,
ingiustificate discriminazioni soggettive nell’applicazione
dell’imposta, nonché una forte disarmonia con il principio del sistema
tributario statale, che – come già osservato – esige che i suddetti tipi di
imposte si applichino nei confronti di tutti i titolari delle situazioni
giuridiche soggettive sugli immobili situati nella sfera di competenza
territoriale dell’ente impositore (salvo, beninteso, limitate esenzioni
soggettive od oggettive che non ne mutino la natura), siano essi fiscalmente
domiciliati o non domiciliati nel territorio ove è ubicato l’immobile e senza
che rilevi il loro luogo di nascita.
Tale discriminazione appare ancora piú stridente se si pone a raffronto il caso dei soggetti
aventi domicilio fiscale in Italia, ma non in Sardegna, con quello dei soggetti
aventi residenza anagrafica all’estero, ma domicilio fiscale in Sardegna. Si è
visto, infatti, al punto 6.6., che questi ultimi,
qualora siano titolari di diritti reali sugli immobili ubicati in Sardegna,
hanno – ove non godano di maggiori redditi prodotti in Italia fuori dal
territorio sardo – domicilio fiscale in Sardegna ai sensi dell’art. 58 del d.P.R. n. 600 del 1973. Differentemente da chi ha domicilio
fiscale in Italia, ma non in Sardegna, essi non sono pertanto tenuti al
pagamento della suddetta imposta regionale, qualunque sia la consistenza delle
unità immobiliari ubicate in Sardegna, pur essendo
residenti anagraficamente fuori dal territorio sardo.
7.6.1. – Né può opporsi – come fa la
resistente – che le suddette esclusioni dall’imposta sono giustificate dal
fatto che i soggetti esclusi già contribuiscono alle finanze regionali pagando
imposte sui redditi riscosse nel territorio della Regione, il cui gettito è a
questa attribuito per i sette decimi in base all’art. 8, lettera a), dello
statuto speciale ed è utilizzato anche a fini di tutela dell’ambiente e promozione del turismo sostenibile.
Innanzitutto, va premesso che, con riferimento
a ciascun soggetto d’imposta, non c’è correlazione necessaria, ma solo
probabile, tra il domicilio fiscale nella Regione Sardegna e il pagamento nella
medesima Regione delle imposte sui redditi. Ad esempio, nel caso dei titolari
di redditi inferiori ai minimi imponibili o comunque
esenti, il soggetto, benché fiscalmente domiciliato in Sardegna, non è tenuto
al pagamento delle imposte sui redditi. Va poi osservato che, anche a voler accedere alla tesi della resistente, si creerebbe
un’irragionevole disparità di trattamento fra il soggetto fiscalmente
domiciliato in Sardegna che, pur possedendo «seconde case» situate nella fascia
costiera, è escluso dalla tassazione, e il soggetto, sempre domiciliato
fiscalmente in Sardegna, che, non possedendo «seconde case», sopporterebbe, con
il pagamento delle imposte sui redditi, il carico economico della tutela
dell’ambiente e della protezione del turismo sostenibile, derivante anche dalle
seconde case costiere appartenenti al primo.
Inoltre, osta radicalmente alla tesi della
resistente la già rilevata natura patrimoniale e, quindi, reale del tributo, la
quale esclude che alla richiamata regola della generalità della sua
applicazione possano apportarsi eccezioni estranee alla logica impositiva del tributo medesimo, come sono quelle basate
sulla circostanza che il gettito dei tributi pagati da chi ha domicilio fiscale
in Sardegna è destinato a finanziare la tutela ambientale e lo sviluppo
sostenibile del turismo nella Regione. Del resto, le suddette esclusioni
soggettive, oltre a non giustificarsi in base alla natura dell’imposta, non
sono neppure idonee ad eliminare le già sopra rilevate incongruenze dell’imposta
medesima.
In ogni caso, l’obiezione fondata
sull’asserita equiparabilità tra le quote di gettito delle imposte sui redditi
attribuite alla Regione e il gettito del prelievo immobiliare regionale non
giustifica certamente l’esclusione delle persone nate in Sardegna e dei loro
coniugi e figli dal novero dei soggetti passivi dell’imposta regionale, non
avendo detti soggetti alcun obiettivo collegamento con
il territorio regionale e non essendo, quindi, assimilabili ai soggetti
fiscalmente domiciliati in Sardegna.
7.6.2. – La Regione giustifica, altresí, le ampie esclusioni soggettive dall’imposta con la
necessità:
a) di disincentivare
fiscalmente la costruzione di «seconde case ad uso turistico» nella fascia
costiera per evitare un potenziale inquinamento ambientale
provocato dalla presenza turistica;
b) di colpire l’incremento di valore di dette
unità immobiliari che si produce a séguito dei vincoli di inedificabilità
imposti dal piano paesaggistico regionale anche in considerazione della
vocazione turistica della fascia costiera.
Neppure tali argomentazioni valgono a eliminare la rilevata irragionevolezza dell’imposta
oggetto della disposizione censurata.
Quanto all’obiettivo di disincentivare, a fini
di tutela ambientale, la costruzione di «seconde case ad uso turistico» nella
fascia costiera, va rilevato che esso andrebbe perseguito
prevalentemente attraverso gli strumenti del governo del territorio. In ogni
caso, sia sotto questo profilo che sotto quello fiscale, la realizzazione
del medesimo obiettivo non potrebbe non riguardare anche le costruzioni
realizzate da soggetti domiciliati o nati in Sardegna, le quali hanno un’uguale
potenzialità inquinante e mettono perciò in pericolo un modello di turismo
sostenibile.
Quanto, poi, all’asserito obiettivo di tassare
l’incremento di valore delle unità immobiliari in questione, va osservato che
esso dovrebbe essere perseguito sottoponendo a tributo anche il soggetto
fiscalmente domiciliato in Sardegna e, comunque, non
potrebbe realizzarsi attraverso l’imposta censurata, la cui base imponibile,
essendo calcolata in relazione alla superficie, non è di per sé idonea a
misurare detto incremento.
7.6.3. – Deve, infine, essere sottolineato che
le rilevate discriminazioni sono particolarmente gravi nel caso di imprese che svolgono attività di locazione di immobili,
in quanto l’esclusione dall’imposta per le sole imprese aventi domicilio
fiscale in Sardegna (o, addirittura, il cui titolare sia nato in Sardegna) si
traduce in un irragionevole beneficio fiscale, distorsivo
della concorrenza.
7.6.4 – Per ciò che concerne la vigente
formulazione della norma denunciata (introdotta dall’art. 3,
comma 2, della legge regionale n. 2 del 2007), può ritenersi parimenti
fondata, per analoghe ragioni, la censura proposta con il secondo ricorso. La
norma mantiene, infatti, sostanzialmente immutata la struttura originaria del
prelievo regionale, limitandosi ad eliminare l’esclusione dalla tassazione per
i soggetti nati in Sardegna e i loro coniugi e figli.
Come per il primo ricorso, la censura
formulata va interpretata nel senso che il ricorrente lamenta che la norma
denunciata si pone in contrasto con i princípi di ragionevolezza e di capacità
contributiva sotto il profilo della disparità di trattamento tra soggetti
fiscalmente domiciliati nel territorio della Sardegna e soggetti che non hanno tali requisiti.
La fondatezza di tale censura deriva anche qui
dal fatto che la norma non introduce un’imposta sull’uso turistico delle
seconde case di abitazione, ma un’imposta patrimoniale
sui fabbricati ubicati nella fascia costiera e non adibiti ad abitazione
principale, che non si applica alla generalità dei “possessori” di tali
immobili – come invece richiesto dai princípi generali del sistema tributario
statale per tale tipo di imposte – e, pertanto, crea le ingiustificate
disparità di trattamento denunciate nel primo ricorso e ribadite nel secondo.
7.7. – L’accoglimento delle censure riferite
alla violazione dell’art. 8, lettera h) [già lettera i)], dello statuto
speciale comporta l’assorbimento di tutte le altre censure di
illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. n. 4 del 2006,
prospettate con ciascun ricorso con riguardo, rispettivamente, al testo
originario di tale disposizione ed al testo sostituito dall’art.
3, comma 2, della legge reg. n. 2 del 2007.
Nel dettaglio, tali ulteriori
censure sono state sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri con il
primo ricorso (n. 91 del 2006), con riferimento all’art. 3 della legge reg. n.
4 del 2006, prospettando la violazione degli artt.
117 e 119 Cost., in
relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001:
a) in via principale, perché non è
ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali
in carenza della fondamentale legislazione di
coordinamento dettata dal Parlamento nazionale;
b) in via subordinata, perché l’imposta è
determinata in base alla superficie del fabbricato, senza tenere conto del suo
valore, mentre «la tassazione in base ai valori catastali, come avviene per
l’imposta statale e per l’ICI, andrebbe comunque
considerata come principio fondamentale in quanto consente di colpire valori
medi, determinati per zone omogenee in rapporto analogo con i valori di mercato
e, in ogni caso, variabili a secondo del pregio degli immobili».
Le altre censure,
parimenti assorbite, concernenti l’art. 3 della legge reg. n. 4
del 2006, quale sostituito dall’art. 3, comma 2, della legge reg. n. 2
del 2007, sono state sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri con il
secondo ricorso (n. 36 del 2007), prospettando la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001, perché:
a) l’oggetto dell’imposta non può essere
ricondotto alla materia del turismo, in quanto «il
fine turistico non può essere ritenuto implicito nel fatto che l’unità
immobiliare non sia adibita ad abitazione principale», come, ad esempio, nel
caso dell’immobile utilizzato per esigenze di lavoro;
b) anche qualora ricondotta alla categoria
degli «altri tributi propri» della Regione, l’imposta non sarebbe «in armonia
con i principi del sistema tributario dello Stato», essendo determinata in base
alla superficie del fabbricato, senza tenere conto del suo valore, mentre la
tassazione in base ai valori catastali, come avviene per l’ICI,
andrebbe comunque considerata come principio fondamentale, in quanto consente
di colpire valori medi, determinati per zone omogenee in rapporto con i valori
di mercato e, in ogni caso, variabili a seconda del pregio degli immobili;
c) non ha obiettivi di coordinamento del
sistema tributario, ma si limita a istituire una
singola imposta, e perciò non è riconducibile alla materia del coordinamento
del sistema tributario, di competenza legislativa concorrente.
Con il medesimo ricorso, la difesa erariale
lamenta, altresí, la violazione del principio di
ragionevolezza, salvo che la disposizione censurata sia
interpretata nel senso che «se il proprietario, o i titolari degli altri
diritti reali, non sono nel possesso dell’immobile, l’imposta non è dovuta, né
da loro (per mancanza del possesso) né dai possessori non titolari di quei
diritti, perché non indicati tra i soggetti passivi».
8. – Vanno ora esaminate le questioni relative all’art. 4 della legge reg. n. 4 del 2006, sia nel testo
originario (che ha avuto effetto dal 13 maggio 2006 al 30 maggio 2007), sia in
quello sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge
reg. n. 2 del 2007 (con effetto dal 31 maggio 2007, ai sensi
dell’art. 37 di quest’ultima legge). La diversità dell’oggetto delle
censure rende opportuno l’esame distinto di ciascun ricorso.
8.1. – L’art. 4 della legge della Regione
Sardegna n. 4 del 2006, nel testo originario, istituisce, a decorrere dall’anno
2006, l’«imposta regionale su aeromobili ed unità da diporto». L’imposta è
applicabile, nel periodo dal 1° giugno al 30 settembre, alla persona o alla
società aventi domicilio fiscale fuori dal territorio
regionale che assumono l’esercizio dell’aeromobile o dell’unità da diporto (con
l’esenzione dall’imposta delle navi adibite all’esercizio di attività crocieristica, delle imbarcazioni che vengono in Sardegna
per partecipare a regate di carattere sportivo e delle unità da diporto che
sostano tutto l’anno nelle strutture portuali regionali) ed è dovuta: 1) per
ogni scalo negli aerodromi del territorio regionale degli aeromobili
dell’aviazione generale adibiti al trasporto privato, per classi determinate in
relazione al numero dei passeggeri che sono abilitati a trasportare; 2)
annualmente, per lo scalo nei porti, negli approdi e nei punti di ormeggio
ubicati nel territorio regionale delle unità da diporto di cui al codice della
nautica da diporto (decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171), per classi di
lunghezza, a partire da 14 metri.
8.1.1. – Con il primo ricorso (n. 91 del
2006), il ricorrente denuncia il contrasto della disposizione impugnata con tre
diversi gruppi di parametri costituzionali:
a) con l’art. 8, lettera i), dello statuto
della Regione Sardegna, perché l’oggetto dell’imposta non potrebbe essere
ricondotto alla materia del turismo ed una piena esplicazione di potestà
tributarie regionali non sarebbe ammissibile, in materie diverse dal turismo,
in carenza della fondamentale legislazione di
coordinamento dettata dal Parlamento nazionale e, comunque, sarebbero «violati
i principi del sistema tributario dello Stato» in materie diverse dal turismo;
ovvero, alternativamente, con gli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001, perché, come già affermato nello
stesso ricorso, una piena esplicazione di potestà tributarie regionali non
sarebbe ammissibile, in materie diverse dal turismo, in carenza della
fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale;
ovvero, in ulteriore subordine, nel caso in cui «si potessero desumere i
princípi fondamentali del coordinamento del sistema tributario dalla
legislazione tutt’ora in vigore», con i medesimi artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001, perché, con riguardo alle unità da diporto che effettuano lo scalo
«in zona non attrezzata, in uno specchio di mare ridossato,
dove l’ormeggio sia effettuato a terra, utilizzando la struttura naturale della
spiaggia», la Regione ha individuato «come presupposto di imposta l’utilizzo di
un bene naturale, sul quale non può esercitare poteri», cioè il mare, «soggetto
solo al potere statale entro i limiti del mare territoriale»;
b) con l’art. 53 Cost., sia perché, con riguardo agli aeromobili, vi sarebbe una
«duplicazione di imposta di tutta evidenza» rispetto ai «diritti aeroportuali o
diritto per l’uso degli aeroporti (legge n. 324/1976)», sia perché «lo
svolgimento di un’operazione per la quale […] si paga un prezzo che copre il
costo del servizio reso, con margine di utile», non costituirebbe indice di
capacità contributiva;
c) con gli artt. 3 e
53, secondo comma, Cost. (parametri, peraltro, non espressamente indicati),
perché, con riguardo alle unità da diporto, l’imposta avrebbe «carattere
regressivo», essendo dovuta annualmente, con la
conseguenza che «piú si utilizzano le strutture
portuali, minore, proporzionalmente è l’onere dell’imposta».
Tali censure, che vanno esaminate
separatamente, non sono fondate.
8.1.2. – Quanto alla censura sub a), va
preliminarmente rilevato che deve essere scrutinata esclusivamente la
denunciata violazione dello statuto regionale, perché – come già rilevato al punto 5. – la normativa concernente il
riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni introdotta dalla
riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione non prevede forme di
autonomia piú ampie rispetto a quelle previste dallo
statuto della Regione Sardegna e pertanto, ai sensi dell’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, trova nella specie applicazione esclusivamente lo
statuto di autonomia.
Nel merito, sotto tutti i profili prospettati,
la suddetta censura non è fondata.
In primo luogo, va ribadito
(come già osservato al punto 5.6.) che è irrilevante se la suddetta imposta
regionale sia o no riconducibile alla materia del turismo, perché il citato
art. 8, lettera i), dello statuto della Sardegna attribuisce alla Regione una
specifica competenza legislativa esclusiva nella materia non solo delle
«imposte e tasse sul turismo», ma anche degli «altri tributi propri». Pertanto,
anche ove potesse ritenersi (sia pure implausibilmente)
che il periodo in cui lo scalo degli aeromobili e delle unità da diporto nel
territorio regionale è sottoposto a tributo (cioè il
periodo compreso tra il 1° giugno ed il 30 settembre di ciascun anno,
corrispondente al maggior afflusso turistico), nonché il domicilio fiscale dei
soggetti passivi dell’imposta (fuori dal territorio regionale sardo), non siano
elementi sufficienti a caratterizzare come tributo “sul turismo” la denunciata imposta,
ciò non comporterebbe affatto la violazione dello statuto regionale. Infatti,
il tributo sarebbe pur sempre qualificabile come «proprio» della Regione e,
quindi, sarebbe da essa legittimamente stabilito in
forza della competenza legislativa statutaria, purché fosse rispettata la
condizione – richiesta dal medesimo art. 8, lettera i), dello statuto –
dell’«armonia con i principi del sistema tributario dello Stato».
In secondo luogo – come già osservato al punto 5.3. e contrariamente a quanto sostenuto dalla
difesa erariale –, la potestà legislativa della Regione Sardegna in materia di
tributi propri non è condizionata dalla previa emanazione da parte dello Stato
di una legge che fissi i princípi fondamentali di coordinamento del sistema
tributario.
