Matrimonio e patrimonio sono parole intercambiabili. Lo dimostra il fatto che la legge ha scelto, dal 1975, la comunione dei beni tra coniugi come il migliore regime patrimoniale della coppia. Per preferire invece la separazione occorre un chiaro atto di volontà di entrambi i coniugi al momento delle nozze o anche dopo, ma in questo caso bisogna sottoscrivere una convenzione davanti al notaio.

Dalla comunione alla separazione Gli italiani, comunque, sembrano piuttosto impermeabili ai suggerimenti. .Accurate indagini di vari istituti statistica mettono infatti in luce la prodigiosa crescita del numero di famiglie che negli anni hanno scelto la separazione dei beni: prima i ceti elevati, imprenditori e professionisti, poi a ruota i ceti medi, commercianti e artigiani e impiegati, più raramente operai e agricoltori. In molte città del Nord, anzi, la separazione dei beni è divenuta preponderante rispetto alla comunione. Eppure la riforma del diritto di famiglia, che ha posto la comunione in primo piano, aveva una sua logica: promuovere la parità costituzionale tra uomo e donna, difendendo quest'ultima da un marito considerato il coniuge "più forte". Riconoscere in particolare l'apporto del lavoro domestico: chi investe tempo ed energie alle faccende di casa e nella cura dei figli dà un contributo importante alla formazione del patrimonio familiare. Libera infatti dai compiti casalinghi il marito permettendogli di concentrarsi sul lavoro. Inoltre bisognava far si che la disparità economica degli stipendi tra donna e uomo fosse in parte compensata dal fatto che determinati beni restavano in comune.

Senza indagare il perché di molte scelte di separazione dei beni, cercheremo di chiarire esattamente cosa vuol dire "comunione" (la separazione, invece, è facile da capire). Questo perché capire con esattezza cosa è mio e cosa è tuo è indispensabile, non solo in occasione di separazioni o divorzi, ma anche nel corso dei normali rapporti tra due persone che si vogliono bene. Per non parlare nel caso in cui, come prima o poi accade, uno dei due venga a mancare e si ponga il problema dell'eredità.

Comunione dei beni, cos'è

Se una coppia è in comunione legale, quali beni sono di tutti e due? Stringi stringi, si può rispondere: "Tutti gli acquisti di un certo rilievo fatti, anche da un solo coniuge, durante il periodo in cui vigeva la comunione. A meno che non si dimostri che l'acquisto stesso sia avvenuto con soldi personali. Ma per capire a fondo queste due frasi, è meglio non correre troppo. E provare a dare un'altra definizione: "Sono in comunione tutti i beni che non sono in separazione". Sembra una presa in giro, ma non lo è. Basterà, per capirsi, elencare tutto ciò che non rientra nella comunione dei beni.

Beni posseduti prima del matrimonio

Appartengono a ciascun coniuge gli oggetti o i diritti acquistati prima del matrimonio. Quando si tratta di un immobile, la prova della proprietà è semplice: conta la data in cui è stato trascritto il rogito notarile. Quando sono coinvolti altri beni, il problema può essere insolubile: pensiamo ad esempio a un quadro o un mobile traslocati dall'appartamento del single a quello della coppia. In caso di lite, si dovrà ripiegare sulla testimonianza di amici o su vecchie foto della casa del singolo in cui compare l'arredo. Azioni e obbligazioni sono invece "nominative", cioè sono intestate a qualcuno. Più difficile invece provare la proprietà dei titoli di Stato, che un nome non ce l'hanno, e il cui valore-base può essere stato incrementato attraverso successivi investimenti da parte di entrambi.

Beni ereditati

Sono solo del coniuge che li eredita, sia prima che dopo il matrimonio in comunione. Solo una parte di essi (per esempio gli immobili), compaiono sempre nella dichiarazione di successione. Infatti, nove volte su dieci, mobilio, tappeti, denaro contante e gioielli non sono elencati nella dichiarazione, perché il Fisco attribuisce loro un valore a forfait, pari al 10% dell'imponibile ereditario., Quindi, anche in questo caso, va provata la provenienza. Inoltre la dichiarazione di successione non è una prova certa, ma solo un denuncia fatta ai fini fiscali, come il 730 o il Modello Unico. Quindi è un indizio importante, ma non decisivo.

Beni avuti in dono

La legge dice che solo le donazioni di scarso valore possono essere fatte senza un atto pubblico. In pratica le cose stanno diversamente. Prendiamo il caso, molto comune, in cui i genitori di uno dei due coniugi contribuiscano, con un sostanzioso assegno, all'acquisto della casa di famiglia, che costa per esempio 200 milioni. Il marito ha un gruzzolo limitato, diciamo 50 milioni, la moglie ne investe altri 50 ma riceve dai suoi parenti 100 milioni per comprare l'immobile Di fatto la casa sarebbe per tre quarti della donna e per un quarto dell'uomo. Per legge pero, mancando un prova scritta, la casa sarà per metà di ciascuno. Conviene, in questi casi, che le cose si facciano con tutte le regole, attraverso una donazione formale (che verrà comunque conteggiata come un anticipo dell'eredità, ad aliquote di tassazione ridotte: si pagheranno comunque meno imposte). Oppure suocero e suocera potranno concedere i soldi sotto forma di prestito infruttifero, lasciando comunque una traccia scritta del passaggio di denaro.

