Di Franco Pagani*

Presidente Federazione nazionale amministratori

Abbastanza numerose le novità in campo immobiliare varate con la Comunitaria 2001. Si spazia dalla multiproprietà, agli impianti termici fino al ruolo, sempre in espansione, delle associazioni dei consumatori. Ecco una guida ragionata.

Multiproprietà, garantiti gli acquirenti all'estero

Più garanzie per il consumatore che acquista multiproprietà. La Comunitaria 2001, nell’articolo 10, prevede infatti l’estensione delle tutele previste nel Decreto legislativo 9 novembre 1998, n. 427,che ha recepito la direttiva comunitaria 94/47/CE, anche qualora l’acquirente italiano abbia comprato una quota di proprietà di un immobile situato in un Paese dell’Unione Europea, accettando un contratto con una legislazione diversa da quella italiana. In precedenza, invece, le norme nazionali tutelavano il consumatore solo qualora l’immobile fosse situato nel territorio italiano.

Rammentiamo che il Dlgs 427/1998 stabilisce, nell’articolo 10 che "Per le controversie derivanti dall'applicazione del presente decreto legislativo la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio dell'acquirente, se ubicati nel territorio dello Stato". Se ne deduce che sulla lite, se l’acquirente italiano e l’immobile è in uno Stato Ue, decidono i nostri Tribunali, in base alle leggi italiane. Norme simili erano del resto già in vigore in alcuni Paesi Ue, tra cui Gran Bretagna, Germania e Austria. La medaglia ha, come sempre, un suo rovescio: nei casi in cui la legislazione estera sia più favorevole al consumatore di quella italiana, bisognerà accontentarsi delle norme nazionali. Accade, per esempio, in Austria, Belgio, Germania, Spagna e Gran Bretagna, dove si concedono più dei dieci giorni previsti in Italia per esercitare il diritto di recesso o in Francia, dove è imposta una lettera raccomandata di accettazione del contratto.

La Comunitaria aggiunge poi sanzioni economiche a quelle esistenti. Più esattamente, rende colpibile con la sanzione "standard" (da 500 a 3 mila Euro) la mancanza di ulteriori comunicazioni contrattuali obbligatorie . Si tratta della specificazione del diritto oggetto del contratto, dei dati identificativi del venditore, della descrizione dell’immobile. Ma la vera novità sta nel sanzionare anche l’imprecisa determinazione del prezzo da pagare e soprattutto la mancata stima delle spese "condominiali", amministrative e fiscali a carico dell’acquirente, nonché di quelle previste per la manutenzione e la riparazione del complesso. Tutte indicazioni che debbono essere contenute in un documento informativo da allegare al contratto.

Restano comunque alcuni obblighi privi di qualsiasi sanzione, e quindi di più difficile imposizione per l’acquirente. Sono quelli stabiliti dal comma 2 dell’articolo 3, che imporrebbe indicazioni contrattuali come quella del periodo di tempo in cui si gode la quota o del circuito di scambio di cui si serve la società che gestisce il complesso per permettere al consumatore di effettuare le vacanze in posti diversi da quello ha comprato la sua quota di immobile.

La Comunitaria non ha inoltre affrontato il nodo che sta più a cuore delle associazioni dei consumatori: quello dell’ampliamento delle garanzie fidejussorie sulle somme versate dagli acquirenti, previste dall’articolo 7 . Attualmente la fideiussione è infatti prevista solo per gli immobili in corso di costruzione o nel caso di venditore che non sia una S.p.a ovvero abbia un capitale sociale inferiore a 10 miliardi di lire (5.164.570 euro). Per la verità, il testo vigente del Dlgs n. 427/1998 è frutto già di un ritocco, a favore dell’acquirente, portato dalla Legge 135/2001, che ha anche previsto commissioni arbitrali di conciliazione presso le Camere di Commercio per la risoluzione delle controversie tra imprese turistiche e loro utenti finali.

LA MAPPA DELLE SANZIONI A DIFESA DEL CONSUMATORE

Le sanzioni economiche sono sempre pari a una somma variabile da 500 a 3 mila Euro.