In terzo luogo, il ricorrente non ha indicato
i princípi del sistema tributario dello Stato rispetto ai quali la norma
denunciata non si porrebbe «in armonia». La censura, pertanto, è prospettata in
via del tutto generica. Né può farsi riferimento,
quale principio del sistema tributario dello Stato che si asserisce violato, al
“principio generale di coordinamento del sistema tributario” indicato dal
ricorrente in via subordinata. Infatti – come già rilevato al punto 5.2. – i
princípi del sistema tributario statale hanno natura e
finalità essenzialmente diverse rispetto ai “princípi fondamentali di
coordinamento del sistema tributario”. In particolare, il ricorrente ha
individuato, quale “principio fondamentale di coordinamento” concernente le
unità per la navigazione da diporto, quello secondo cui il mare sarebbe
«soggetto solo al potere statale entro i limiti del mare territoriale»:
tuttavia, tale principio, per come è formulato dal
ricorrente, non solo è estraneo al sistema tributario statale, ma non trova neppure
fondamento nell’ordinamento vigente. Il mare, infatti, ben
può essere oggetto della legislazione regionale; come avviene, ad esempio, per
le Regioni a statuto ordinario, nell’àmbito della
competenza concorrente in materia di porti o di grandi reti di navigazione;
ovvero, per la Regione Sardegna – in forza dell’art. 3, lettera i), dello
statuto –, nell’àmbito della competenza esclusiva in
materia di pesca. Ove, poi, il ricorrente avesse solo inteso affermare
che la Regione resistente non avrebbe potuto assumere a presupposto
dell’imposta regionale l’utilizzazione del mare, la censura sarebbe, a tacer
d’altro, inconferente, perché – diversamente da
quanto ritenuto dalla difesa erariale – la disposizione denunciata precisa
chiaramente che il presupposto dell’imposta regionale sulle unità da diporto
non riguarda la mera utilizzazione del “mare”, ma «lo scalo nei porti, negli
approdi e nei punti di ormeggio ubicati nel territorio
regionale», cioè l’utilizzazione di strutture poste all’interno del territorio
sardo.
Con riferimento alle
censure prospettate dal ricorrente in via subordinata evocando gli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001, va ribadito che esse sono inammissibili per le ragioni già esposte al
punto 5.3.
8.1.3. – Con la censura sub b), il ricorrente
afferma che la norma denunciata, con riguardo agli aeromobili, si pone in
contrasto con l’art. 53 Cost.,
sia perché il tributo regionale costituisce una «duplicazione di imposta»
rispetto a quanto previsto dalla legge statale in materia di diritti
aeroportuali o per l’uso degli aeroporti, sia perché l’operazione di scalo non
rappresenta un indice di capacità contributiva, dovendo l’utente degli
aerodromi già pagare un prezzo per il servizio da lui goduto.
Anche tale censura non è
fondata.
La difesa erariale muove da tre diverse
premesse: che i suddetti diritti aeroportuali previsti dalla vigente
legislazione statale siano classificabili come tributi; che l’imposta regionale
sia dovuta in ragione dei servizi utilizzati nelle
operazioni di scalo negli aerodromi; che i tributi propri della Regione
Sardegna non possano prevedere presupposti identici o analoghi a quelli di
tributi statali.
Tali premesse sono erronee.
Quanto alla prima, va rilevato che, ai sensi
della norma interpretativa posta dall’art. 39-bis del decreto-legge 1° ottobre
2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo
sviluppo e l’equità sociale), convertito, con modificazioni, dalla legge 29
novembre 2007, n. 222, i diritti aeroportuali previsti dalla legge 5 maggio
1976, n. 324 (Nuove norme in materia di diritti per l’uso degli aeroporti
aperti al traffico civile) non costituiscono tributi, ma corrispettivi civilistici di alcuni servizi
aeroportuali (in tal senso, Corte di cassazione, sentenza n. 379 del 2008,
nonché la sentenza di questa Corte n. 51 del 2008). A ciò deve aggiungersi che
il soggetto tenuto al pagamento dei diritti aeroportuali di approdo
(oltre che di partenza, sosta o ricovero) non è l’esercente dell’aeromobile
adibito a trasporto privato (come nell’imposta regionale in esame), ma il
pilota dell’aeromobile, ove questo non svolga attività commerciale (artt. 2, secondo comma, e 3, secondo
comma, della citata legge n. 324 del 1976).
Quanto alla seconda premessa, va osservato che
l’imposta regionale prescinde dall’obbligo a carico del soggetto passivo di
corrispondere i corrispettivi dovuti per i servizi utilizzati nello scalo
dell’aeromobile, in quanto il tributo è dovuto dal
soggetto passivo per il solo fatto che l’aeromobile da lui esercito ed adibito
a trasporto privato effettui uno scalo in un aerodromo ubicato nel territorio
sardo, indipendentemente dalla circostanza che l’aeromobile abbia in concreto
usufruito di servizi aeroportuali o che detto soggetto passivo sia debitore di
diritti aeroportuali (l’imposta è dovuta, ad esempio, anche se il soggetto
passivo sia lo stesso gestore autorizzato a fornire i servizi aeroportuali).
Quanto alla terza premessa, è qui sufficiente
ricordare le conclusioni sopra raggiunte, esposte al punto 5.3., circa l’inesistenza di un divieto per la Regione Sardegna
di istituire e disciplinare tributi propri aventi lo stesso presupposto di
tributi statali.
Ne consegue che:
a) non sussistono due diverse imposte, una
statale (i diritti aeroportuali) ed una regionale (l’imposta sull’aeromobile),
ma soltanto l’imposta regionale;
b) il presupposto dell’imposta regionale (lo
scalo nel territorio sardo) è diverso dal fatto costitutivo dell’obbligo di
corrispondere i diritti aeroportuali (godimento dei servizi aeroportuali);
c) in ogni caso, un tributo proprio stabilito
dalla Regione Sardegna non sarebbe illegittimo per il solo fatto di avere un
presupposto identico o simile a quello di un tributo statale.
È appena il caso di sottolineare,
infine, che – contrariamente a quanto affermato dal ricorrente – non possono
sussistere dubbi sul fatto che il presupposto d’imposta (cioè l’effettuazione
di uno scalo in un aerodromo sito nel territorio sardo nel periodo compreso tra
il 1° giugno ed il 30 settembre di ciascun anno) costituisce idoneo indice di
capacità contributiva dell’esercente dell’aeromobile.
8.1.4. – Con la censura sub c), il ricorrente
deduce, infine, che la norma denunciata, con riguardo alle unità per la
navigazione da diporto, víola gli artt.
3 e 53, secondo comma, Cost.,
perché, essendo l’imposta regionale dovuta annualmente in misura fissa con
riferimento a ciascuna classe di lunghezza delle unità da diporto, «l’effetto è
che, piú si utilizzano le strutture portuali, minore,
proporzionalmente è l’onere dell’imposta che, in questo modo, viene ad avere
carattere regressivo».
La censura non è fondata.
In base alla norma denunciata, l’imposta non è dovuta per le unità per la navigazione da diporto che
sostano tutto l’anno nelle strutture portuali regionali (oltre che per quelle
adibite all’esercizio di attività crocieristica e per
quelle che vengono in Sardegna per partecipare a regate di carattere sportivo),
mentre è dovuta annualmente per le unità che effettuano scalo (nel periodo
compreso tra il 1° giugno ed il 30 settembre di ciascun anno) nei porti,
approdi o punti d’ormeggio ubicati nel territorio regionale, nella misura:
a) di € 1.000,00 per le imbarcazioni di
lunghezza compresa tra 14 e 15,99 metri;
b) di € 2.000,00 per le imbarcazioni di
lunghezza compresa tra 16 e 19,99 metri;
c) di € 3.000,00 per
le navi di lunghezza compresa tra 20 e 23,99 metri; d) di € 5.000,00 per le
navi di lunghezza compresa tra 24 e 29,99 metri; e) di € 10.000,00 per le navi
di lunghezza compresa tra 30 e 60 metri;
f) di € 15.000,00 per le navi di lunghezza
superiore a 60 metri;
g) della metà degli
importi precedenti per le unità a vela con motore ausiliario.
Da tale disciplina emerge che il legislatore
regionale, nel prevedere l’imposta in misura fissa (per classi di lunghezza
dell’imbarcazione) e nell’esentare dall’imposta medesima le unità da diporto
che sostino tutto l’anno nei porti sardi, ha evidentemente perseguito l’intento
di favorire una piú intensa utilizzazione delle
suddette strutture da parte delle imbarcazioni, ritenendo preferibile, da un
punto di vista economico complessivo, incentivare
fiscalmente uno stabile collegamento dei soggetti passivi con il territorio.
Tale ratio non è arbitraria, né irragionevole.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 53,
secondo comma, Cost., è
sufficiente ricordare che questa Corte ha costantemente affermato che «i
criteri di progressività» debbono informare il «sistema tributario» nel suo
complesso e non i singoli tributi (ex plurimis,
sentenza n. 128 del 1966). Ne deriva che, contrariamente alla tesi sostenuta
dal ricorrente, la denunciata imposta regionale sulle unità da diporto non víola il citato parametro costituzionale per il solo fatto
che l’ammontare del tributo è «regressivo», nel senso che non aumenta né
proporzionalmente né piú che proporzionalmente all’utilizzazione degli scali nautici sardi.
8.2. – L’art. 4 della legge
reg. n. 4 del 2006, quale sostituito dall’art. 3,
comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007 (con effetto dal 31 maggio 2007,
ai sensi dell’art. 37 di quest’ultima legge), istituisce, a decorrere dall’anno
2006, l’«imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità
da diporto», riproducendo sostanzialmente l’originaria formulazione della
disposizione (punto 8.1.) ed apportando, per quanto qui interessa, le seguenti
modifiche:
a) il soggetto passivo dell’imposta (cioè l’esercente dell’aeromobile o dell’unità da diporto,
avente domicilio fiscale fuori dal territorio regionale) non è piú indicato come una «persona o […] società», ma come una
«persona fisica o giuridica»;
b) l’esenzione dall’imposta è prevista anche
per le imbarcazioni che fanno scalo per partecipare a raduni di barche d’epoca,
di barche monotipo ed a manifestazioni veliche, anche non agonistiche, il cui
evento sia stato preventivamente comunicato all’Autorità marittima da parte
degli organizzatori; nonché per la sosta tecnica degli
aeromobili e delle imbarcazioni, limitatamente al tempo necessario per
l’effettuazione della stessa;
c) l’esenzione non è piú
prevista per le navi adibite all’esercizio di attività
crocieristica;
d) l’imposta è dovuta
non per le sole unità da diporto, ma anche per le «unità utilizzate a scopo di
diporto»; e) l’imposta è dovuta anche per lo scalo nei «campi d’ormeggio
attrezzati ubicati nel mare territoriale lungo le coste della Sardegna».
8.2.1. – Con il secondo ricorso (n. 36 del
2007), il ricorrente denuncia il contrasto della disposizione impugnata con
diversi gruppi di parametri costituzionali:
a) con i parametri da esso
già evocati in relazione ai denunciati artt. 2 e 3
della legge reg. n. 4 del 2006, quali sostituiti dall’art. 3,
commi 1 e 2, della legge reg. n. 2 del 2007, per «quanto si già è visto trattando dei commi precedenti» (cioè dei
commi 1 e 2 dell’art. 3 della citata legge reg. n. 2 del 2007);
b) con gli artt.
117, secondo comma, lettera e), e 120 Cost., perché l’imposta investirebbe la materia della
concorrenza, riservata alla competenza legislativa statale, incidendo, di
conseguenza, sull’unità economica della Repubblica;
c) con «l’art. 3, la cui tutela nella iniziativa economica è affidata alla normativa sulla
concorrenza»;
d) con gli artt. 1,
3, 8, lettera h), dello statuto della Regione Sardegna, perché l’imposta
regionale, applicandosi anche nel caso di scalo delle unità da diporto nei
campi di ormeggio attrezzati ubicati nel mare
territoriale, violerebbe il principio secondo cui i presupposti delle imposte
regionali non possono «essere individuati fuori del […] territorio» della
Regione (limitato dall’art. 1 dello statuto alla «Sardegna con le sue isole»);
e) con gli artt. 3 e 53 Cost., espressivi del principio di ragionevolezza, perché:
e.1.)
«una attività esercitata nella stessa forma non può essere considerata
espressione di capacità contributiva diversa a seconda del periodo in cui viene
svolta»;
e.2.)
l’imposta avrebbe carattere regressivo, in quanto il suo ammontare diminuisce
proporzionalmente all’aumentare del numero dei passeggeri che l’aeromobile è
abilitato a trasportare e della lunghezza delle unità da diporto ed in quanto,
con riferimento a queste ultime, è pagata una sola volta per tutto l’anno, cosí che «piú scali si fanno,
meno sarà in proporzione l’onere tributario»;
e.3.)
il tributo, con riferimento allo scalo degli aeromobili, costituirebbe una
duplicazione dei diritti aeroportuali previsti dalla legge n. 324 del 1976,
dovuti, per l’utilizzazione degli impianti aeroportuali, al gestore
dell’aeroporto;
e.4.)
il medesimo tributo, sempre con riferimento allo scalo degli aeromobili, «non
può essere definito imposta, perché colpisce i singoli atti di esercizio di
un’impresa e non il risultato utile complessivo», né tassa, «perché riscossa da
chi non ha nessun coinvolgimento nel servizio utilizzato»;
f) con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione sia all’art.
49 del Trattato CE, perché introdurrebbe «una restrizione alla libera
prestazione dei servizi nel mercato sardo dei servizi nautici e aerei, che
costituisce una parte rilevante del mercato europeo», sia all’art. 81 del
Trattato CE, «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10», perché avrebbe
l’effetto di falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune,
sia all’art. 87 del Trattato CE, perché istituirebbe un aiuto alle imprese con
sede in Sardegna. Afferma, inoltre, che «delle questioni comunitarie dovrebbe
essere investita la Corte di Giustizia».
Gli indicati motivi di illegittimità
costituzionale vanno esaminati separatamente, lasciando per ultimo, secondo un
ordine di priorità logica, lo scrutinio della dedotta violazione di norme
dell’ordinamento comunitario.
8.2.2. – Prima di passare all’esame delle
singole censure, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità
proposta dalla resistente.
La Regione Sardegna sostiene che, riguardo
all’imposta regionale sullo scalo turistico di aeromobili
e unità da diporto, i rilievi del ricorrente – per cui non sarebbe consentito
fissare l’imposta anche per gli scali di unità da diporto nei campi di ormeggio
situati nel mare territoriale perché il mare territoriale non farebbe parte del
territorio regionale – sono inammissibili, in quanto non proposti dal Governo
nella deliberazione del Consiglio dei ministri del 27 luglio 2007.
L’eccezione va rigettata, perché la
deliberazione governativa di impugnazione contiene il
riferimento a tutti i parametri evocati nel ricorso e ciò è sufficiente – come
già osservato al punto 6.3. – ai fini dell’ammissibilità di quest’ultimo
(sentenza n. 533 del 2002).
8.2.3. – Le censure indicate sub a) si sostanziano nel mero rinvio, privo di qualsiasi
specificazione, a quelle sollevate con il medesimo ricorso n. 36 del 2007 in
relazione agli artt. 2 e 3 della legge reg. n. 4 del 2006, quali sostituiti, rispettivamente, dal comma 1 e dal
comma 2 dell’art. 3 della legge reg. n. 2 del 2007.
Le censure sono inammissibili, perché sono
state prospettate in modo generico, senza l’indicazione di alcun
elemento idoneo a renderle pertinenti all’imposta denunciata. La questione,
infatti, pur riguardando l’«imposta regionale sullo scalo turistico degli
aeromobili e delle unità da diporto», è sollevata con un richiamo alle
questioni riguardanti tributi radicalmente diversi (cioè
l’«imposta regionale sulle plusvalenze delle seconde case ad uso turistico» e
l’«imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico») ed in termini
talmente vaghi da lasciare inadempiuto l’onere del ricorrente di precisare i
motivi dell’affermata illegittimità costituzionale con specifiche
argomentazioni a sostegno delle proprie doglianze, come richiesto dalla
costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis:
sentenze n. 38 del 2007; n. 233 e n. 139 del 2006; n. 360 e n. 336 del 2005).
8.2.4. – Con la censura sub b), il ricorrente
deduce che la norma denunciata, in quanto investirebbe
la materia della concorrenza, si pone in contrasto con l’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost., introdotto con la riforma
del Titolo V della Parte II della Costituzione nell’àmbito
della nuova disciplina del riparto di competenze legislative tra lo Stato e le
Regioni a statuto ordinario.
