Incertezza sulle scadenze delle manutenzione delle caldaie

 

Ogni quanto tempo bisogna, per legge, eseguire la manutenzione della caldaia? A questa domanda ci dovrebbe essere una risposta chiara e semplice. Non è così. C’è chi afferma (per esempio le associazioni dei manutentori) che i controlli vanno eseguiti una volta all’anno per le caldaiette individuali prima dell’inizio del ciclo di riscaldamento e due volte all’anno (all’inizio e alla fine del ciclo) per quelle centralizzate. E chi ribadisce invece (le associazioni dei consumatori, Adiconsum, in testa) che il ceck up del termoautonomo è slittato a ogni due anni, con esclusione degli impianti recenti (meno di otto anni) , che per questo primo periodo di esistenza  avrebbero bisogno di una sola manutenzione quadriennale. Entrambi hanno, allo stesso tempo, ragione e torto. Vediamo perché.

Il testo del Dpr n. 412/1993 afferma infatti che la manutenzione va fatta alla scadenze previste dall’installatore o  costruttore della caldaia o, in mancanza, a quelle fissate dalle norme Uni o, in ultima istanza, secondo i criteri ancora caldeggiati dai manutentori (una o due volte all’anno, a seconda del tipo di impianto). In pratica, con accordo unanime, per più di un decennio si è tenuto conto solo di queste ultime scadenze, perché le altre due erano vaghe e poco pratiche (le istruzioni si possono perdere, il costruttore può tutelarsi da responsabilità da incidenti imponendo controlli esagerati e le norme Uni sono molte e di difficile interpretazione). A confondere le acque è venuto poi il Dlgs n. 192/2005, che in un allegato ha, per un “periodo transitorio”, modificato le carte in tavola: restano prioritarie le istruzioni dell’installatore, del costruttore e le norme Uni, ma in mancanza i controlli del termoautonomo sono dilazionati a 2 anni (4 per i nuovi impianti). La circolare del Ministero dello sviluppo 23/5/06 non aiuta, perché non fa che ribadire il decreto alla lettera. Insomma, anche tenendo conto solo del Dpr n. 192, ciascuno tenta di tirar l’acqua al suo mulino, caldeggiando l’una o l’altra interpretazione, a seconda della lettura che dà al decreto..

Forse la soluzione sta nella pratica. Ricordiamo che i ceck up di manutenzione vanno obbligatoriamente annotati volta per volta in due documenti, il libretto d’impianto (per le caldaie autonome, fino a 35 kw) e il libretto di caldaia (per quelle di potenza superiore), insieme a tutte le caratteristiche di costruzione e di installazione dell’impianto stesso. Tali libretti vanno conservati presso l’utilizzatore dell’impianto (il singolo per il termoautonomo, l’amministratore di condominio negli altri casi). Essi vanno esibiti ai controlli sul campo che, almeno per un biennio ancora, sono organizzati dai comuni sopra i 40 mila abitati o dalle province, per i comuni più piccoli. E’ chi esegue materialmente queste verifiche, quindi,che diviene il vero giudice di quali sono le scadenze corrette. Dal quel che ci risulta, i controllori locali aderiscono in maggioranza alla tesi delle verifiche di manutenzione più frequenti, vuoi per un’interpretazione più letterale della legge e garantista rispetto alla sicurezza vuoi perché ormai la routine è questa, ed è difficile cambiarla. Quindi chi volesse aderire alle interpretazioni delle associazioni dei consumatori (che da tempo lamentano che gli eccessivi controlli di sicurezza sono una tassa occulta a favore dei tecnici manutentori e dell’amministrazione pubblica) dovrà affilare le armi, e magari prepararsi a sostenerla in sede di giudizio.

Non è impossibile che anche le Regioni vogliano dire la loro, dato che  hanno varato o stanno varando norme apposite (Friuli, legge n. 24/2001; Lombardia, legge n. 18/2006 art. 3, Dgr n. 532/2005; Lazio Legge n. 14/1999, Liguria n. 18/1999; Sardegna legge n. 9/2006;Veneto legge n. 11/2001 che incarica i comuni fino a 30 mila residenti dei controlli).

 

Triplicati i controlli, ma si va verso la semplificazione

 

Il Dpr n. 192/2005, riaffida alle Regioni ,dopo un periodo transitorio che scadrà tra due anni, i compiti un tempo riservati a Comuni e Province sui controlli energetici sul campo. Nel frattempo stanno scattando anche quelli sulla sicurezza degli impianti di riscaldamento a gas, che l’Autorità dell’energia ha disposto che siano esercitati dalla aziende di distribuzione del metano, attraverso verifiche cartacee della documentazione in possesso agli utenti, da inviare via posta dietro richiesta (delibera n. 40/2004). Previsti tra breve sono infine quelli sulla certificazione energetica degli edifici (quelli nuovi o quelli interamente ristrutturati), che devono essere costruiti in modo da conferire una migliore efficienza energetica.

Questa triplicazione delle verifiche, intrecciata ai cambiamenti di competenze, rischia, ovviamente di creare caos. E’ quindi auspicabile una semplificazione che, per fortuna, in alcune regioni sta prendendo piede. “Per esempio” afferma Bruno Villavecchia, a capo dell’Agenzia milanese mobilità e ambiente, “in Lombardia la Regione ha di nuovo delegato Comuni e Province (che avevano già un’organizzazione rodata) ed è probabile che si tenti di evitare che lo stesso impianti sia prima ispezionato da loro e poi sottoposto alla verifica dei distributori del gas. Si sta ipotizzando anche un controllo via Internet della certificazione energetica degli edifici, in base a questionari da cui si ricavano i dati necessari, con formule automatizzate di calcolo, sulla base dei meccanismi già in vigore in Alto Adige”. Comunque, non bisogna dimenticarlo, i controlli restano pagati dall’utente finale, che deve sborsare denaro perfino quando il suo impianto è perfettamente in regola (come le Associazioni dei consumatori da tempo denunciano).