Quelle introdotte dalla Comunitaria 2001 sono segnalate in grassetto sottolineato

Comunicazioni obbligatorie nel contratto

Sanzioni per mancato rispetto dell’obbligo

Articolo del Decreto Legislativo 9 novembre 1998, n.427

Economiche*

Non economiche

Diritto oggetto del contratto, condizioni del suo esercizio

SI

Recesso entro 3 mesi*

Art. 2 c. 1 lett a)

Identità , domicilio e qualità giuridica del venditore e dell'eventuale proprietario (se diverso)

SI

Recesso entro 3 mesi*

Art. 2 . c. 1 lett b)

Descrizione dell'immobile e sua ubicazione

SI

Recesso entro 3 mesi*

Art. 2 c. 1 lett c punto 1

Estremi concessione edilizia, leggi regionali in materia. Per immobili all’estero, estremi degli atti di conformità, più data completamento lavori per gli immobili in costruzione

NO

Recesso entro 3 mesi*

Art. 2 c. 1 lett c punto 2, lett. d punto 1

Stato avanzamento lavori e collegamento utenze dell'immobile in costruzione

SI

No

Art. 2 c. 1 lett d punto 2

Garanzie relative rimborso pagamento immobile non completato

SI

No

Art. 2 c. 1 lett d punto 3

Servizi e strutture (piscina, sauna eccetera) comuni ai quali l'acquirente ha accesso

SI

No

Art. 2 lett e, f

Norme applicabili in materia di manutenzione, gestione ed amministrazione

SI

No

Art. 2 c. 1 lett g

Prezzo, oltre alla stima dell'importo delle spese "condominiali", dei millesimi condominiali, delle tasse, delle imposte, delle spese amministrative e per la manutenzione, delle spese registrazione del contratto.

SI

Recesso entro 3 mesi*

Art. 2 c. 1 lett h

Informazioni sul diritto di recesso : a chi va comunicato, eventuali spese da rimborsare, modalità risoluzione eventuale contratto di mutuo, a chi chiedere informazioni ulteriori

SI

Recesso entro 3 mesi*

Art. 2 lett i

Contratto redatto per iscritto

NO

Nullità del contratto

Art. 3, c 1

Data in cui il contratto è firmato

NO

Recesso entro 3 mesi*

Art. 3 c. 2 lett e

Traduzione del contratto nella lingua dello Stato membro in cui è situato l'immobile

SI

No

Art. 3 c 3

Uso del termine multiproprietà solo se si acquista un diritto reale. Pubblicità che fa cenno dove ottenere il prospetto informativo

SI

No

Art. 4

Divieto di chiedere acconti e caparre prima della scadenza dei termini per il diritto di recesso.

SI

No

Art. 6

Mancata menzione nel contratto della fidejussione, quando dovuta

NO

Nullità contratto

Art. 7 c. 3

Clausole contrattuali o i patti aggiunti di rinuncia dell'acquirente ai diritti previsti o limitazione delle responsabilità previste a carico del venditore

NO

Nullità della clausola o del patto

Art. 9

Ripetuta violazione delle disposizioni per cui sono previste sanzioni economiche

NO

Sospensione dall'esercizio dell'attività da 15 giorni a 3 mesi

Art. 12 c. 2

* Il diritto di recesso fino a 3 mesi dalla firma del contratto è così regolato: se il venditore, entro tre mesi, fornisce la documentazione obbligatoria mancante, l’acquirente ha ancora 10 giorni dalla consegna per esercitare il diritto di recesso; se non lo fa, l’acquirente ha comunque diritto ad altri 10 giorni dopo la scadenza dei 3 mesi per valersi del diritto di recesso.