La censura è inammissibile, perché il
ricorrente non fornisce alcuna motivazione in ordine all’individuazione
di tale parametro costituzionale. La difesa erariale, infatti, non chiarisce
per quale ragione la competenza legislativa attribuita dallo statuto regionale
alla Regione autonoma Sardegna in materia di tributi propri dovrebbe essere
limitata da una disposizione della Costituzione dettata per disciplinare il
riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni a statuto
ordinario. Come è noto, il piú
volte richiamato art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 stabilisce
che la disciplina costituzionale riguardante tale riparto di competenze,
introdotta con la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, è
applicabile alle Regioni a statuto speciale solo nel caso in cui preveda forme
di autonomia piú ampie di quelle previste dallo
statuto, mentre, nella specie, lo stesso ricorrente afferma che l’applicazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,
comporterebbe una limitazione dell’autonomia legislativa della Regione Sardegna
quale prevista dallo statuto. Inoltre il ricorrente, in violazione del suo
onere di specificare le proprie censure, non fornisce alcuna motivazione di
merito sul perché la denunciata normativa regionale, emanata in forza della
competenza legislativa esclusiva della Regione autonoma in materia di tributi
propri, investirebbe «la materia della concorrenza». L’evocazione dell’art. 120
Cost. è parimenti generica. Tale censura, infatti, non ha alcuna
autonomia rispetto alla denunciata violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost., in quanto il ricorrente si
limita ad affermare – senza ulteriori precisazioni – che la norma censurata,
investendo la «materia della concorrenza», incide «di conseguenza sulla unità
economica della Repubblica».
8.2.5. – Deve essere dichiarata inammissibile
anche la censura sub c), perché il ricorrente, da un lato, non precisa il
parametro costituzionale evocato, indicando «l’art. 3» di un non meglio
specificato testo normativo, e, dall’altro, prospetta i motivi di illegittimità costituzionale in modo oscuro e generico,
limitandosi ad affermare la violazione del suddetto art. 3, «la cui tutela
nella iniziativa economica è affidata alla normativa sulla concorrenza».
8.2.6. – Con la censura sub d), il ricorrente
denuncia la violazione degli artt. 1, 3, 8, lettera
h), dello statuto della Regione Sardegna, affermando che l’imposta regionale,
applicandosi anche nel caso di scalo delle unità da diporto nei campi di ormeggio attrezzati ubicati nel mare territoriale lungo
le coste della Sardegna, violerebbe il principio secondo cui i presupposti
delle imposte regionali non possono «essere individuati fuori del […]
territorio» della Regione (limitato dall’art. 1 dello statuto alla «Sardegna
con le sue isole»). Il ricorrente muove, pertanto, dalla premessa che i
suddetti campi di ormeggio, in quanto ubicati nel mare
territoriale, rientrano nel demanio marittimo statale e da tale premessa trae
la conseguenza che la Regione resistente non ha competenza “territoriale” a
stabilire un’imposta regionale sullo scalo in detti campi di ormeggio (lo
stesso ricorrente, peraltro, non estende le sue censure all’analogo caso
dell’imposta regionale sullo scalo in porti della Sardegna facenti parte del
demanio marittimo statale).
La censura non è fondata, perché, nonostante
sia esatta la premessa da cui muove il ricorrente, tuttavia non è corretta la
conseguenza che ne viene tratta.
È indubbio che i menzionati campi di ormeggio, ubicati nel mare territoriale (come delimitato
dall’art. 2 del codice della navigazione), devono essere considerati, in forza
degli artt. 28 e 29 cod. nav., pertinenze del demanio marittimo, e cioè beni rientranti
nel demanio statale. Il demanio marittimo, infatti, non è stato trasferito alla
Regione resistente, perché il primo comma dell’art. 14 dello statuto di autonomia espressamente esclude, con riferimento a tale
demanio, che la Regione Sardegna succeda nei beni e diritti dello Stato.
Tuttavia, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, il fatto che i
menzionati campi di ormeggio rientrino nel demanio
marittimo non comporta che la Regione sia incompetente a stabilire un’imposta
regionale sullo scalo in detti campi di ormeggio. Infatti, questa Corte ha già
precisato che, ai fini dello scrutinio di legittimità costituzionale dell’esercizio
dei poteri legislativi della Regione Sardegna nell’àmbito
del mare territoriale, «non importa se il mare territoriale sia demanio
marittimo o meno e neppure se si tratti di acque del
mare territoriale o di acque del demanio marittimo», in quanto occorre solo
verificare i limiti della potestà normativa della Regione, con la conseguenza
che «neppure può dirsi che il mare territoriale sia una nozione rilevante […]
per stabilire i limiti territoriali dell’efficacia della legge regionale»; e
ciò perché, «anche se il mare territoriale non facesse parte del territorio
della Regione a tutti gli effetti della competenza regionale, l’attribuzione
alla Regione dei poteri legislativi ed amministrativi» in una determinata
materia «importa che la disciplina regionale […] debba estendere la propria
efficacia fino all’estremo margine dello spazio marittimo che circonda il
territorio e sul quale, sia pure a titolo accessorio, si esercita il potere
dello Stato» (sentenza n. 23 del 1957, in tema di competenza della Regione Sardegna
in materia di pesca nel mare territoriale).
Il mare territoriale, nel quale sono ubicati i suddetti campi di ormeggio, viene pertanto in
rilievo come mero àmbito spaziale in relazione al
quale la legge regionale è legittimata a prevedere fattispecie ed effetti
giuridici, nei limiti in cui ciò sia consentito dalle attribuzioni legislative
della Regione.
In generale, non v’è dubbio che la Regione
Sardegna, in forza sia dello statuto e del decreto
attuativo di cui al d.P.R. 24 novembre 1965, n. 1627,
riguardante il demanio marittimo e il mare territoriale, sia delle norme con le
quali si è disposto il trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato
alle Regioni in materia (articolo 105, comma 2, lettera l, del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 e successive modificazioni), è legittimata ad
esercitare un complesso di poteri sullo stesso mare territoriale, che
coesistono con quelli spettanti allo Stato: poteri, quindi, che prescindono da
ogni problema relativo all’appartenenza del mare territoriale e che sono
suscettibili di essere regolati anche dalla legge regionale (come rilevato
dalla citata sentenza n. 23 del 1957).
In particolare, non v’è parimenti dubbio che,
con riferimento al mare territoriale, lo statuto di autonomia
e i princípi del sistema tributario statale richiamati dall’art. 8, lettera h),
dello statuto medesimo non pongono alcun limite alla potestà impositiva della Regione. Invero,
tra i princípi del sistema tributario statale il ricorrente correttamente
menziona quello della “territorialità” dei tributi locali. La difesa erariale
vuole tuttavia accreditare, a tale fine, un’accezione ristretta del termine
“territorio” (comprensiva solo della “terraferma” e delle “acque interne”),
senza fornire alcuna adeguata giustificazione di tale
sua opzione ermeneutica e limitandosi a richiamare il testo dell’art. 1, primo
comma, dello statuto, secondo cui «La Sardegna con le sue isole è costituita in
Regione autonoma […]». Al contrario, né la lettera, né la ratio di detta
disposizione autorizzano la dedotta interpretazione
restrittiva della sfera spaziale di efficacia delle leggi regionali. Non la lettera, perché il citato art. 1 non utilizza il termine
“territorio”; non la ratio, perché la norma ha solo la funzione di costituire
la Regione autonoma e non quella di determinare la sfera spaziale delle sue
competenze legislative e amministrative. È invece evidente che, alla
luce di quanto affermato da questa Corte con la richiamata sentenza n. 23 del
1957, il territorio non va inteso nella ristretta, materiale accezione fatta
propria dal ricorrente, ma nell’accezione piú ampia
di àmbito in cui si esplica
il legittimo potere normativo della Regione, compreso quello di istituire
tributi. Tale potere può esplicarsi, dunque, anche con
riferimento al mare territoriale, a condizione che la Regione resistente lo
eserciti per tutelare interessi di rilevanza regionale, come l’interesse a
regolare l’afflusso turistico anche attraverso lo strumento fiscale.
La norma impugnata soddisfa pienamente tale
condizione, perché individua quale presupposto di imposta
lo scalo in campi di ormeggio «ubicati nel mare territoriale lungo le coste
della Sardegna», e cioè in luoghi attrezzati che, pur non essendo materialmente
e stabilmente connessi con la terraferma, tuttavia consentono di collegare il
presupposto medesimo con la realtà turistico-ambientale
regionale. Nella specie, questo collegamento è dato dal fatto che i menzionati
campi di ormeggio, consentendo gli scali nel periodo
di maggiore afflusso turistico da parte di imbarcazioni aventi una spiccata
utilizzazione turistica (unità «da diporto» o comunque «utilizzate a scopo di
diporto»), non solo rendono possibile l’immediata fruizione di beni turistico-ambientali, ma rappresentano anche la base per
l’accesso di persone fisiche nelle isole sarde, con la conseguenza che la norma
censurata, in quanto diretta a perseguire interessi tipicamente regionali e
come tali espressamente valorizzati dallo statuto di autonomia, non è in
contrasto con l’evocato parametro costituzionale.
8.2.7. – Con la censura sub e), il ricorrente
denuncia, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., la violazione, sotto
quattro profili, del principio di ragionevolezza.
Nessuno dei suddetti rilievi è fondato.
8.2.7.1. – Quanto al primo rilievo – secondo
cui «una attività esercitata nella stessa forma non
può essere considerata espressione di capacità contributiva diversa a seconda
del periodo in cui viene svolta» –, deve rilevarsi (come già osservato al punto
8.1.3.) che l’effettuazione dello scalo nel periodo di maggior afflusso
turistico costituisce un indice adeguato della capacità contributiva dei
soggetti passivi dell’imposta, non arbitrariamente prescelto dal legislatore.
In particolare, l’applicazione dell’imposta a chi effettua
lo scalo in quel periodo evidenzia che la norma ha, tra le sue rationes, quella di incentivare lo scalo negli altri
periodi dell’anno, al fine di consentire una sostenibile distribuzione degli
afflussi turistici (o, comunque, prevalentemente turistici) nel territorio sardo.
Tale ratio si aggiunge a quella, primaria, di far partecipare i soggetti
fiscalmente non domiciliati in Sardegna – che, differentemente dai soggetti
fiscalmente domiciliati nella Regione, non pagano nella stessa Regione la
maggior parte delle imposte, tasse e contributi erariali, regionali e locali –
ai costi pubblici determinati dalla fruizione
turistica del patrimonio ambientale-naturale e di
quello storico-artistico (in ciò presentando un
tratto comune con l’imposta regionale sul soggiorno, che sarà esaminata in
séguito, in quanto oggetto di apposita censura).
8.2.7.2. – Quanto al secondo rilievo,
concernente l’asserita regressività dell’imposta
sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto, va ribadito che tale caratteristica è di per sé irrilevante ai
fini della dedotta illegittimità costituzionale della norma denunciata. Come
già osservato a proposito del primo ricorso (punto 8.1.4.), deve essere
ricordato che, ai sensi dell’art. 53, secondo comma, Cost., «i criteri di progressività» debbono informare il
«sistema tributario» nel suo complesso e non i singoli tributi.
In particolare, in base alla norma censurata,
l’imposta non è dovuta per le unità da diporto che
sostano tutto l’anno nelle strutture portuali regionali, mentre è dovuta
annualmente per lo scalo delle unità da diporto o comunque utilizzate a scopo
di diporto (nel periodo compreso tra il 1° giugno ed il 30 settembre di ciascun
anno), nella stessa misura fissata, per classi di lunghezza delle unità, dalla
originaria formulazione dell’articolo (nel nuovo testo della disposizione si
precisa che l’importo dovuto per i motorsailer è
quello previsto per la particolare categoria delle unità a vela con motore
ausiliario).
Come sopra sottolineato
a proposito del primo ricorso (punto 8.1.4.), da tale disciplina emerge che il
legislatore regionale ha evidentemente perseguito l’intento di favorire una piú intensa utilizzazione delle strutture portuali da parte
delle imbarcazioni, ritenendo preferibile, da un punto di vista economico complessivo,
incentivare fiscalmente uno stabile collegamento dei soggetti passivi con il
territorio. Una tale ratio posta a fondamento della commisurazione del tributo
non supera i limiti della non arbitrarietà e della ragionevolezza che la
Regione resistente deve rispettare nell’esercizio della sua discrezionalità
legislativa.
Analoghe considerazioni valgono per l’imposta
sullo scalo turistico degli aeromobili, dovuta per gli aeromobili
dell’aviazione generale adibiti al trasporto privato di persone, per ogni scalo
effettuato negli aerodromi del territorio regionale nel periodo compreso tra il
1° giugno ed il 30 settembre di ciascun anno (esclusi i casi di sosta tecnica,
limitatamente al tempo necessario per l’effettuazione della stessa), nella
misura:
a) di € 150,00 per gli
aeromobili abilitati fino al trasporto di quattro passeggeri;
b) di € 400,00 per gli
aeromobili abilitati al trasporto da cinque a dodici passeggeri;
c) di € 1.000,00 per
gli aeromobili abilitati al trasporto di oltre dodici passeggeri.
Da tale disciplina emerge che il legislatore
regionale, nel prevedere l’imposta in misura meno che proporzionale al numero
dei passeggeri trasportabili, ha tendenzialmente inteso favorire, dal punto di
vista fiscale, un minor afflusso di aeromobili a
parità di passeggeri trasportati e, quindi, il decongestionamento del traffico
aereo nel periodo tra il 1° giugno ed il 30 settembre. Una siffatta ratio non
appare né arbitraria né irragionevole e, pertanto, la norma impugnata è esente
dalle censure prospettate.
8.2.7.3. – Quanto al terzo
rilievo, secondo cui l’imposta sullo scalo degli aeromobili costituirebbe una
duplicazione dei diritti aeroportuali, data l’identità della questione, valgono
anche qui le conclusioni già raggiunte in occasione dell’esame del primo
ricorso (punto 8.1.4.) circa l’insussistenza della dedotta “duplicazione
d’imposta”.
8.2.7.4. – Il quarto rilievo viene riferito dal ricorrente esclusivamente all’imposta
sullo scalo degli aeromobili ed è basato sulla considerazione che detto
prelievo sarebbe irragionevole, perché non definibile né come imposta né come
tassa.
Neppure tale argomentazione è fondata. Il
prelievo previsto dalla norma censurata, infatti, ha natura non di tassa (in quanto, come sopra sottolineato, non è collegato alla
fruizione di servizi aeroportuali), ma di imposta, perché costituisce un
prelievo coattivo che è finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed è posto
a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità
contributiva (cioè l’effettuazione di uno scalo in un aerodromo, nell’àmbito di un «trasporto privato di persone»).
Né può obiettarsi, come fa il ricorrente, che
il prelievo censurato non costituirebbe un’imposta in quanto
inciderebbe «sui singoli atti di esercizio di un’impresa e non sul risultato
utile complessivo». Il tributo in esame, infatti, non costituisce un’imposta
sul reddito d’impresa, per la quale soltanto potrebbe porsi un problema di
valutazione del «risultato utile complessivo», come si esprime il ricorrente.
Inoltre, il tributo denunciato non presuppone
necessariamente – come erroneamente ritiene il ricorrente – l’esercizio di
un’attività di impresa di trasporti aerei. A tale
ultima conclusione si giunge attraverso la ricostruzione del complesso quadro
normativo in cui si inserisce la norma censurata,
secondo la quale l’imposta si applica con riferimento agli «aeromobili
dell’aviazione generale di cui all’articolo 743 e seguenti del codice della
navigazione adibiti al trasporto privato di persone». In realtà, detti articoli del codice della navigazione, nel testo vigente al momento
dell’entrata in vigore della disposizione denunciata, non fanno menzione
né dell’«aviazione generale» né della distinzione degli «aeromobili privati» in
tre categorie:
a) «aeromobili da trasporto pubblico destinati
a trasportare persone o cose mediante compenso di qualsiasi natura, ovvero
anche senza compenso, se il trasporto è effettuato da
una impresa di trasporti aerei»;
b) «aeromobili da lavoro aereo, destinati a
scopi industriali e commerciali o ad altra utilizzazione
con compenso, che non siano di trasporto di persone o cose»;
c) «aeromobili da turismo, destinati a scopo
diverso da quelli indicati nei commi precedenti e senza compenso»; distinzione
prevista solo dal previgente testo dell’art. 747 cod.
nav. – anteriore, cioè, alla sua abrogazione ad opera
dell’art. 5 del decreto legislativo 9 maggio 2005, n. 96 – e ripetuta quasi
letteralmente dall’art. 137 del Regolamento per la navigazione aerea, approvato
con regio decreto 11 gennaio 1925, n. 356, come modificato dall’art. 8 degli
emendamenti approvati con regio decreto 15 aprile 1938, n. 1350.
Il terzo comma dell’art. 743 cod. nav. statuisce invece, nella formulazione vigente, che «Le
distinzioni degli aeromobili, secondo le loro caratteristiche tecniche e
secondo il loro impiego, sono stabilite dall’ENAC con propri regolamenti e, comunque, dalla normativa speciale in materia». Al corretto
significato della norma censurata si perviene, perciò, solo attraverso l’esame
di tali regolamenti. In particolare, l’art. 1 del regolamento dell’Ente
Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC) del 30 giugno 2003 (denominato
«Operazioni Ogni Tempo nello Spazio Aereo Nazionale») definisce le seguenti operazioni secondo l’impiego dell’aeromobile:
a) «operazioni di trasporto aereo
commerciale»: quelle che «comportano il trasporto di passeggeri, merci e posta
dietro compenso» (art. 1.1.);
b) «operazioni di lavoro aereo»: quelle effettuate da un «aeromobile utilizzato per attività
specialistiche quali ad esempio aerofotografia, pubblicità aerea, sorveglianza
ed osservazioni, spargimento sostanze, trasporto carichi esterni, ecc.)» (art.