Acquisti con beni personali.

Si è detto che un bene ereditato, avuto in donazione o posseduto prima del matrimonio è di uno solo. Ma cosa succede se questo bene viene venduto e, con i soldi ricavati, se ne acquista un altro? La logica vorrebbe che anche quest'altro appartenga a uno solo dei due coniugi. Ed è proprio così, ma a un patto. Che al momento del nuovo acquisto (detto tecnicamente "per surrogazione") sia dichiarata la volontà di escludere il bene dalla comunione e che sia precisato che esso è stato acquistato con il denaro di un solo coniuge. In che forma va espressa questa volontà? Dipende. Per gli immobili e i beni mobili registrati (auto, imbarcazioni oltre i sei metri, azioni, partecipazioni societarie) per iscritto, nell'atto di acquisto. Negli altri casi non c'è forma particolare, basterebbe un'affermazione a voce davanti a testimoni, resa al momento dell'acquisto o anche prima (mai dopo, però). Naturalmente, anche in questo caso, scrivere un contratto è più prudente, facendolo registrare per avere una data certa e inoppugnabile.

Beni strumentali I beni destinati all'esercizio di una professione di un solo coniuge (per esempio, un ufficio, una fabbrica e i suoi macchinari), anche se acquistati con il denaro della comunione, sono solo del coniuge che li utilizza. Potrebbe sembrare un'ingiustizia: ma la legge protegge cosi i creditori dell'azienda, che in caso di fallimento potranno rifarsi sul suo intero patrimonio. Naturalmente se l'azienda è in comunione, appartengono però a tutti e due.

Risarcimenti danni, pensioni d'invalidità Appartengono anche questi a uno solo dei due, perché hanno un carattere strettamente personale. Il che è abbastanza logico: se mi faccio male e l'assicurazione mi paga, perché un altro dovrebbe incassare parte dei soldi?

 

Eccezioni alla regola: la comunione residuale

Una cosa è mia o tua, oppure di tutti e due. La regola sembrerebbe valida anche per la comunione dei beni. E invece, non è così. Esistono infatti beni che appartengono a uno solo. Ma che, a certe condizioni, divengono di entrambi. Per esempio, al momento dello scioglimento della comunione. Che capita normalmente in quattro casi: se dalla comunione si passa alla separazione dei beni (i coniugi cambiano idea), se c'è separazione legale (l'anticamera del divorzio), per fallimento del coniuge o morte di uno dei due sposi. Allora i legulei parlano della cosiddetta "comunione de residuo", che non è davvero possibile trascurare.

Guadagni da beni personali

I guadagni da un'attività (stipendio, ricavi commerciali di un negozio, parcella di un medico), oppure i frutti del bene di uno solo (il caso classico è l'affitto di un appartamento) sono spedibili liberamente da chi li incassa, anche con pranzi in lussuosi ristoranti, viaggi ai Caraibi, rifacimento del tetto di una casa di esclusiva proprietà.. Tuttavia, se questi guadagni non sono spesi, ma investiti, per esempio per l'acquisto di una villetta, o nella ristrutturazione della casa comune, divengono di tutti e due i coniugi in comunione.

Sviluppi dell'attività

La stessa regola vale per i cosiddetti incrementi dell'attività. Facciamo un esempio: il signor Rossi ha una salumeria avviata prima del matrimonio. Nel tempo in cui dura la comunione dei beni la amplia, raddoppiando il numero di vetrine. Poi i due coniugi decidono per la separazione dei beni. Metà del valore dell'ampliamento e meta dell'aumento di valore in termini di incremento dell'attività commerciale (più clienti e quindi più utili) toccano alla moglie.

Comunione fa rima con confusione

Basta un po' di buon senso per capire che la comunione dei beni è un concetto piuttosto astruso, mentre la separazione dei beni semplicissima: è simile al rapporto tra due persone perfettamente estranee. Quindi, in caso di separazione legale e divorzio, è un'impresa quasi impossibile dividere con giustizia il patrimonio comune. Infatti gli avvocati ammettono che le cause di divorzio tra coniugi in comunione non arrivano mai alla sentenza finale, anche se si trascinano per anni: si arriva sempre a una transazione in cui si è costretti a mettersi d'accordo.

Accordi matrimoniali

L'ideale sarebbe preferire la separazione, ma un patto. Il coniuge economicamente più debole (in genere la donna) deve avere il coraggio di discutere su come raggiungere un'equa ripartizione del patrimonio: ci sono mille modi per farlo, che talora permettono al marito anche qualche risparmio fiscale. Per esempio si può trasformare la casa singola in proprietà comune o l'impresa individuale in familiare. Fin qui la teoria: ma spesso blocchi psicologici e falsi pudori sbarrano la strada al buon senso.