Fonte: Ufficio Studi Confappi

Le leggi dei Paesi Ue sulla Multiproprietà e il Time sharing

Paese

Data di recepimento

giorni per il ripensamento

Austria

1 Aprile 1997

14

Belgio

1 Luglio 1999

15

Danimarca

15 Aprile 1997

10

Finlandia

1 Marzo 1998

10

Francia

9 Luglio 1998

10

Germania

1 gennaio 1997 *

15

Grecia

25 Agosto 1999

10

Irlanda

30 Aprile 1997

10

Italia

9 novembre 1998

10

Lussemburgo

26 Gennaio 1999

10

Olanda

11 Luglio 1997

10

Portogallo

22 Maggio 1999

10

Spagna

5 Gennaio 1999

15

Svezia

1 Luglio 1997

10

Regno Unito

29 Aprile 1997

14

Fonte: Ote, organizzazione per il Timeshare in Europa

 

Associazioni dei consumatori: chi sgarra, paga

Notevolmente rafforzato il ruolo delle associazioni dei consumatori, attive anche nella tutela del cittadino sul fronte dei contratti immobiliari (compravendita, incarico al mediatore, affitto turistico, multiproprietà) nonché su quello dei contratti di servizio (l'appalto a una ditta edile o impiantistica)

Viene infatti inserito un comma all'articolo 3 della legge 281/1998, a fini di colpire inadempimenti dei provvedimenti del Giudice o conseguenti a una conciliazione, in controversie promosse dalle associazioni dei consumatori stesse. Le sanzioni sono salatissime, non tanto per il loro importo unitario (da 516 a 1.032 euro), ma per il fatto che sono giornaliere, secondo un metodo in uso nei Paesi anglosassoni.

La legge 281 del 1998 viene cosi a combinarsi in stretto rapporto con le norme del codice civile (articoli 1469 bis-sexies), introdotte dalla Comunitaria 1995, che nell'articolo 1469-sexies prevede che le associazioni possano "convenire in giudizio il professionista o l'associazione di professionisti che utilizzano condizioni generali di contratto e richiedere al giudice competente che inibisca l'uso delle condizioni di cui sia accertata l'abusività ai sensi del presente capo. L'inibitoria può essere concessa, quando ricorrono giusti motivi di urgenza, ai sensi degli articoli 669-bis e seguenti del codice di procedura civile".

Con la nuova versione della legge 281/98 si supera un pericolo ostacolo: quello che impediva al Giudice di condannare un "professionista" (inteso come colui che esercita per lucro un'attività) al pagamento di somme pecuniarie, dal momento che tali somme non potevano essere versate a favore di un'associazione, titolare solo di interessi astratti e generali, e quindi non danneggiata direttamente da clausole abusive in un contratto o comunque da comportamenti illeciti (come la pubblicità ingannevole). .

Ciò rendeva poco rischioso rifiutarsi di eseguire le ordinanze del giudice o di applicare i termini delle conciliazioni. Oggi non più. Infatti le sanzioni verranno versate all'Erario e confluiranno in un Fondo, presso il Ministero delle attività produttive. Tale Fondo resta comunque destinato a finanziare "iniziative a vantaggio dei consumatori". Quindi, presumibilmente, anche i bilanci delle associazioni ne trarranno beneficio, non dovendo più dipendere solo dalle quote associative o dai fondi ministeriali.

Vale infine la pena ricordare che, a una settimana dal varo della Comunitaria 2001, il Governo ha varato il disegno di legge per la Comunitaria 2002, in cui è proposta la modifica proprio dell'articolo 1469-sexies del Codice civile, che disegna il ruolo dell'e associazioni dei consumatori nell'impugnazione delle clausole abusive. Una variazione che probabilmente si farà, perché imposta dalla Corte di Giustizia Ue, in una sentenza di condanna all'Italia. Nel capoverso del 1469-sexies sopra riportato, l'inibizione delle clausole abusive non riguarderà più solo i professioni "che utilizzano" clausole abusive, ma anche quelli che "ne raccomandano l'utilizzo", quindi non solo gli imprenditori in senso stretto, ma chi offre consulenze che danneggiano il consumatore o chi comunque ne propaganda il contenuto.