1.2.);
c) «operazioni
dell’aviazione generale»: quelle «diverse dal trasporto aereo commerciale e dal
lavoro aereo» (art. 1.3.).
Analogamente, il regolamento del 21 ottobre
2003 (denominato «Regolamento per la costruzione e
l’esercizio degli aeroporti») definisce:
a) «trasporto aereo
commerciale», il «traffico effettuato per trasportare persone o cose dietro
remunerazione. Esso comprende quindi il trasporto aereo di linea, charter e
aerotaxi»;
b) «trasporto aereo non commerciale o di aviazione generale», il «traffico diverso dal trasporto
aereo commerciale; esso comprende sostanzialmente l’attività degli aeroclub, delle scuole di volo, dei piccoli aerei privati
ed i servizi di lavoro aereo».
In base a tale ricostruzione del quadro
normativo, il «trasporto aereo privato di persone», da parte di aeromobili
dell’aviazione generale, menzionato dalla norma censurata è solo quello
effettuato con un aeromobile mediante operazioni di «aviazione generale», cioè
mediante operazioni prestate senza compenso e diverse dal «lavoro aereo».
Costituisce, perciò, «trasporto aereo privato di persone», soggetto all’imposta
regionale, anche il trasporto effettuato senza compenso da un’impresa di
trasporti aerei, che (come sopra ricordato) l’abrogato testo dell’art. 747 cod.
nav. riconduceva, invece, al «trasporto pubblico». Ne
deriva che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’applicazione
della denunciata imposta regionale non presuppone mai l’esercizio dell’attività
di impresa di trasporti, salvo che nella sopra
indicata eccezionale ipotesi di trasporto effettuato senza compenso da parte di
una impresa di trasporti aerei, rientrante nel piú
generale caso, previsto dalla normativa comunitaria, di “aviazione generale di
affari” (infra punto 8.2.8.4.).
8.2.8. – Infine, con la censura sub f), il
ricorrente prospetta, con riferimento ai soggetti che esercitano attività
d’impresa, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al Trattato CE, con riguardo agli artt. 49 (posto a tutela della libera prestazione dei
servizi), 81, «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10» (posti a tutela della
concorrenza), 87 (riguardante il divieto di aiuti di
Stato) e richiede, al riguardo, che sia effettuato il rinvio pregiudiziale di
cui all’art. 234 del Trattato CE. Tale prospettazione
impone di affrontare preliminarmente i seguenti problemi: 1) se sia ammissibile
la censura con la quale si evocano, per il tramite del primo comma dell’art.
117 Cost., norme comunitarie
come elementi integrativi del parametro di costituzionalità; 2) quali siano i
limiti entro cui le norme comunitarie possono essere prese in considerazione da
questa Corte come elemento integrativo del parametro in sede di giudizio di
costituzionalità promosso in via principale; 3) se sussistano le condizioni
perché questa Corte sollevi questione interpretativa pregiudiziale ai sensi
dell’art. 234 del Trattato CE. Solo dopo la risoluzione di tali problemi, potrà
procedersi allo scrutinio della non manifesta
infondatezza e della rilevanza di detta questione pregiudiziale.
8.2.8.1. – Come piú
volte affermato da questa Corte, l’art. 11 Cost., prevedendo che l’Italia «consente, in condizioni di parità
con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento
che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni», ha permesso di riconoscere
alle norme comunitarie efficacia obbligatoria nel nostro ordinamento (ex plurimis, sentenze n. 349 e n. 284 del 2007; n. 170 del
1984). Il nuovo testo dell’art. 117, primo comma, Cost., introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 – nel
disporre che «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni
nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario […]» –, ha ribadito che i vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario si impongono al legislatore nazionale
(statale, regionale e delle Province autonome). Da tale quadro normativo costituzionale
consegue che, con la ratifica dei Trattati comunitari, l’Italia è entrata a far
parte di un ordinamento giuridico autonomo, integrato e coordinato con quello
interno, ed ha trasferito, in base all’art. 11 Cost., l’esercizio di poteri, anche normativi, nelle materie
oggetto dei Trattati medesimi. Le norme comunitarie vincolano in vario modo il
legislatore interno, con il solo limite dell’intangibilità dei princípi
fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei
diritti inviolabili dell’uomo garantiti dalla Costituzione (ex multis, sentenze nn. 349, 348 e
284 del 2007, n. 170 del 1984).
Con specifico riguardo al caso, che qui
interessa, di leggi regionali della cui compatibilità con il diritto
comunitario (come interpretato e applicato dalle istituzioni e dagli organi
comunitari) si dubita, va rilevato che l’inserimento dell’Italia
nell’ordinamento comunitario comporta due diverse conseguenze, a seconda che il
giudizio in cui si fa valere tale dubbio penda davanti
al giudice comune ovvero davanti alla Corte costituzionale a séguito di ricorso
proposto in via principale. Nel primo caso, le norme comunitarie, se hanno
efficacia diretta, impongono al giudice di disapplicare
le leggi nazionali (comprese quelle regionali), ove le ritenga
non compatibili. Nel secondo caso, le medesime norme «fungono da norme
interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità
della normativa regionale all’art. 117, primo comma, Cost.»
(sentenze n. 129 del 2006; n. 406 del 2005; n. 166 e n. 7 del 2004), o, piú precisamente, rendono concretamente operativo il
parametro costituito dall’art. 117, primo comma, Cost. (come chiarito, in
generale, dalla sentenza n. 348 del 2007), con conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme regionali che
siano giudicate incompatibili con il diritto comunitario.
Questi due diversi modi di operare delle norme
comunitarie corrispondono alle diverse caratteristiche dei giudizi.
Davanti al giudice comune la legge regionale
deve essere applicata ad un caso concreto e la valutazione della sua conformità
all’ordinamento comunitario deve essere da tale giudice preliminarmente effettuata al fine di procedere all’eventuale disapplicazione della suddetta legge, previo rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia CE – ove necessario – per
l’interpretazione del diritto comunitario. Una volta esclusa tale disapplicazione, il giudice potrà bensí
adire la Corte costituzionale, ma solo per motivi di non conformità del diritto
interno all’ordinamento costituzionale e non per motivi di non conformità
all’ordinamento comunitario. Ne consegue che, ove il giudice comune dubitasse
della conformità della legge nazionale al diritto comunitario, il mancato
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia CE
renderebbe non rilevante e, pertanto, inammissibile la questione di legittimità
costituzionale da lui sollevata.
Davanti alla Corte costituzionale adíta in via principale, invece, la valutazione della
conformità della legge regionale alle norme comunitarie si risolve, per il tramite
dell’art. 117, primo comma, Cost.,
in un giudizio di legittimità costituzionale; con la conseguenza che, in caso
di riscontrata difformità, la Corte non procede alla disapplicazione
della legge, ma – come già osservato – ne dichiara l’illegittimità costituzionale
con efficacia erga omnes (ex multis,
sentenza n. 94 del 1995).
In conclusione, alla luce di quanto sopra
rilevato, la censura in esame deve ritenersi ammissibile, perché le norme
comunitarie sono state correttamente evocate dal ricorrente nel presente
giudizio, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., quale elemento integrante il parametro di
costituzionalità.
8.2.8.2. – Quanto ai limiti entro cui dette
norme possono essere prese in considerazione come elemento integrativo del
parametro in sede di giudizio di costituzionalità
promosso in via principale, va osservato che questa Corte non può esaminare
violazioni diverse da quelle denunciate dal ricorrente, riguardanti gli artt. 49, 81, «coordinato con gli art. 3,
lett. g) e 10», e 87 del Trattato CE.
Secondo
l’interpretazione costantemente data da questa Corte al combinato disposto
degli artt. 23, 27 e 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87
(per cui, anche nei giudizi in via principale, la
Corte costituzionale dichiara quali sono le disposizioni legislative
illegittime, nei limiti dei parametri costituzionali e dei motivi di censura
indicati nell’atto introduttivo del giudizio), il giudizio di legittimità
costituzionale ha la peculiare caratteristica di essere vincolato al thema decidendum posto dall’atto
introduttivo, in ordine all’oggetto, al parametro e ai motivi di censura.
Questa Corte, in particolare, non ha il potere di dichiarare che la norma
censurata è illegittima per la violazione di parametri costituzionali diversi
da quelli indicati nell’atto introduttivo. Può, invece, prendere in
considerazione norme costituzionali non evocate a parametro solo ove in esse rinvenga il fondamento giustificativo della norma
censurata. Tale limitazione del principio iura novit curia (il quale è applicabile
in misura ben piú ampia nei giudizi comuni) opera
anche per le disposizioni integrative del parametro costituzionale evocate a
sostegno dell’illegittimità della norma denunciata e, quindi, anche nel caso di
specie, in cui viene dedotta la violazione dei suddetti articoli del Trattato
CE, in relazione al primo comma dell’art. 117 Cost.
8.2.8.3. – Poste tali premesse,
occorre ora verificare se sussistano le condizioni perché questa Corte, al pari
del giudice comune, possa sollevare davanti alla Corte di giustizia CE – nel
caso in cui la questione di conformità alla normativa comunitaria non sia
manifestamente infondata – questione pregiudiziale sull’interpretazione del
diritto comunitario ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE (secondo il quale,
«La Corte di giustizia è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a)
sull’interpretazione del presente trattato […]. Quando una questione del genere
è sollevata in un giudizio pendente davanti a una
giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso
giurisdizionale di diritto interno, tale giurisdizione è tenuta a rivolgersi
alla Corte di giustizia»).
La risposta, al riguardo, è positiva,
perché questa Corte, pur nella sua peculiare posizione di organo di garanzia
costituzionale, ha natura di giudice e, in particolare, di giudice di unica
istanza (in quanto contro le sue decisioni non è ammessa alcuna impugnazione:
art. 137, terzo comma, Cost.). Essa pertanto, nei giudizi di legittimità
costituzionale in via principale, è legittimata a proporre rinvio pregiudiziale
ai sensi dell’art. 234, terzo paragrafo, del Trattato
CE.
Tale conclusione è confermata dalle seguenti
considerazioni.
In primo luogo, la nozione di «giurisdizione
nazionale» rilevante ai fini dell’ammissibilità del rinvio pregiudiziale deve
essere desunta dall’ordinamento comunitario e non dalla qualificazione
“interna” dell’organo rimettente. Non v’è dubbio che la Corte costituzionale
italiana possiede requisiti individuati a tal fine dalla giurisprudenza della
Corte di giustizia CE per attribuire tale qualificazione.
In secondo luogo, nell’àmbito
dei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via principale, questa
Corte è l’unico giudice chiamato a pronunciarsi in ordine al
loro oggetto, in quanto – come già sopra osservato – manca un giudice a quo
abilitato a definire la controversia, e cioè ad applicare o a disapplicare direttamente la norma interna non conforme al
diritto comunitario. Pertanto, non ammettere in tali giudizi il rinvio
pregiudiziale di cui all’art. 234 del Trattato CE
comporterebbe un’inaccettabile lesione del generale interesse all’uniforme
applicazione del diritto comunitario, quale interpretato dalla Corte di
giustizia CE.
8.2.8.4. – Quanto alle violazioni del diritto
comunitario denunciate dal ricorrente, questa Corte ritiene opportuno sollevare
questioni pregiudiziali davanti alla Corte di giustizia CE, ai sensi dell’art.
234 del Trattato CE, esclusivamente con riguardo alle violazioni degli artt. 49 e 87 del Trattato CE, riservando al prosieguo del giudizio ogni decisione sulla violazione
dell’art. 81 «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10», anche in relazione
alla pertinenza di tale combinato disposto con la norma censurata.
Venendo ora all’esame della non manifesta
infondatezza delle suddette questioni pregiudiziali di interpretazione
delle norme comunitarie evocate, riguardanti l’applicazione dell’imposta sullo
scalo degli aeromobili e delle unità da diporto, va premesso che, in base alla
disposizione censurata, tale imposta si applica:
a) alle imprese esercenti unità da diporto (o,
comunque, utilizzate a scopo di diporto) non
fiscalmente domiciliate in Sardegna, e, in particolare, alle imprese la cui
attività imprenditoriale consiste nel mettere dette unità a disposizione di
terzi;
b) alle imprese esercenti «aeromobili
dell’aviazione generale […] adibiti al trasporto privato di persone», cioè alle imprese che effettuano operazioni di trasporto
aereo (diverse dal «lavoro aereo»), senza compenso, e, quindi, nell’àmbito della cosiddetta “aviazione generale di affari”,
definita dall’art. 2, lettera l), del Regolamento (CEE) n. 95/93 del Consiglio,
del 18 gennaio 1993 (Norme comuni per l’assegnazione di bande orarie negli
aeroporti della Comunità), come attività di aviazione generale effettuata
dall’esercente con trasporto senza remunerazione per motivi attinenti alla
propria attività di impresa (il quadro normativo concernente gli aeromobili
dell’aviazione generale è ricostruito supra, al punto
8.2.7.4.).
Riguardo a tali imprese, non può escludersi
che il loro assoggettamento a tassazione nel solo caso in cui non abbiano domicilio fiscale in Sardegna crei una
discriminazione e un conseguente aggravio di costi rispetto a quelle che, pur
svolgendo la stessa attività, non sono tenute al pagamento del tributo per il
solo fatto di avere domicilio fiscale in Sardegna. In entrambi i casi – e cioè, con riferimento tanto all’ampio mercato
dell’utilizzazione commerciale delle unità da diporto, quanto al piú ristretto mercato delle imprese che effettuano direttamente
trasporti aerei aziendali di persone senza remunerazione – può ipotizzarsi,
infatti, che l’applicazione della censurata imposta regionale di scalo dia
luogo a un aggravio selettivo del costo dei servizi resi dalle imprese “non
residenti”, che assume rilevanza per l’ordinamento comunitario sia come
restrizione alla libera prestazione dei servizi (art. 49 del Trattato CE), sia
come aiuto di Stato alle imprese con domicilio fiscale in Sardegna (art. 87 del
Trattato CE), con effetti discriminatori e distorsivi
della concorrenza.
Avverso tale
conclusione potrebbero invero addursi le stesse ragioni che, secondo questa
Corte (punto 8.2.7.1.), giustificano l’applicazione dell’imposta sullo scalo
solo ai soggetti non imprenditori non aventi domicilio fiscale in Sardegna
(ragioni che, come si vedrà in séguito al punto 9.1.2., valgono anche per
l’imposta di soggiorno). Potrebbe, cioè, opporsi che
la tassazione delle sole imprese “non residenti” è giustificata, sul piano
della politica economico-fiscale della Regione, dal fatto che dette imprese,
nell’effettuare lo scalo, fruiscono dei servizi pubblici regionali e locali, ma
non concorrono – a differenza delle imprese “residenti” – al loro finanziamento
con il pagamento dei già esistenti tributi. Questa giustificazione del prelievo
regionale sarebbe rafforzata, secondo la difesa della Regione, da quella
fondata sulla necessità di compensare, attraverso la tassazione delle imprese
fiscalmente non domiciliate in Sardegna, i maggiori costi sostenuti dalle imprese
ivi domiciliate, in ragione delle peculiarità geografiche ed economiche legate
al carattere insulare della Regione.
Le due suddette giustificazioni traggono
peraltro il loro fondamento da circostanze attinenti alla sostenibilità dello
sviluppo turistico regionale e dall’esigenza di riequilibrare la situazione
economica dei soggetti “non residenti” rispetto a quella dei soggetti
“residenti”. Esse, quindi, non tengono conto del fatto che l’insularità non
appare, di per sé, un elemento idoneo a incrementare i
costi sostenuti dalle imprese con riferimento allo scalo turistico e,
soprattutto, del fatto che, nel caso in cui il soggetto passivo del tributo sia
un imprenditore, la circostanza di farlo partecipare – in quanto non avente
domicilio fiscale in Sardegna – ai costi aggiuntivi determinati dal turismo
potrebbe non essere sufficiente a rendere inoperante, nella specie, il
principio comunitario di non discriminazione e, conseguentemente, inapplicabili
le connesse disposizioni del Trattato CE sulla libertà di prestazione di
servizi e sul divieto di aiuti di Stato.
Tale principio è, infatti, di generale
applicazione nell’ordinamento interno e fornisce una tutela delle imprese “non
residenti” – sotto il profilo della concorrenza e delle libertà economiche
fondamentali –, la cui delimitazione è rimessa non a regole di diritto interno,
ma al diritto comunitario, quale interpretato dalla Corte di giustizia CE anche
con riferimento ad “enti infrastatali” che, come la
Regione resistente, sono dotati di autonomia statutaria,
normativa e finanziaria (Corte di giustizia, sentenza 6 settembre 2006,
C-88/03, Repubblica portoghese c. Commissione).
In questa materia vi è un’incertezza
interpretativa che richiede l’intervento della Corte di giustizia CE, come risulta evidente dall’esame della giurisprudenza di tale
Corte. Essa si è in piú occasioni
occupata di fattispecie analoghe alla denunciata imposta di scalo e ha
affermato che sussiste una restrizione alla libera prestazione dei servizi nel
caso in cui una determinata misura renda le prestazioni transfrontaliere piú onerose delle prestazioni nazionali comparabili
(sentenze 11 gennaio 2007, C-269/05, Commissione c. Repubblica ellenica; 6
febbraio 2003, C-92/01, Stylianakis; 26 giugno 2001,
C-70/99, Commissione c. Portogallo). Quei casi avevano, però, ad oggetto
tasse che discriminavano tra voli nazionali e voli internazionali o tra voli
aventi percorrenza superiore e inferiore ad una determinata distanza o, ancora,
tra trasporti infranazionali
e internazionali. Non veniva dunque in rilievo una possibile discriminazione –
pur astrattamente rilevante per il diritto comunitario – tra imprese aventi o
no domicilio fiscale in una regione di uno Stato membro.
Per quanto attiene, poi, alla dedotta
violazione dell’art. 87 del Trattato CE, si pone anche il problema se il
vantaggio economico concorrenziale derivante alle suddette imprese “residenti”
in Sardegna dal loro non assoggettamento all’imposta regionale sullo scalo
rientri nella nozione di aiuto di Stato, considerato
che detto vantaggio deriva non dalla concessione di un’agevolazione fiscale, ma
indirettamente dal minor costo da esse sopportato rispetto alle imprese “non
residenti” (analogamente alla fattispecie, per alcuni versi simile, esaminata
dalla Corte di giustizia CE con la sentenza del 22 novembre 2001, C-53/00, Ferring SA). In proposito è appena il caso di sottolineare che il suddetto problema interpretativo
prescinde, ovviamente, dalla valutazione della compatibilità della misura di
aiuto con il mercato comune, spettante alla competenza esclusiva della
Commissione CE, che agisce sotto il controllo dei giudici comunitari.
Sussiste, pertanto, un dubbio circa la
corretta interpretazione – tra quelle possibili – delle evocate disposizioni
comunitarie, tale da rendere necessario procedere al rinvio pregiudiziale alla
Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, perché questa
accerti:
a) se l’art. 49 del Trattato debba essere
interpretato nel senso che osti all’applicazione della norma censurata alle
sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal
territorio della Regione Sardegna esercenti aeromobili da loro stesse
utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento di attività di
“aviazione generale d’affari” (cioè trasporto senza remunerazione per motivi attinenti
alla propria attività d’impresa);
b) se la norma censurata, nel prevedere che
l’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili grava sulle sole
imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal
territorio della Regione Sardegna esercenti aeromobili da esse stesse
utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento di attività di
aviazione generale d’affari, configuri – ai sensi dell’art. 87 del Trattato –
un aiuto di Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio
fiscale nel territorio della Regione Sardegna;
c) se l’art. 49 del Trattato debba essere
interpretato nel senso che osti all’applicazione della norma censurata alle
sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal
territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività
imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi tali unità;
d) se la norma censurata, nel prevedere che
l’imposta regionale sullo scalo turistico delle unità da diporto grava sulle
sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal
territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività
imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi tali unità,
configuri – ai sensi dell’art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato alle imprese
che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel territorio della
Regione Sardegna.
Il rinvio pregiudiziale in
ordine a tali questioni, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, appare altresí opportuno al fine di evitare il pericolo di
contrasti ermeneutici tra la giurisdizione
comunitaria e quella costituzionale nazionale, che non giovano alla certezza e
all’uniforme applicazione del diritto comunitario.
8.2.8.5. – Le suddette questioni pregiudiziali
sono, inoltre, rilevanti, perché:
a) l’interpretazione richiesta alla Corte di
giustizia è necessaria per pronunciare la sentenza di questa Corte, in quanto le questioni sono ricomprese
nell’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale proposto in via
principale;
b) la fondatezza dei profili di illegittimità costituzionale dedotti dal ricorrente con
riguardo a questioni diverse da quelle oggetto del rinvio pregiudiziale è stata
già esclusa da questa Corte per le ragioni esposte ai punti da 8.2.3. a 8.2.7.
e, quindi, la legittimità costituzionale della norma censurata non può essere
scrutinata, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.,
senza che si proceda alla valutazione della sua conformità al diritto
comunitario.
Come già disposto al punto 8.2.8.4., va riservata al prosieguo del giudizio ogni decisione
sulla violazione dell’art. 81 «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10».
8.2.8.6. – Al fine dell’indicata rimessione pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 del
Trattato CE, è opportuno separare, nell’àmbito del giudizio introdotto con il ricorso n. 36 del
2007, il giudizio concernente la questione riguardante l’«imposta regionale
sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto» – disciplinata
dall’art. 4 della legge reg. n. 4 del 2006, quale sostituito
dall’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007 –
e relativa all’assoggettamento a tassazione delle imprese esercenti aeromobili
o unità da diporto. Il giudizio avente ad oggetto la questione cosí delimitata e separata va
sospeso in forza dell’art. 3 della legge 13 marzo 1958, n. 204, sino alla
definizione delle questioni interpretative pregiudiziali rimesse, con la
separata ordinanza n. 103 del 2008, alla Corte di giustizia CE.
9. – Occorre ora procedere all’esame delle
questioni concernenti l’art. 5 della legge reg. n. 2 del 2007 sollevate con il
secondo ricorso (n. 36 del 2007). La disposizione censurata istituisce
l’imposta regionale di soggiorno, da destinare ad interventi nel settore del
turismo sostenibile, che i Comuni hanno la facoltà di applicare, nell’àmbito del proprio territorio a decorrere dall’anno 2008 a coloro che non risultano iscritti nell’anagrafe della
popolazione residente nei Comuni della Sardegna, per il soggiorno nel periodo
dal 15 giugno al 15 settembre, nelle aziende ricettive di cui alla legge
regionale 14 maggio 1984, n. 22 (Norme per la classificazione delle aziende
ricettive), nelle strutture ricettive extra-alberghiere
di cui alla legge regionale 12 agosto 1998, n. 27 (Disciplina delle strutture
ricettive extra-alberghiere), nelle strutture
ricettive di cui alla legge regionale 23 giugno 1998, n. 18 (Nuove norme per
l’esercizio dell’agriturismo), nelle unità immobiliari adibite ad abitazioni
principali, cosí come definite dall’articolo 8, comma
2, del decreto legislativo n. 504 del 1992, concesse in comodato o in
locazione, nelle unità immobiliari non adibite ad abitazioni principali (con
l’esclusione, per queste ultime, del proprietario, del coniuge, degli affini e
dei parenti in linea retta, dei collaterali fino al terzo grado, e degli ospiti
che soggiornano unitamente ad almeno uno dei componenti la famiglia del
proprietario), con l’esenzione dall’imposta dei lavoratori dipendenti che
soggiornano per ragioni di servizio attestate dal datore di lavoro, degli
studenti che soggiornano per ragioni di studio o per periodi di formazione
professionale attestati dalle rispettive università, scuole od enti di
formazione, dei minori di diciotto anni, dei lavoratori autonomi che
soggiornano per ragioni di lavoro documentabili. L’imposta si applica, per
persona e per ogni giornata di soggiorno, nella modesta misura di un euro o,
per i soggiorni negli alberghi a quattro stelle e superiori, di due euro.
9.1. – In particolare, il ricorrente denuncia
il contrasto della disposizione censurata con tre diversi parametri costituzionali:
a) con l’art. 8, lettera h), dello statuto
della Regione Sardegna, perché la Regione avrebbe violato il divieto per le
Regioni di istituire imposte comunali, costituente un principio del sistema
tributario dello Stato; ovvero, alternativamente, con l’art. 119 Cost., in relazione all’art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001, perché la Regione non può stabilire
un’imposta comunale senza lasciare ai Comuni nessun margine di autonomia se non
la scelta se istituire o no l’imposta;
b) con l’art. 3 Cost., perché sarebbe irragionevole non assoggettare ad imposta
i residenti in Sardegna, pur avendo, rispetto ai non residenti, una «posizione
[…] identica se rapportata al presupposto dell’imposta»;
c) con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione sia all’art.
12 del Trattato CE, perché i cittadini dell’Unione europea subirebbero una
discriminazione rispetto ai residenti nella Regione, sia all’art. 49 dello
stesso Trattato, perché «la libertà di prestazione dei servizi all’interno
della Comunità è violata anche quando vengono frapposti ostacoli al godimento
di servizi da parte di cittadini di Paesi membri».
Tali censure vanno esaminate separatamente.
9.1.1. – Quanto alla censura sub a), va in via
preliminare rilevato che deve essere scrutinata esclusivamente la denunciata
violazione dello statuto regionale, perché – come già chiarito al punto 5.3. –
la normativa risultante dalla riforma del Titolo V della Parte II della
Costituzione non prevede una forma di autonomia piú ampia di quella dello statuto della Regione Sardegna e
pertanto, ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, trova
applicazione soltanto lo statuto.
Nel merito, la censura non è fondata.
Riguardo alla asserita
esistenza, nel sistema tributario dello Stato, del principio secondo cui è
vietato alla Regione di istituire imposte comunali, va rilevato che tale
principio non sussiste. In base allo statuto di autonomia
è, infatti, attribuita alla Regione la potestà legislativa di disciplinare
tributi propri, sempre che sia assicurata l’«armonia» di tali tributi con i
princípi del sistema tributario dello Stato. Nell’àmbito
di detta potestà la Regione può discrezionalmente modulare l’autonomia
tributaria dei Comuni e, quindi, può anche limitarsi a rimettere ad essi la sola decisione di istituire o no i suddetti tributi.
Del resto, la piena discrezionalità della Regione nel fissare la misura di autonomia – piú o meno ampia –
che intende riservare al potere regolamentare tributario degli enti
sub-regionali giustifica che nella specie sia stata lasciata all’autonomia dei
Comuni la sola scelta se istituire o no un’imposta interamente disciplinata
dalla legge regionale, senza giungere ad attribuire loro l’ulteriore potere di
determinare l’aliquota del tributo entro i limiti minimo e massimo fissati
dalla legge stessa (come avviene, invece, per la maggior parte dei tributi
locali). Anche sotto l’aspetto meramente letterale, va
poi osservato che l’articolo denunciato definisce espressamente, al comma 1,
l’imposta di soggiorno come «regionale» (e non “comunale”, come sostenuto dalla
difesa erariale). E precisa, al comma 18, che il gettito dell’imposta riscosso
da ciascun Comune è attribuito alla Regione per il 50 per cento, «ai fini
dell’istituzione di un fondo di riequilibrio e solidarietà, destinato agli
investimenti nel settore turistico delle aree interne», e solo per il restante
50 per cento al Comune, che dovrà destinarlo, ai sensi del citato comma 1, «ad
interventi nel settore del turismo sostenibile con particolare riguardo al miglioramento
dei servizi rivolti ai turisti e alla fruizione della
risorsa ambientale».
9.1.2. – Il ricorrente deduce, con la censura
sub b), la violazione dell’art. 3 Cost., affermando che la norma denunciata sarebbe irragionevole
perché non assoggetta ad imposta i residenti in Sardegna, pur avendo questi,
rispetto ai non residenti, una «posizione […] identica se rapportata al
presupposto dell’imposta».
Anche tale censura non è fondata, perché il
ricorrente erroneamente ritiene che la situazione dei soggetti residenti in
Sardegna sia omogenea rispetto a quella dei non residenti.
Il presupposto della denunciata imposta
regionale è individuato dalla legge nel soggiorno, da parte di soggetti non
iscritti nell’anagrafe della popolazione residente nei comuni della Sardegna
(con alcune esenzioni), nelle aziende o strutture ricettive o unità immobiliari
specificate dalla stessa legge, nel periodo compreso
tra il 15 giugno ed il 15 settembre di ogni anno a partire dal 2008. I suddetti
soggetti passivi, proprio per effetto del soggiorno, necessariamente fruiscono
sia di servizi pubblici locali e regionali, sia del patrimonio culturale e
ambientale sardo, senza concorrere al finanziamento dei primi e alla tutela del
secondo a mezzo di tributi. I soggetti residenti in Sardegna,
invece, già concorrono, nella generalità dei casi, alle spese pubbliche
connesse a tali servizi e beni mediante la corresponsione di svariati tributi e
contributi, che entrano a vario titolo nel bilancio della Regione ai fini della
valorizzazione dell’ambiente e dell’ottimizzazione del
governo del territorio regionale (si pensi, ad esempio, alle quote dei tributi
erariali connessi al territorio regionale riservate alla Regione Sardegna
dall’art. 8 dello statuto).
Appare, quindi, corretto – sotto il profilo
fiscale – distinguere tali soggetti da quelli non residenti in Sardegna, perché
questi ultimi, diversamente dai residenti, non solo non sopportano alcun
prelievo il cui gettito sia specificamente diretto ai suddetti fini, ma, con il
loro soggiorno nella Regione in coincidenza con il periodo di maggior afflusso
turistico, causano costi pubblici aggiuntivi rispetto a quelli programmabili
dalla Regione in base al gettito delle imposte già corrisposte dai soggetti
residenti. I soggiornanti non residenti, perciò, incidono anche sulla
complessiva sostenibilità del fenomeno turistico nell’isola (v., al punto
8.2.8.5., l’analoga ratio della previsione dell’imposta sullo scalo a carico
dei soli soggetti non aventi domicilio fiscale in Sardegna). Il legislatore
regionale, pertanto, nel porre l’imposta di soggiorno, in una misura non
sproporzionata, a carico solo dei soggetti non residenti in Sardegna, tratta
diversamente e in modo adeguato situazioni giuridiche diverse e, quindi, non
supera i limiti della ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
Né tale ragionevolezza
può essere messa in dubbio dalla considerazione – fatta propria dal ricorrente
– che l’attribuzione a ciascun Comune del potere di «applicare», accertare,
liquidare e riscuotere l’imposta di soggiorno «nell’àmbito
del proprio territorio» imporrebbe l’assoggettamento a detta imposta anche dei
soggiornanti residenti in altro Comune della Sardegna. Al contrario, la
rilevata natura regionale del tributo comporta che questo, ancorché applicato
dai Comuni nell’àmbito dell’autonomia ad essi attribuita dalla legge regionale, deve essere pagato
solo da quei soggetti che, non essendo residenti nella Regione, non
contribuiscono – come già osservato – al finanziamento delle indicate spese
pubbliche connesse ai servizi e beni culturali e ambientali sardi; e,
simmetricamente, non deve essere pagato da coloro che, essendo residenti nella
Regione, hanno già contribuito a tale finanziamento.
Al riguardo, va sottolineato
che, coerentemente con la sua natura regionale, l’imposta ha, come si è visto,
lo scopo di finanziare il complesso delle spese connesse alla tutela
dell’ambiente ed alla promozione del turismo sostenibile nell’intera Regione,
con gli opportuni aggiustamenti compensativi tra le varie zone. Ne deriva che il
legislatore regionale non irragionevolmente valuta l’intera Regione Sardegna
come un’unica – anche se non omogenea – area culturale ed ambientale, come tale
complessivamente valorizzata dal bilancio regionale, cosí
da giustificare un prelievo fiscale a carico soltanto dei
soggiornanti non residenti nell’isola.
9.1.3. – Il ricorrente deduce, infine (con le
censure sub c), la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione sia all’art. 12 del Trattato CE, perché i
cittadini dell’Unione subirebbero una discriminazione rispetto ai residenti
nella Regione, sia all’art. 49 dello stesso Trattato, perché «la libertà di
prestazione dei servizi all’interno della Comunità è violata anche quando
vengono frapposti ostacoli al godimento di servizi da parte di cittadini di
Paesi membri».
Le censure non sono fondate.
Al riguardo, va preliminarmente osservato che
non sussiste una specifica normativa comunitaria in materia di
imposte di soggiorno. Tali imposte sono o sono state previste dalla
legislazione di vari Stati dell’Unione europea, ad esempio: la Kurtaxe tedesca; la taxe de séjour francese; l’impuesto sobre las estancias
en empresas turísticas de alojamiento già vigente nella Comunità autonoma delle Isole
Baleari; l’impôt sur les chambres d’hôtels
et de pensions a Bruxelles;
l’imposta di soggiorno di cui alla legge del Trentino Alto-Adige
29 agosto 1976, n. 10, ancora parzialmente applicabile nella Provincia autonoma
di Bolzano; l’imposta di soggiorno già prevista in Italia con il decreto-legge
24 novembre 1938, n. 1926, convertito dalla legge 2 giugno 1939, n. 739, e
soppressa, con effetto dal 1° gennaio 1989, dal decreto-legge 2 marzo 1989, n.
66, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144. Occorre
poi sottolineare che, come anche rilevato dalla
Commissione CE, l’imposta di soggiorno non è stata oggetto di armonizzazione in
sede di Comunità europee e che, di conseguenza, gli Stati membri possono
definire i criteri della sua applicazione, a condizione che siano rispettati i
princípi del diritto comunitario e, in particolare, che non siano introdotte
misure discriminatorie nell’esercizio delle libertà fondamentali previste dal
Trattato CE.
Nella specie, la dedotta discriminazione tra i
residenti in Sardegna e gli altri cittadini dell’Unione europea non è fondata, perché il ricorrente erroneamente ritiene che la
situazione dei primi sia omogenea a quella dei secondi. Al contrario, per le
stesse ragioni già rilevate al punto 9.1.2. con riferimento alla denunciata
violazione dell’art. 3 Cost.,
le situazioni poste a raffronto dal ricorrente sono eterogenee e giustificano
l’esclusione dall’imposta per i soggetti residenti nel territorio sardo.
Per quanto attiene alla libera circolazione
dei servizi (art. 49 del Trattato CE), non risulta che
l’imposta censurata colpisca i soggiornanti in maniera discriminatoria o
sproporzionata, cosí da ledere la libertà dei
medesimi soggiornanti di recarsi in un altro Stato membro per beneficiare di un
servizio. Del resto, lo stesso ricorrente non ha precisato in cosa si
sostanzierebbe la lamentata discriminazione in ordine alla
fruizione o alla libera circolazione dei servizi, tanto piú
che la denunciata imposta di soggiorno ha proprio la funzione di rendere
sostenibile il contingente afflusso di soggiornanti non aventi residenza
anagrafica in Sardegna. Ciò è sufficiente per escludere anche il rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia CE ai sensi dell’art. 234 del suddetto
Trattato.
per questi motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 2 della legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4
(Disposizioni varie in materia di entrate,
riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), nel testo
originario e in quello sostituito dall’art. 3, comma 1, della legge della
Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2007);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 3 della legge della Regione Sardegna n. 4
del 2006, nel testo originario e in quello sostituito dall’art. 3, comma 2,
della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007;
3) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4
del 2006, nel testo originario, promosse dal Presidente del Consiglio dei
ministri, in via subordinata, con il ricorso n. 91 del 2006, in
riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione);
4) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4
del 2006, nel testo originario, promosse dal Presidente del Consiglio dei
ministri con il ricorso n. 91 del 2006, in riferimento
all’art. 8, lettera i) (nel testo anteriore a quello sostituito dal comma 834
dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296), dello statuto della Regione
Sardegna e agli artt. 3 e 53 Cost.;
5) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4
del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione
Sardegna n. 2 del 2007, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con
il ricorso n. 36 del 2007, in riferimento ai parametri
evocati in relazione ai denunciati artt. 3 e 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, quali
sostituiti dall’art. 3, commi 1 e 2, della legge della Regione Sardegna, n. 2 del
2007, agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e
120 Cost., nonché all’art. 3
di un non specificato testo normativo;
6) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4
del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione
Sardegna n. 2 del 2007, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con
il ricorso n. 36 del 2007, in riferimento agli artt. 1, 3, 8, lettera h) (quale
sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006), dello
statuto della Regione Sardegna e agli artt. 3 e 53 Cost.;
7) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della Regione Sardegna n. 2
del 2007, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso n.
36 del 2007, in riferimento all’art. 8, lettera h)
(quale sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006), dello
statuto della Regione Sardegna, all’art. 3 Cost. e all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 12
e 49 del Trattato CE;
8) dispone la separazione del giudizio
concernente la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge
della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma
3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, promossa dal Presidente
del Consiglio dei ministri con il ricorso n. 36 del 2007, in
riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in
relazione agli artt. 3, lettera
g), 10, 49, 81 e 87 del Trattato CE, e riguardante l’assoggettamento a
tassazione delle imprese esercenti aeromobili o unità da diporto;
9) riserva alla separata ordinanza n. 103 del
2008 di sottoporre alla Corte di giustizia CE, in via pregiudiziale ai sensi
dell’art. 234 del Trattato CE, le seguenti questioni di interpretazione
degli artt. 49 e 87 dello stesso Trattato:
a) se l’art. 49 del Trattato debba essere
interpretato nel senso che osti all’applicazione di una norma, quale quella
prevista dall’art. 4 della legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4
(Disposizioni varie in materia di entrate,
riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), nel testo
sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna 29 maggio
2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
della Regione – Legge finanziaria 2007), secondo la quale l’imposta regionale
sullo scalo turistico degli aeromobili grava sulle sole imprese che hanno
domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti
aeromobili da esse stesse utilizzati per il trasporto di persone nello
svolgimento di attività di aviazione generale d’affari;
b) se lo stesso art. 4 della legge della
Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3,
della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, nel prevedere che l’imposta
regionale sullo scalo turistico degli aeromobili grava sulle sole imprese che
hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della
Regione Sardegna esercenti aeromobili da esse stesse utilizzati per il
trasporto di persone nello svolgimento di attività di aviazione generale
d’affari, configuri – ai sensi dell’art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato
alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel
territorio della Regione Sardegna;
c) se l’art. 49 del Trattato debba essere
interpretato nel senso che osti all’applicazione di una norma, quale quella
prevista dallo stesso art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006,
nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna
n. 2 del 2007, secondo la quale l’imposta regionale sullo scalo turistico delle
unità da diporto grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità
da diporto la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione
di terzi tali unità;
d) se lo stesso art. 4 della legge della
Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3,
della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, nel prevedere che l’imposta
regionale sullo scalo turistico delle unità da diporto grava sulle sole imprese
che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della
Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività imprenditoriale
consiste nel mettere a disposizione di terzi tali unità, configuri – ai sensi
dell’art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato alle imprese che svolgono la
stessa attività con domicilio fiscale nel territorio della Regione Sardegna;
10) riserva all’ordinanza di cui al punto
precedente di sospendere il giudizio, come sopra separato, sino alla
definizione di dette questioni pregiudiziali.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 febbraio
2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2008.
ANNO
2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO
“
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
ha
pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione
Sardegna 11 maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di entrate,
riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), nel testo
sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna 29 maggio
2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
della Regione – Legge finanziaria 2007), promosso con ricorso del Presidente
del Consiglio dei ministri, notificato il 2 agosto 2007, depositato in
cancelleria il 7 agosto successivo ed iscritto al n. 36 del registro ricorsi
2007.
Visto l’atto di costituzione della
Regione Sardegna;
udito
nell’udienza pubblica del 12 febbraio 2008 il giudice relatore Franco Gallo;
uditi
l’avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri
e gli avvocati Graziano Campus e Paolo Carrozza per la Regione Sardegna.
Ritenuto
che, con i ricorsi n. 91 del 2006 e n. 36 del 2007, il Presidente del Consiglio
dei ministri ha promosso, nei confronti della Regione Sardegna, questioni di
legittimità costituzionale: a) degli artt.
2, 3 e 4 della legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4 (Disposizioni
varie in materia di entrate, riqualificazione della
spesa, politiche sociali e di sviluppo), sia nel testo originario sia nel testo
sostituito, rispettivamente, dai commi 1, 2 e 3 dell’art. 3 della legge reg. 29
maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2007); b) dell’art. 5 della
citata legge reg. n. 2 del 2007;
che
ciascuno degli articoli denunciati stabilisce e disciplina un particolare
tributo regionale;
che
i giudizi promossi con i suddetti ricorsi sono stati riuniti per essere
congiuntamente trattati e decisi;
che,
per quanto qui rileva, con il ricorso n. 36 del 2007 è stato censurato l’art. 4
della legge reg. n. 4 del 2006, nel testo sostituito
dall’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007,
istitutivo dell’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e
delle unità da diporto;
che
tale censura, relativa alle imprese, è stata sollevata con riferimento a
diversi parametri costituzionali e, in particolare, all’art. 117, primo comma,
della Costituzione, per violazione delle norme del Trattato CE relative alla
tutela della libera prestazione dei servizi (art. 49), alla tutela della
concorrenza (art. 81 «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10»), e al divieto
di aiuti di Stato (art. 87);
che
il ricorrente richiede, in proposito, che sia effettuato il rinvio
pregiudiziale di cui all’art. 234 del Trattato CE;
che,
con sentenza n. 102 del 2008, depositata in data odierna nei due giudizi
riuniti, questa Corte ha deciso le questioni di legittimità costituzionale
promosse con il ricorso n. 91 del 2006 e parte di quelle promosse con il
ricorso n. 36 del 2007;
che,
in particolare, quanto all’imposta regionale sullo scalo turistico degli
aeromobili e delle unità da diporto denunciata con quest’ultimo ricorso, con la
indicata sentenza sono state dichiarate inammissibili o non fondate le
questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento a parametri
costituzionali diversi dal primo comma dell’art. 117 Cost.;
che,
con la stessa sentenza, è stata altresí disposta la
separazione del giudizio concernente la questione di legittimità costituzionale
della suddetta imposta regionale sullo scalo turistico promossa con riferimento
al primo comma dell’art. 117 Cost. e relativa all’assoggettamento a tassazione
delle imprese esercenti aeromobili o unità da diporto.
Considerato che,
nell’àmbito del giudizio di legittimità
costituzionale promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il
ricorso n. 36 del 2007, quale separato con la menzionata sentenza di questa
Corte depositata in data odierna, si pongono in via pregiudiziale dubbi di interpretazione della normativa comunitaria evocata dal
ricorrente come elemento integrativo del parametro di cui al primo comma
dell’art. 117 della Costituzione;
che,
al riguardo, è opportuno tratteggiare preliminarmente il quadro normativo utile
per una migliore comprensione dei suddetti problemi interpretativi;
che,
quanto al quadro normativo interno:
– 1) l’art. 11 Cost.
cosí dispone:
«L’Italia
[…] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra
le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a
tale scopo.»;
– 2) l’art. 117,
primo comma, Cost., evocato
quale parametro di costituzionalità, cosí dispone:
«La potestà
legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della
Costituzione, nonché dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.»;
– 3) l’art. 8 della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale della Regione
Sardegna), nel testo modificato dal comma 834
dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006 n. 296, cosí
dispone:
«Le entrate della
regione sono costituite:
a) dai sette decimi
del gettito delle imposte sul reddito delle persone
fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse nel territorio della
regione;
b) dai nove decimi
del gettito delle imposte sul bollo, di registro, ipotecarie, sul consumo
dell’energia elettrica e delle tasse sulle concessioni governative percette nel territorio della regione;
c) dai cinque decimi
delle imposte sulle successioni e donazioni riscosse nel territorio della
regione;
d) dai nove decimi
dell’imposta di fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta nel territorio della regione;
e) dai nove decimi
della quota fiscale dell’imposta erariale di consumo relativa
ai prodotti dei monopoli dei tabacchi consumati nella regione;
f) dai nove decimi
del gettito dell’imposta sul valore aggiunto generata sul territorio regionale da
determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie rilevati
annualmente dall’ISTAT;
g) dai canoni per le
concessioni idroelettriche;
h) da imposte e
tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facoltà di
istituire con legge in armonia con i princípi del sistema tributario dello
Stato;
i) dai redditi
derivanti dal proprio patrimonio e dal proprio demanio;
l) da contributi
straordinari dello Stato per particolari piani di opere
pubbliche e di trasformazione fondiaria;
m) dai sette decimi
di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque
denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici.
Nelle entrate
spettanti alla regione sono comprese anche quelle che, sebbene relative a
fattispecie tributarie maturate nell’ambito regionale, affluiscono, in
attuazione di disposizioni legislative o per esigenze amministrative, ad uffici
finanziari situati fuori del territorio della regione.»;
– 4) il censurato
art. 4 della legge reg. n. 4 del 2006, quale sostituito
dall’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007, cosí dispone:
«(Imposta regionale
sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto)
1. A decorrere
dall’anno 2006 è istituita l’imposta regionale sullo scalo turistico degli
aeromobili e delle unità da diporto.
2. Presupposto
dell’imposta sono:
a) lo scalo negli
aerodromi del territorio regionale degli aeromobili dell’aviazione
generale di cui all’articolo 743 e seguenti del Codice della navigazione
adibiti al trasporto privato di persone nel periodo compreso dal 1° giugno al
30 settembre;
b) lo scalo nei
porti, negli approdi e nei punti di ormeggio ubicati
nel territorio regionale e nei campi di ormeggio attrezzati ubicati nel mare
territoriale lungo le coste della Sardegna delle unità da diporto di cui al
decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171 (Codice della nautica da diporto) o
comunque delle unità utilizzate a scopo di diporto, di lunghezza superiore ai
14 metri, misurate secondo le norme armonizzate EN/ISO/DIS 8666, ai sensi
dell’articolo 3, lettera b) del citato decreto legislativo, nel periodo
compreso dal 1° giugno al 30 settembre.
3. Soggetto passivo
dell’imposta è la persona fisica o giuridica avente domicilio fiscale fuori dal territorio regionale che assume l’esercizio
dell’aeromobile ai sensi degli articoli 874 e seguenti del Codice della
navigazione, o che assume l’esercizio dell’unità da diporto ai sensi degli
articoli 265 e seguenti del Codice della navigazione.
4. L’imposta
regionale di cui al comma 2, lettera a) è dovuta per
ogni scalo, quella di cui al comma 2, lettera b) è dovuta annualmente.
5. L’imposta è
stabilita nella seguente misura:
a)
euro 150 per gli aeromobili abilitati fino al trasporto di quattro passeggeri;
b)
euro 400 per gli aeromobili abilitati al trasporto da cinque a dodici
passeggeri;
c) euro 1.000 per
gli aeromobili abilitati al trasporto di oltre dodici passeggeri;
d) euro 1.000 per le
imbarcazioni di lunghezza compresa tra 14 e 15,99 metri;
e)
euro 2.000 per le imbarcazioni di lunghezza compresa tra 16 e 19,99 metri;
f) euro 3.000 per le
imbarcazioni di lunghezza compresa tra 20 e 23,99 metri;
g) euro 5.000 per le
navi di lunghezza compresa tra 24 e 29,99 metri;
h) euro 10.000 per
le navi di lunghezza compresa tra 30 e 60 metri;
i)
euro 15.000 per le navi di lunghezza superiore ai 60 metri.
Per le unità a vela
con motore ausiliario e per i motorsailer l’imposta è
ridotta del 50 per cento.
6. Sono esenti
dall’imposta:
a)
le imbarcazioni che fanno scalo per partecipare a regate di carattere sportivo,
a raduni di barche d’epoca, di barche monotipo ed a manifestazioni veliche,
anche non agonistiche, il cui evento sia stato preventivamente comunicato
all’Autorità marittima da parte degli organizzatori; dell’avvenuta
comunicazione deve essere data notizia all’ARASE, prima dell’approdo;
b) le unità da
diporto che sostano tutto l’anno nelle strutture portuali regionali;
c)
la sosta tecnica, limitatamente al tempo necessario per l’effettuazione della stessa.
Con specifico
provvedimento dell’ARASE sono indicate le modalità di
certificazione delle cause di esenzione.
7. L’imposta è
versata:
a) all’atto dello
scalo per gli aeromobili di cui al comma 2, lettera
a);
b) entro 24 ore
dall’arrivo delle unità da diporto nei porti, negli approdi, nei punti e nei
campi d’ormeggio ubicati lungo le coste della Sardegna;
mediante
modalità da stabilirsi con provvedimento dell’ARASE.
8. La riscossione
del tributo può essere affidata dall’ARASE mediante:
a) stipula di apposite convenzioni con soggetti terzi;
b) stipula di apposite convenzioni a soggetti che gestiscono gli
aeroporti, i porti, gli approdi, i punti e i campi di ormeggio ubicati lungo le
coste regionali, con riconoscimento di un aggio pari al 5 per cento
dell’imposta riscossa.
9. I soggetti
gestori di cui al comma 8 che accedono alla
convenzione di riscossione provvedono, con le modalità previste dal
provvedimento dell’ARASE, al riversamento alla Tesoreria regionale del tributo percetto, al netto degli eventuali aggi ad essi spettanti.
Con il predetto provvedimento sono altresí
disciplinate le caratteristiche degli eventuali moduli e precisati i dati che
negli stessi devono essere riportati per individuare le unità da diporto.
10. I soggetti
gestori delle strutture portuali ed aeroportuali che accedono
alle convenzioni di cui al comma 8 sono obbligati a verificare il corretto
adempimento dell’obbligazione tributaria. Entro il 31 ottobre di ciascun anno
sono obbligati a presentare all’Assessorato regionale competente in materia di entrate un rendiconto amministrativo delle somme
incassate secondo le modalità previste con deliberazione della Giunta
regionale.
11. I soggetti che
gestiscono gli aeroporti, i porti, gli approdi, i punti e i campi di ormeggio ubicati lungo le coste regionali sono tenuti a
comunicare all’Assessorato regionale del turismo, artigianato e commercio, a
fini statistici, i movimenti registrati nelle strutture di rispettiva
pertinenza. Con successivo provvedimento dell’Assessore regionale del turismo,
artigianato e commercio, sono disciplinate le modalità
di trasmissione degli elementi conoscitivi necessari alle indagini
statistiche.»;
– 5) gli artt. 265, 266, da 272 a 274, da 743 a 746 da 874 a 876 del
codice della navigazione, cosí dispongono:
«Art.