 

Diritto di asilo per le caldaie a fiamma aperta

 

Più tranquillità per chi deve rimettere a nuovo l'impianto di riscaldamento termoautonomo: non sarà più costretto ad installare una caldaia a tenuta stagna (che pesca l'aria per la combustione e scarica i fumi all'esterno dell'edificio). Lo ha stabilito, nell'articolo 44, la legge Comunitaria 2001. La Comunitaria, infatti, ha soppresso l'ultimo periodo dell'articolo 5 del Dpr 412/93, il "testo sacro" della sicurezza e del risparmio energetico negli edifici, che imponeva l'apertura di una vera e propria finestra senza vetri, di 0,4 metri quadrati (un metro per 40 centimetri, per intendersi) a chi si volesse ad utilizzare caldaie di tipo B, con scarico all'esterno, ma a fiamma aperta, che consuma l'aria dei locali. Va da sé che nessuno era disposto a tenersi una simile apertura in casa e che quindi la scelta di una caldaia stagna diveniva a senso unico.

L'abrogazione dell'obbligo non è che l'ultimo colpo di scena di una telenovela. Nel Dpr 412 del 1993 era infatti previsto l'obbligo assoluto di installare caldaie a tenuta stagna, per i nuovi impianti e per quelli completamente ristrutturati. Tuttavia la Corte di Giustizia Ue, nella pronuncia del 25 marzo 1999 aveva condannato la Repubblica Italiana, affermando che tale disposizione era i contrasto con la direttiva n. 90/396/Cee, che prevede la commercializzazione e messa in servizio di apparecchi a gas senza distinzione, quindi, fra quelli di tipo stagno o di tipo aperto. A condizione, naturalmente, che includano i necessari dispositivi di sicurezza (e in particolare quelli di blocco in caso di tiraggio anomalo e di esalazioni dannose).

Per mettersi in regola, il Parlamento aveva varato il Dpr 21 dicembre 1999, n. 551, concedendo tra l'altro alcune deroghe alla rigida disciplina della sicurezza degli impianti. Ma proprio sul contestato punto del via libera alle caldaie a fiamma aperta, si era ricorsi a una imposizione che sapeva di beffa alla Corte Ue: chi si incaponiva a voler installare la caldaia a fiamma aperta, poteva farlo, a patto di aprire nel muro un grosso buco senza vetri.

L'obbligo, nei fatti, alla scelta delle caldaie stagne ha provocato gravissimi problemi. All'indice era il caso in cui in un vecchio palazzo l'impianto di un appartamento debba essere completamente rimesso a nuovo. Molto spesso, infatti, l'assemblea dei condomini vieta l'apertura di condotti di aspirazione dell'aria nella facciata dell'edificio, perché compromettono il decoro architettonico del palazzo.

A nove anni dal varo del Dpr 412 e a quasi tre anni della sentenza della Corte Ue, è stata quindi fatta finalmente giustizia. Le caldaie di tipo B continuano comunque ad essere (giustamente) vincolate a maggiori misure di sicurezza: Non possono infatti essere disposte in camera da letto o in bagno, se il volume del locale è minore di 20 metri cubi e comunque se è minore di 1,5 metri cubi per ogni kilowatt di potenza dell'apparecchio. Nella camera dove sono installate, deve esistere un'apertura di ventilazione, di perlomeno 100 centimetri quadrati di grandezza e comunque di almeno 6 centimetri quadrati per ogni kilowatt di portata termica degli apparecchi ospitati nel locale.

 

Altre disposizioni con implicazioni immobiliari.

L'articolo 33 della Comunitaria si occupa dell'estensione a cittadini membri di Stati Ue, al pari dei cittadini italiani, del diritto di prestare opera di vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari.

L'articolo 41 delega il Governo ad emanare un decreto legislativo che estenda le disposizioni sull'autorizzazione integrata ambientale, prevista dal Dlgs 372/99, anche ai nuovi impianti industriali e a quelli sostanzialmente modificati (e non solo a quelli esistenti). Gli articoli 42 e 43 danno anch'essi delega al Governo, rispettivamente entro un anno e un anno e mezzo, di emanazione di decreti legislativi, il primo in attuazione della direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti, e il secondo sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. In entrambi i casi però si applica una procedura semplificata, che rende immediatamente esecutivi i decreti se il Parlamento non esprime entro 40 giorni un parere.