265
(Dichiarazione di armatore)
Chi assume l’esercizio di una nave deve preventivamente fare
dichiarazione di armatore all’ufficio di iscrizione della nave o del
galleggiante.
Quando l’esercizio
non è assunto dal proprietario, se l’armatore non vi provvede, la dichiarazione può essere fatta dal proprietario.
Quando l’esercizio è
assunto dai comproprietari mediante costituzione di società di
armamento, le formalità, di cui agli articoli 279, 282 secondo comma,
tengono luogo della dichiarazione di armatore.»;
«Art.
266
(Dichiarazione di armatore per le navi addette alla navigazione interna)
Per l’esercizio
delle navi addette alla navigazione interna, l’annotazione dell’atto di concessione
o di autorizzazione per il servizio di trasporto o di
rimorchio, nei registri d’iscrizione della nave, tiene luogo della
dichiarazione di armatore.»;
«Art.
272
(Presunzione di armatore)
In mancanza della
dichiarazione di armatore debitamente resa pubblica,
armatore si presume il proprietario fino a prova contraria.»;
«Art.
273
(Nomina di
comandante della nave)
L’armatore nomina il
comandante della nave e può in ogni momento dispensarlo dal comando.»;
«Art.
274
(Responsabilità
dell’armatore)
L’armatore è
responsabile dei fatti dell’equipaggio e delle obbligazioni contratte dal
comandante della nave per quanto riguarda la nave e la spedizione.
Tuttavia l’armatore
non risponde dell’adempimento da parte del comandante degli obblighi di assistenza e salvataggio previsti dagli articoli 489,
490, né degli altri obblighi che la legge impone al comandante quale capo della
spedizione.»;
«Art.
743
(Nozione di aeromobile)
Per aeromobile si intende ogni macchina destinata al trasporto per aria di
persone o cose.
Sono altresí considerati aeromobili i mezzi aerei a pilotaggio
remoto, definiti come tali dalle leggi speciali, dai regolamenti dell’ENAC e,
per quelli militari, dai decreti del Ministero della difesa.
Le distinzioni degli
aeromobili, secondo le loro caratteristiche tecniche, e secondo il loro
impiego, sono dall’ENAC con propri regolamenti e, comunque,
dalla normativa speciale in materia.
Agli apparecchi
costruiti per il volo da diporto o sportivo, compresi nei limiti indicati
nell’allegato annesso alla legge 25 marzo 1985, n. 106, non si applicano le
disposizioni del libro primo della parte seconda del
presente codice.»;
«Art.
744
(Aeromobili di Stato
e aeromobili privati)
Sono aeromobili di
Stato gli aeromobili militari e quelli, di proprietà dello Stato, impiegati in
servizi istituzionali delle Forze di polizia dello
Stato, della Dogana, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, del Dipartimento
della protezione civile o in altro servizio di Stato.
Tutti gli altri
aeromobili sono considerati privati.
Salvo che non sia
diversamente stabilito da convenzioni internazionali, agli effetti della
navigazione aerea internazionale sono considerati privati anche gli aeromobili
di Stato, ad eccezione di quelli militari, di dogana, di polizia e del Corpo
nazionale dei vigili del fuoco.
Sono equiparati agli
aeromobili di Stato gli aeromobili utilizzati da soggetti pubblici o privati,
anche occasionalmente, per attività dirette alla tutela della sicurezza
nazionale.»;
«Art.
745
(Aeromobili
militari)
Sono militari gli
aeromobili considerati tali dalle leggi speciali e comunque
quelli, progettati dai costruttori secondo caratteristiche costruttive di tipo
militare, destinati ad usi militari.
Gli aeromobili
militari sono ammessi alla navigazione, certificati ed immatricolati nei
registri degli aeromobili militari dal Ministero della difesa.»;
«Art.
746
(Aeromobili
equiparati a quelli di Stato)
Salvo quanto
disposto dell’ articolo 744, quarto comma, il
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti può, con proprio provvedimento,
equiparare agli aeromobili di Stato quegli aeromobili che, pur appartenendo a
privati ed essendo da questi esercitati, siano adibiti a un servizio di Stato
di carattere non commerciale.
Il provvedimento
stabilisce limiti e modalità dell’equiparazione ed
indica la categoria di aeromobile di Stato cui essa si riferisce.
L’equiparazione
rende applicabili le disposizioni relative alla
categoria cui essa si riferisce e le altre disposizioni indicate nel
provvedimento.
Con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri sono stabiliti i criteri e le modalità per l’attribuzione della qualifica di volo e di
Stato all’attività di volo esercitata nell’interesse delle autorità e delle
istituzioni pubbliche.»;
«Art.
874
(Dichiarazione di esercente)
Chi assume l’esercizio di un aeromobile deve preventivamente farne
dichiarazione all’Enac, nelle forme e con le modalità
prescritte negli articoli 268 a 270.
Quando l’esercizio
non è assunto dal proprietario, se l’esercente non provvede, la dichiarazione può essere fatta dal proprietario.»;
«Art.
875
(Pubblicità della
dichiarazione)
La dichiarazione di esercente deve essere trascritta nel registro aeronautico
nazionale ed annotata sul certificato di immatricolazione.
L’annotazione sul
certificato di immatricolazione è fatta dall’autorità
competente del luogo nel quale l’aeromobile si trova o verso il quale è
diretto, previa comunicazione da parte dell’ufficio che tiene il registro
aeronautico nazionale.
In caso di
discordanza fra la trascrizione nel registro l’annotazione
sul certificato di immatricolazione, prevalgono le risultanze del registro.»;
«Art.
876
(Presunzione di esercente)
In mancanza della
dichiarazione di esercente, debitamente resa pubblica,
esercente si presume il proprietario fino a prova contraria.»;
– 6) gli artt. 58 e 59 del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento
delle imposte sui redditi), cosí dispongono:
«Art.
58
(Domicilio fiscale)
Agli effetti
dell’applicazione delle imposte sui redditi ogni soggetto si intende
domiciliato in un comune dello Stato, giusta le disposizioni seguenti.
Le persone fisiche
residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune
della cui anagrafe sono iscritte. Quelle non residenti
hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si è prodotto il reddito o, se il
reddito è prodotto in più comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito
più elevato. I cittadini italiani, che risiedono all’estero in forza di un
rapporto di servizio con la pubblica amministrazione nonché
quelli considerati residenti ai sensi dell’articolo 2, comma 2-bis, del testo
unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, hanno il domicilio fiscale nel comune di
ultima residenza nello Stato.
I soggetti diversi
dalle persone fisiche hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si trova la
loro sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa; se anche questa
manchi, essi hanno il domicilio fiscale nel comune ove è stabilita una sede
secondaria o una stabile organizzazione e in mancanza nel comune in cui
esercitano prevalentemente la loro attività.
In tutti gli atti,
contratti, denunzie e dichiarazioni che vengono
presentati agli uffici finanziari deve essere indicato il comune di domicilio
fiscale delle parti, con la precisazione dell’indirizzo.
Le cause di
variazione del domicilio fiscale hanno effetto dal sessantesimo giorno
successivo a quello in cui si sono verificate.»;
«Art.
59
(Domicilio fiscale
stabilito dall’amministrazione)
L’amministrazione
finanziaria può stabilire il domicilio fiscale del soggetto, in deroga alle
disposizioni dell’articolo precedente, nel comune dove il soggetto stesso
svolge in modo continuativo la principale attività
ovvero, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, nel comune in cui è
stabilita la sede amministrativa.
Quando concorrono
particolari circostanze la amministrazione finanziaria
può consentire al contribuente, che ne faccia motivata istanza, che il suo
domicilio fiscale sia stabilito in un comune diverso da quello previsto
dall’articolo precedente.
Competente
all’esercizio delle facoltà indicate nei precedenti commi è l’intendente di
finanza o il Ministro per le finanze a seconda che il provvedimento importi lo
spostamento del domicilio fiscale nell’ambito della stessa provincia o in altra
provincia.
Il provvedimento è
in ogni caso definitivo, deve essere motivato e notificato all’interessato ed
ha effetto dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stato
notificato.»;
– 7) gli artt. 1, 2 e 3 del d.lgs. 18 luglio 2005, n. 171 (Codice della nautica da
diporto ed attuazione della direttiva 2003/44/CE, a norma dell’articolo 6 della
legge 8 luglio 2003, n. 172), cosí dispongono:
«Art.
1
(Finalità e àmbito di applicazione)
1. Le disposizioni
del presente decreto legislativo si applicano alla
navigazione da diporto.
2. Ai fini del
presente codice si intende per navigazione da diporto
quella effettuata in acque marittime ed interne a scopi sportivi o ricreativi e
senza fine di lucro.
3. Per quanto non
previsto dal presente codice, in materia di navigazione da diporto si applicano
le leggi, i regolamenti e gli usi di riferimento ovvero, in mancanza, le
disposizioni del codice della navigazione, approvato con regio decreto 30 marzo
1942, n. 327, e le relative norme attuative. Ai fini dell’applicazione delle
norme del codice della navigazione, le imbarcazioni da
diporto sono equiparate alle navi ed ai galleggianti di stazza lorda non
superiore alle dieci tonnellate, se a propulsione meccanica, ed alle
venticinque tonnellate, in ogni altro caso, anche se l’imbarcazione supera
detta stazza, fino al limite di ventiquattro metri.»;
«Art.
2
(Uso commerciale
delle unità da diporto)
1. L’unità da diporto
è utilizzata a fini commerciali quando:
a) è oggetto di
contratti di locazione e di noleggio;
b) è utilizzata per
l’insegnamento professionale della navigazione da diporto;
c) è utilizzata da
centri di immersione e di addestramento subacqueo come
unità di appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo sportivo o
ricreativo.
2. L’utilizzazione a
fini commerciali delle imbarcazioni e navi da diporto è annotata nei relativi
registri di iscrizione, con l’indicazione delle
attività svolte e dei proprietari o armatori delle unità, imprese individuali o
società, esercenti le suddette attività commerciali e degli estremi della loro
iscrizione, nel registro delle imprese della competente camera di commercio,
industria, artigianato ed agricoltura. Gli estremi dell’annotazione sono
riportati sulla licenza di navigazione.
3. Qualora le
attività di cui al comma 1 siano svolte con unità da
diporto battenti bandiera di uno dei Paesi dell’Unione europea, l’esercente
presenta all’autorità marittima o della navigazione interna con giurisdizione
sul luogo in cui l’unità abitualmente staziona una dichiarazione contenente le
caratteristiche dell’unità, il titolo che attribuisce la disponibilità della
stessa, nonché gli estremi della polizza assicurativa a garanzia delle persone
imbarcate e di responsabilità civile verso terzi e della certificazione di
sicurezza in possesso. Copia della dichiarazione, timbrata e vistata dalla
predetta autorità, deve essere mantenuta a bordo.
4. Le unità da
diporto di cui al comma 1, lettera a), possono essere
utilizzate esclusivamente per le attività a cui sono adibite.»;
«Art.
3
(Unità da diporto)
1. Le costruzioni
destinate alla navigazione da diporto sono denominate:
a) unità da diporto:
si intende ogni costruzione di qualunque tipo e con
qualunque mezzo di propulsione destinata alla navigazione da diporto;
b) nave da diporto: si intende ogni unità con scafo di lunghezza superiore a
ventiquattro metri, misurata secondo le norme armonizzate EN/ISO/DIS 8666 per
la misurazione dei natanti e delle imbarcazioni da diporto;
c) imbarcazione da
diporto: si intende ogni unità con scafo di lunghezza
superiore a dieci metri e fino a ventiquattro metri, misurata secondo le norme
armonizzate di cui alla lettera b);
d) natante da
diporto: si intende ogni unità da diporto a remi, o
con scafo di lunghezza pari o inferiore a dieci metri, misurata secondo le
norme armonizzate di cui alla lettera b).»;
che,
quanto al quadro normativo comunitario, oltre alle norme del Trattato CE
evocate dal ricorrente:
– 1) l’art. 2 del
Regolamento (CE) n. 2096/2005 della Commissione del 20 dicembre 2005, che
stabilisce requisiti comuni per la fornitura di servizi di navigazione aerea, cosí dispone:
«(Definizioni)
1. Ai fini del
presente regolamento si applicano le definizioni di
cui al regolamento (CE) n. 549/2004.
2. In aggiunta alle
definizioni di cui al paragrafo 1, si applicano le seguenti definizioni:
a) “lavoro aereo”:
l’operazione di un aeromobile utilizzato per servizi specialistici, quali ad
esempio servizi connessi con l’agricoltura, la costruzione, la fotografia, i
rilevamenti topografici, le ricognizioni nonché le
attività di pattugliamento, ricerca e salvataggio, o servizi di pubblicità
aerea;
b) “trasporto aereo
commerciale”: qualsiasi operazione di un aeromobile che comporta il trasporto
di passeggeri, merci e posta effettuata dietro compenso o mediante noleggio;
[…]
d)
“aviazione generale”: tutte le operazioni di un aeromobile nel settore
dell’aviazione civile diverse dal trasporto aereo commerciale e dal lavoro
aereo; […].»;
– 2) il numero 11)
dell’allegato al Regolamento (CE) n. 2320/2002 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 16 dicembre 2002, che istituisce norme comuni per la sicurezza
dell’aviazione civile, contiene la seguente definizione:
«11)
“Aviazione generale”: l’attività di volo di linea o non di linea non offerta o
messa a disposizione del pubblico.»;
– 3) l’art. 2,
lettera l), del Regolamento (CEE) n. 95/93 del Consiglio del 18 gennaio 1993,
relativo a norme comuni per l’assegnazione di bande orarie negli aeroporti
della Comunità, contiene la seguente definizione:
«l) “aviazione
d’affari”, il settore dell’aviazione generale che concerne l’esercizio o
l’impiego di aeromobili da parte di imprese per il
trasporto di passeggeri o merci a titolo ausiliario all’esercizio della loro
attività, a fini che in genere non rientrano nelle attività di pubblico
noleggio, e pilotati da persone che sono quantomeno titolari di una licenza
valida di pilota commerciale con un’abilitazione al volo strumentale.»;
che,
quanto all’ammissibilità dell’evocazione, nei giudizi promossi in via
principale davanti a questa Corte sulla legittimità costituzionale di leggi
regionali, di norme comunitarie quali elementi integrativi del parametro di
costituzionalità di cui all’art. 117, primo comma, Cost.,
va rilevato che l’ammissibilità consegue alla particolare natura di tali
giudizi;
che,
al riguardo, va premesso che, ratificando i Trattati comunitari, l’Italia è
entrata a far parte dell’ordinamento comunitario, e cioè di un ordinamento
giuridico autonomo, integrato e coordinato con quello interno, ed ha
contestualmente trasferito, in base all’art. 11 Cost.,
l’esercizio di poteri anche normativi (statali, regionali o delle Province
autonome) nei settori definiti dai Trattati medesimi;
che
le norme dell’ordinamento comunitario vincolano in vario modo il legislatore
interno, con il solo limite dell’intangibilità dei princípi fondamentali
dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inviolabili dell’uomo garantiti
dalla Costituzione (ex multis, sentenze nn. 349, 348 e 284 del 2007; n. 170 del
1984);
che,
nei giudizi davanti ai giudici italiani, tale vincolo opera con diverse
modalità, a seconda che il giudizio penda davanti al giudice comune ovvero
davanti alla Corte costituzionale a séguito di ricorso proposto in via
principale;
che,
nel caso di giudizio pendente davanti al giudice comune, a quest’ultimo è
precluso di applicare le leggi nazionali (comprese le leggi regionali), ove le
ritenga non compatibili con norme comunitarie aventi efficacia diretta;
che
detto giudice, al fine dell’interpretazione delle pertinenti norme comunitarie,
necessaria per l’accertamento della conformità della norme interne con
l’ordinamento comunitario, si avvale, all’occorrenza, del rinvio pregiudiziale
alla Corte di giustizia CE di cui all’art. 234 del Trattato CE;
che
nel caso, come quello di specie, in cui il giudizio pende davanti alla Corte
costituzionale a séguito di ricorso proposto in via principale dallo Stato e ha
ad oggetto la legittimità costituzionale di una norma regionale per
incompatibilità con le norme comunitarie, queste ultime «fungono da norme
interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità
della normativa regionale all’art. 117, primo comma, Cost.» (sentenze n. 129
del 2006; n. 406 del 2005; n. 166 e n. 7 del 2004) o, più precisamente, rendono
concretamente operativo il parametro costituito dall’art. 117, primo comma,
Cost. (come chiarito, in generale, dalla sentenza n. 348 del 2007), con
conseguente declaratoria di illegittimità
costituzionale della norma regionale giudicata incompatibile con tali norme
comunitarie;
che,
in relazione alle leggi regionali, questi due diversi modi di operare delle
norme comunitarie corrispondono alle diverse caratteristiche dei giudizi:
davanti al giudice comune deve applicarsi la legge la cui conformità
all’ordinamento comunitario deve essere da lui preliminarmente valutata;
davanti alla Corte costituzionale adíta in via
principale, invece, la valutazione di detta conformità si risolve, per il
tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., in un
giudizio di legittimità costituzionale, con la conseguenza che, in caso di
riscontrata difformità, la Corte non procede alla disapplicazione
della legge, ma ne dichiara l’illegittimità costituzionale con efficacia erga omnes;
che,
pertanto, l’assunzione della normativa comunitaria quale elemento integrante il
parametro di costituzionalità costituisce la precondizione
necessaria per instaurare, in via di azione, il giudizio di legittimità
costituzionale della legge regionale che si assume essere in contrasto con
l’ordinamento comunitario;
che,
dunque, la censura in esame è ammissibile, perché le norme comunitarie sono
state evocate nel presente giudizio di legittimità costituzionale quale
elemento integrante il parametro di costituzionalità costituito dall’art. 117,
primo comma, Cost.;
che,
quanto ai limiti entro cui il diritto comunitario può essere preso in
considerazione come elemento integrativo del parametro costituzionale evocato
nel presente giudizio, va osservato che, in forza del combinato disposto degli artt. 23, 27 e 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87 –
secondo cui, nei giudizi in via principale, la Corte costituzionale dichiara
quali sono le disposizioni legislative illegittime, nei limiti dei parametri
costituzionali e dei motivi di censura indicati nel ricorso –, questa Corte può
esaminare esclusivamente le violazioni denunciate dal ricorrente, riguardanti
gli artt. 49, 81, «coordinato con
gli art. 3, lett. g) e 10», e 87 del Trattato CE;
che,
quanto all’applicabilità della norma censurata alle imprese, va premesso che
l’art. 4 della legge reg. n. 4 del 2006, nel testo sostituito
dall’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007 (con effetto dal 31
maggio 2007, ai sensi dell’art. 37 di quest’ultima legge), istituisce, a
decorrere dall’anno 2006, l’«imposta regionale sullo scalo turistico degli
aeromobili e delle unità da diporto», applicabile, nel periodo dal 1° giugno al
30 settembre, alle persone fisiche o giuridiche aventi domicilio fiscale fuori dal territorio regionale che assumono l’esercizio
dell’aeromobile o dell’unità da diporto (con l’esenzione dall’imposta: a. delle imbarcazioni che vengono in Sardegna per partecipare
a regate di carattere sportivo, a raduni di barche d’epoca, di barche monotipo
ed a manifestazioni veliche, anche non agonistiche, il cui evento sia stato
preventivamente comunicato all’Autorità marittima da parte degli organizzatori;
b. per la sosta tecnica degli aeromobili e delle
imbarcazioni, limitatamente al tempo necessario per l’effettuazione della
stessa; c. per le unità da diporto che sostano tutto l’anno nelle strutture
portuali regionali);
che,
in forza dello stesso articolo, l’imposta è dovuta: 1) per ogni scalo negli
aerodromi del territorio regionale degli aeromobili dell’aviazione generale
adibiti al trasporto privato di persone, per classi determinate in relazione al
numero dei passeggeri che tali aeromobili sono abilitati a trasportare; 2)
annualmente, per lo scalo nei porti, negli approdi e nei punti di ormeggio
ubicati nel territorio regionale e nei campi d’ormeggio attrezzati ubicati nel
mare territoriale lungo le coste della Sardegna delle unità da diporto di cui
al codice della nautica da diporto (decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171)
e, comunque, delle unità utilizzate a scopo di diporto, per classi di
lunghezza, a partire da 14 metri;
che,
pertanto, la suddetta imposta regionale sullo scalo si applica anche alle
imprese esercenti unità da diporto (o, comunque, utilizzate a scopo di diporto)
non fiscalmente domiciliate in Sardegna e, in particolare, alle imprese la cui
attività imprenditoriale consiste nel mettere dette unità a disposizione di
terzi;
che
l’imposta si applica, altresí, alle imprese esercenti
«aeromobili dell’aviazione generale […] adibiti al trasporto privato di
persone», cioè (come rilevato nella citata sentenza di questa Corte, depositata
in data odierna) alle imprese che effettuano operazioni di trasporto aereo
(diverse dal «lavoro aereo»), senza compenso, e, quindi, nell’àmbito della cosiddetta “aviazione generale di affari”,
definita dal menzionato art. 2, lettera l), del Regolamento (CEE) n. 95/93,
come attività di aviazione generale effettuata dall’esercente con trasporto
senza remunerazione per motivi attinenti alla propria attività di impresa;
che,
quanto alle prospettate questioni pregiudiziali di interpretazione del diritto
comunitario, questa Corte ritiene opportuno sollevare questioni pregiudiziali
davanti alla Corte di giustizia CE ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE
esclusivamente con riguardo alle violazioni degli artt.
49 e 87 del Trattato CE, riservando al prosieguo del
giudizio ogni decisione sull’asserita violazione dell’ art. 81 «coordinato con
gli art. 3, lett. g) e 10»;
che,
quanto alla non manifesta infondatezza delle suddette questioni pregiudiziali
con riferimento all’applicazione dell’imposta regionale sullo scalo turistico
alle imprese non aventi domicilio fiscale in Sardegna, la denunciata norma,
nell’assoggettare a tassazione le imprese non aventi domicilio fiscale in
Sardegna, sembra creare una discriminazione rispetto alle imprese che, pur
svolgendo la stessa attività, non sono tenute al pagamento del tributo per il
solo fatto di avere domicilio fiscale nella Regione;
che,
infatti, per le imprese non aventi domicilio fiscale in Sardegna – con riguardo
tanto all’ampio mercato dell’utilizzazione commerciale delle unità da diporto,
quanto al più ristretto mercato delle imprese che effettuano direttamente
trasporti aerei aziendali di persone senza remunerazione – può ipotizzarsi che
l’applicazione della censurata imposta regionale dia luogo a un aggravio
selettivo del costo dei servizi resi, che assume rilevanza per l’ordinamento
comunitario sia come restrizione alla libera prestazione dei servizi (art. 49
del Trattato CE), sia come aiuto di Stato alle imprese con domicilio fiscale in
Sardegna (art. 87 del Trattato CE), con effetti discriminatori e distorsivi della concorrenza;
che,
tuttavia, potrebbe in contrario addursi – come fa la Regione resistente – che
le norme comunitarie evocate dal ricorrente non ostano alla tassazione delle
sole imprese non aventi domicilio fiscale in Sardegna, perché queste imprese,
nell’effettuare lo scalo, fruiscono, al pari delle imprese con domicilio
fiscale nella Regione, dei servizi pubblici regionali e locali, ma, a
differenza di queste ultime, non concorrono al finanziamento di tali servizi
con il pagamento dei già esistenti tributi;
che,
secondo la stessa Regione, questa giustificazione del prelievo regionale
sarebbe rafforzata da quella fondata sulla necessità di compensare, attraverso
la tassazione delle imprese fiscalmente non domiciliate in Sardegna, i maggiori
costi sostenuti dalle imprese ivi domiciliate, in ragione delle peculiarità geografiche
ed economiche legate al carattere insulare della Regione stessa;
che
le due suddette giustificazioni traggono fondamento da circostanze attinenti
alla sostenibilità dello sviluppo turistico regionale e dall’esigenza di
riequilibrare la situazione economica dei soggetti “non residenti” rispetto a
quella dei soggetti “residenti”;
che,
secondo questa Corte, le medesime giustificazioni non tengono, tuttavia, conto
né del fatto che l’insularità non appare, di per sé, un elemento idoneo a
incrementare i costi sostenuti dalle imprese con riferimento allo scalo
turistico, né soprattutto del fatto che la circostanza di far partecipare –
attraverso l’applicazione dell’imposta oggetto di censura – l’imprenditore non
avente domicilio fiscale in Sardegna ai costi aggiuntivi determinati dal
turismo potrebbe non essere sufficiente a rendere inoperante, nella specie, il
principio comunitario di non discriminazione e, conseguentemente, inapplicabili
le connesse disposizioni del Trattato CE sulla libertà di prestazione di
servizi e sul divieto di aiuti di Stato;
che
tale principio è, infatti, di generale applicazione nell’ordinamento interno e
fornisce una tutela delle imprese “non residenti” – sotto il profilo della
concorrenza e delle libertà economiche fondamentali –, la cui delimitazione è
rimessa non a regole di diritto interno, ma al diritto comunitario, quale
interpretato dalla Corte di giustizia CE anche con riferimento ad “enti infrastatali” che, come la Regione resistente, sono dotati
di autonomia statutaria, normativa e finanziaria (Corte di giustizia, sentenza
6 settembre 2006, C-88/03, Repubblica portoghese c. Commissione);
che
la Corte di giustizia CE, in più occasioni, si è occupata di fattispecie
analoghe alla denunciata imposta di scalo, affermando la sussistenza di una
restrizione alla libera prestazione dei servizi nel caso in cui una determinata
misura renda le prestazioni transfrontaliere più onerose delle prestazioni
nazionali comparabili (sentenze 11 gennaio 2007, C-269/05, Commissione c.
Repubblica ellenica; 6 febbraio 2003, C-92/01, Stylianakis;
26 giugno 2001, C-70/99, Commissione c. Portogallo);
che,
tuttavia, i casi esaminati dalla Corte di giustizia non sono esattamente
corrispondenti a quello oggetto del presente giudizio, perché attengono a
tributi che discriminano tra voli nazionali e voli internazionali o tra voli
aventi percorrenza superiore e inferiore ad una determinata distanza o, ancora,
tra trasporti infranazionali ed internazionali, e,
pertanto, non viene direttamente in rilievo, in tali pronunce, una possibile
discriminazione – pur astrattamente rilevante per il diritto comunitario – tra
imprese aventi o no domicilio fiscale in una regione di uno Stato membro;
che,
per quanto attiene, poi, alla dedotta violazione dell’art. 87 del Trattato CE,
si pone anche il problema se il vantaggio economico concorrenziale derivante
alle suddette imprese “residenti” in Sardegna dal loro non assoggettamento
all’imposta regionale sullo scalo rientri nella nozione di aiuto di Stato,
considerato che detto vantaggio deriva non dalla concessione di una
agevolazione fiscale, ma indirettamente dal minor costo da esse sopportato
rispetto alle imprese “non residenti” (analogamente alla fattispecie, per
alcuni versi simile, esaminata dalla Corte di giustizia CE con la sentenza del
22 novembre 2001, C-53/00, Ferring SA);
che
il suddetto problema interpretativo prescinde, ovviamente, dalla valutazione
della compatibilità della misura di aiuto con il mercato comune, spettante alla
competenza esclusiva della Commissione CE, che agisce sotto il controllo dei
giudici comunitari;
che
sussiste, pertanto, un dubbio circa la corretta interpretazione – tra quelle
possibili – delle evocate disposizioni comunitarie, tale da rendere necessario
procedere al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art.
234 del Trattato CE, perché questa accerti: a) se l’art. 49 del Trattato debba
essere interpretato nel senso che osti all’applicazione della norma censurata
alle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della
Regione Sardegna esercenti aeromobili da loro stesse utilizzati per il
trasporto di persone nello svolgimento di attività di “aviazione generale
d’affari” (cioè trasporto senza remunerazione per motivi attinenti alla propria
attività d’impresa); b) se la norma censurata, nel prevedere che l’imposta
regionale sullo scalo turistico degli aeromobili grava sulle sole imprese che
hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti
aeromobili da esse stesse utilizzati per il trasporto di persone nello
svolgimento di attività di aviazione generale d’affari, configuri – ai sensi
dell’art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato alle imprese che svolgono la
stessa attività con domicilio fiscale nel territorio della Regione Sardegna; c)
se l’art. 49 del Trattato debba essere interpretato nel senso che osti
all’applicazione della norma censurata alle sole imprese che hanno domicilio
fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto
la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi
tali unità; d) se la norma censurata, nel prevedere che l’imposta regionale
sullo scalo turistico delle unità da diporto grava sulle sole imprese che hanno
domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità
da diporto la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione
di terzi tali unità, configuri – ai sensi dell’art. 87 del Trattato – un aiuto
di Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel
territorio della Regione Sardegna;
che,
quanto alla rilevanza delle questioni interpretative pregiudiziali, essa
sussiste, perché: a) l’interpretazione richiesta alla Corte di giustizia è
necessaria per pronunciare la sentenza di questa Corte, essendo le indicate
questioni interpretative ricomprese nell’oggetto del
giudizio di legittimità costituzionale proposto in via principale; b) la
fondatezza dei profili di illegittimità costituzionale dedotti dal ricorrente
con riferimento a questioni diverse da quelle oggetto della presente ordinanza
è stata già esclusa da questa Corte per le ragioni esposte nella sentenza n.
102 del 2008, depositata in data odierna, e, quindi, la legittimità
costituzionale della norma censurata non può essere scrutinata, in riferimento
all’art. 117, primo comma, Cost., senza che si
proceda alla valutazione della sua conformità al diritto comunitario;
che,
quanto alla sussistenza delle condizioni perché questa Corte sollevi davanti
alla Corte di giustizia CE questione pregiudiziale sull’interpretazione del
diritto comunitario, va osservato che la Corte costituzionale, pur nella sua
peculiare posizione di supremo organo di garanzia costituzionale
nell’ordinamento interno, costituisce una giurisdizione nazionale ai sensi
dell’art. 234, terzo paragrafo, del Trattato CE e, in particolare, una
giurisdizione di unica istanza (in quanto contro le sue decisioni – per il
disposto dell’ art. 137, terzo comma, Cost. – non è ammessa alcuna
impugnazione): essa, pertanto, nei giudizi di legittimità costituzionale
promossi in via principale è legittimata a proporre questione pregiudiziale
davanti alla Corte di giustizia CE;
che,
in tali giudizi di legittimità costituzionale, a differenza di quelli promossi
in via incidentale, questa Corte è l’unico giudice chiamato a pronunciarsi
sulla controversia;
che
conseguentemente, ove nei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via
principale non fosse possibile effettuare il rinvio pregiudiziale di cui
all’art. 234 del Trattato CE, risulterebbe leso il generale interesse alla
uniforme applicazione del diritto comunitario, quale interpretato dalla Corte
di giustizia CE.
Vista la sentenza n.
102 del 2008 di questa Corte, depositata in data odierna, con la quale, nell’àmbito del giudizio introdotto con il suddetto ricorso n.
36 del 2007, è stata disposta la separazione del giudizio riguardante
la questione concernente l’imposta regionale sullo scalo turistico degli
aeromobili e delle unità da diporto – disciplinata dall’art. 4 della legge reg.
n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3,
della legge reg. n. 2 del 2007 – e relativa
all’assoggettamento a tassazione delle imprese esercenti aeromobili od unità da
diporto.
Visti gli artt. 234 del Trattato CE e 3 della legge 13 marzo 1958, n.
204.
per questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dispone
di sottoporre alla Corte di giustizia CE, in via pregiudiziale, le seguenti
questioni di interpretazione degli artt. 49 e 87 del
Trattato CE:
a) se l’art. 49 del
Trattato debba essere interpretato nel senso che osti all’applicazione di una
norma, quale quella prevista dall’art. 4 della legge della Regione Sardegna 11
maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di entrate,
riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), nel testo
sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna 29 maggio
2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
della Regione – Legge finanziaria 2007), secondo la quale l’imposta regionale
sullo scalo turistico degli aeromobili grava sulle sole imprese che hanno
domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti
aeromobili da esse stesse utilizzati per il trasporto di persone nello
svolgimento di attività di aviazione generale d’affari;
b) se lo stesso art.
4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito
dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, nel
prevedere che l’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili grava
sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal
territorio della Regione Sardegna esercenti aeromobili da esse stesse
utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento di attività di
aviazione generale d’affari, configuri – ai sensi dell’art. 87 del Trattato –
un aiuto di Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio
fiscale nel territorio della Regione Sardegna;
c) se l’art. 49 del
Trattato debba essere interpretato nel senso che osti all’applicazione di una
norma, quale quella prevista dallo stesso art. 4 della legge della Regione
Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge
della Regione Sardegna n. 2 del 2007, secondo la quale l’imposta regionale
sullo scalo turistico delle unità da diporto grava sulle sole imprese che hanno
domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione
Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività imprenditoriale consiste
nel mettere a disposizione di terzi tali unità;
d) se lo stesso art.
4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito
dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, nel
prevedere che l’imposta regionale sullo scalo turistico delle unità da diporto
grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori
dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui
attività imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi tali
unità, configuri – ai sensi dell’art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato alle
imprese che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel territorio
della Regione Sardegna;
sospende
il presente giudizio sino alla definizione delle suddette questioni
pregiudiziali;
ordina
l’immediata trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente agli atti
del giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia CE.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 13 febbraio 2008.
F.to:
Franco BILE,
Presidente
Franco GALLO,
Redattore
Giuseppe DI PAOLA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 15 aprile 2008.